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Nord del Mali: sangue e uranio

Guadi Calvo | alainet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

24/01/2017

Il nord del Mali (Kidal, Tombuctú e Gao), sta diventando una delle regioni più instabili del pianeta, straordinariamente ricca in uranio soffre l'azione di differenti gruppi con interessi propri e contrapposti.

Nella regione operano: Fondamentalisti legati ad Al-Qaeda per il Magreb Islamico (AQMI); il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad (MNLA), di origine imazighen che reclama l'indipendenza dell'ancestrale territorio tuareg, diviso in Alto Consiglio per l'Unità dell'Azawad, (HCUA) e il Movimento Arabo dell'Azawad (MAA); l'esercito del presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta e l'organizzazione pro Bamako Gatia (Gruppi di Auto-difesa tuareg imghad ed alleati) capeggiata da Fahad Ag Almahmoud che si oppone all'indipendenza di Azawad; militari francesi delle operazioni Serval e Barkhane, che dal 2013 si trovano nella regione con una dotazione di 14 mila uomini alla quale bisogna sommare una piccolo contingente di 700 uomini dell'esercito tedesco; numerose bande che trafficano: armi, tabacco, combustibile, droghe e persone ed il raggruppamento Ansar al-Din (Difensori della Fede) capeggiato da Iyad Ag Ghaly, che sotto la copertura di organizzazione salafista opera per gli interessi dell'Algeria.

Questo straordinario mosaico di interessi, al quale bisognerebbