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- osservatorio - della guerra - - n. 257
La guerra senza limiti di Israele
di Domenico Moro
Alcuni anni fa destò un certo scalpore, non solo fra gli addetti ai lavori, la pubblicazione di “Guerra senza limiti”, opera di due colonnelli cinesi, Quiao Liang e Wang Xiangsui. Il concetto di fondo del libro era che la guerra del futuro sarebbe stata caratterizzata dalla asimmetria tra mezzi e fini: si sarebbero impiegati mezzi illimitati (cioè oltre il consueto, oltre i limiti e le regole) per conseguire obiettivi limitati.
La guerra delle Forze Armate israeliane, uno degli eserciti più potenti del mondo, contro il milione e mezzo di palestinesi di Gaza è una guerra asimmetrica. L’asimmetria che appare a prima vista è quella tradizionale, relativa all’uso della forza bruta, apertamente militare. Da una parte, abbiamo Forze armate modernissime, rifornite dal complesso militare-industriale più forte del mondo, quello Usa, e dall’industria high tech israeliana, che agiscono congiuntamente portando attacchi dal cielo, dal mare e da terra coordinate da sistemi informatici all’avanguardia. Dall’altra parte, non abbiamo neanche delle vere e proprie forze militari, ma gruppi che dispongono soltanto di armi leggere. I tanto sbandierati razzi kassam, in confronto ai mezzi d’avanguardia degli israeliani, fanno una ben misera figura, sia per potenza distruttiva che per raggio d’azione. Ma, soprattutto, “dall’altra parte”, c’è tutta la popolazione palestinese di Gaza.
Nessuno può razionalmente negare che gli attacchi siano diretti proprio contro la popolazione civile e nessuno può sostenere che le vittime civili siano da imputare semplicemente a “danni collaterali” o al cinismo dei militari che cercano di colpire i combattenti di Hamas. Infatti, se diamo un’occhiata a Gaza col satellite di Google ci accorgiamo che quella che, in realtà, è solo una strisciolina di terra è prevalentemente di colore grigio. Ed è grigia perché ricoperta quasi totalmente di abitazioni: Gaza è una delle aree a più alta densità abitativa del mondo. Sostenere la possibilità di portare operazioni militari a Gaza contro chicchessia senza coinvolgere i civili è pura menzogna. Inoltre, non è neanche lontanamente concepibile che gli Israeliani pensino di impegnare la fanteria in combattimenti casa per casa, costosi in termini di perdite.
L’unica tattica operativa prevista è spianare tutto coi bombardamenti a distanza. Del resto, nonostante la cappa della disinformazione, è ormai risaputo che nelle tre settimane di attacchi sono state colpite non solo abitazioni, ma anche moschee, scuole piene di rifugiati che esponevano la bandiera dell’Onu, persino depositi di cibo e automezzi, sempre dell’Onu, che trasportavano aiuti per le popolazioni, nonché ambulanze ed ospedali (numerose le vittime tra il personale medico). La sproporzione tra i caduti e i feriti palestinesi (oltre cinquemila, di cui buona parte civili) e quelli israeliani (una ventina, fra i quali soldati colpiti da fuoco amico) sintetizza drammaticamente ma efficacemente la situazione. Una guerra oltre i limiti, oltre le regole (quelle del diritto internazionale fra l’altro), come dicevamo.
Tutto questo con una aggravante. Nelle altre guerre i civili potevano quantomeno tentare di spostarsi dai luoghi dell’azione. I palestinesi di Gaza non possono andare da nessuna parte: sono in un recinto senza vie d’uscita, come topi in trappola. Ma quella in cui sono presi i palestinesi è una trappola fatta non solo di bombardamenti a tappeto. Sempre secondo gli autori di “Guerra senza limiti” la guerra moderna si caratterizza anche per la conduzione di cosiddette “operazioni di guerra non militari”. La guerra contro il milione e mezzo di Gaza non ha inizio con i bombardamenti ma inizia e prosegue con la guerra economica, e con quelle culturale, psicologica e dei mezzi di comunicazione di massa.
a) Guerra economica. Israele è economicamente integrata con la Ue e gli Usa, è sostenuta da consistenti investimenti esteri, e ha una ampia componente industriale high tech, che la pone molto al di sopra degli altri paesi mediorientali. Il suo Pil pro capite è di venti volte superiore a quello di Gaza. Potrebbe integrarla nella sua economia, ma usa la sua forza per schiacciarla. I palestinesi per poter ricavare di che vivere avrebbero bisogno di passare i valichi tutti i giorni e andare a lavorare in Israele. Da anni la domanda di lavoratori palestinesi si è deteriorata e gli imprenditori agricoli ed edili israeliani preferiscono assumere cinesi, romeni, thailandesi, filippini. Inoltre, da tempo Israele ha chiuso i valichi imponendo un blocco economico, che, di fatto e per il diritto internazionale, è un atto di guerra. Tale blocco, in contrasto con la tregua di sei mesi stipulata il 18 giugno scorso con Hamas, non è stato tolto ed i palestinesi hanno potuto sopravvivere solo grazie al contrabbando sul confine con l’Egitto. Ora, possiamo facilmente immaginare le conseguenze di tre settimane di bombardamenti su infrastrutture sociali già logorate pesantemente dalla lunga restrizione dei rifornimenti di cibo e medicinali. Eppure Israele continua a sostiene che non c’è alcuna emergenza umanitaria a Gaza.
b) Guerra dei mass media e delle menzogne. Grazie ad un esercito di addetti alla dis-informazione, che per efficienza ed organizzazione regge il paragone con quello vero, l’aggressore è diventato sui mass media l’aggredito. Non è Israele che ha stretto con un assedio economico Gaza, non è Israele che ha vanificato la tregua rifiutando di togliere il blocco, non è Israele che, unilateralmente, ha rotto la tregua, attaccando e uccidendo, il 4 novembre, alcuni membri di Hamas, è stato invece quest’ultimo che, il 19 dicembre, avrebbe rotto la tregua (già scaduta peraltro) lanciando i kassam. Inoltre, peggio di quanto fecero già gli Usa durante la guerra contro l’Iraq, Israele ha cercato di monopolizzare l’informazione, impedendo l’accesso a Gaza ai reporter, specie a quelli occidentali. Il vero capolavoro, comunque, è rappresentato dall’aver fatto passare un milione e mezzo di profughi e affamati in un pericolo per la sopravvivenza dello Stato d’Israele e azioni di bombardamento terroristico (con l’impiego di armi vietate come quelle al fosforo) verso la popolazione civile come legittime azioni di difesa.
c) Guerra psicologica. Una vera chicca è stata aver fatto passare un mezzo di guerra psicologica, le telefonate di massa minatorie alla popolazione civile palestinese, come avvertimenti umanitari, come se i civili potessero in pochi minuti raggiungere inesistenti rifugi antiaerei.
d) Guerra culturale. Israele si presenta ed è presentato come il difensore dei valori dell’Occidente in mezzo alla barbarie, in primo luogo quello della democrazia. Non si capisce, però, perché ritiene illegittimo un governo, quello di Hamas, che a Gaza il 25 gennaio del 2006 ha abbondantemente vinto le elezioni. Perché è fondamentalista? Sappiamo che anche Israele quanto a fondamentalisti e integralisti religiosi non scherza. Oppure perché Hamas è terrorista? Ma allora i bombardamenti di Israele sui civili, ospedali, rifugi e depositi Onu, ecc. non sono terrorismo solo perché condotti con mezzi maggiori e tecnologici? Infine, si dovrebbe ammettere che quello di democrazia è un concetto-elastichetto che si può tirare a seconda delle esigenze. Va bene per i “buoni” ma non per i “cattivi”.
I risultati di questa offensiva mediatico-culturale, a casa nostra, sono paradossali. Si mettono un paio di bandiere israeliane bruciate sullo stesso piano dei bombardamenti, quasi che uno straccio bruciato abbia lo stesso valore di centinaia di bimbi dilaniati e si grida allo scandalo per le preghiere musulmane dinanzi al Duomo di Milano quando il vero scandalo è il massacro di civili inermi.
Senza contare che un fautore della realpolitik e tutt’altro che pacifista come D’Alema è stato crocifisso solo per aver detto un’ovvietà, cioè che si può trattare con Hamas. Del resto, con chi se non con i nemici si negozia? Con gli amici?
Ma torniamo alle “Guerre senza limiti”: mezzi illimitati per un obiettivo limitato. Quale? E’ molto semplice: impedire la nascita di qualunque parvenza di autorità politica autonoma palestinese, cioè di abbozzo di Stato palestinese. Strano, sembra infatti che ad Israele non vada mai bene nessun interlocutore. Oggi, secondo Israele, Hamas è satana e la popolazione deve pagare il conto, con il terrore, per aver “sbagliato" a votare nel 2006.
Ma ci si scorda che il successo di Hamas ha tratto alimento dalle umiliazioni che Israele ha inflitto prima ad Arafat e poi ad Abu Mazen, che, sebbene si fossero spinti ad importanti concessioni, furono ripagati con il rifiuto di ogni minimo margine di operatività politica.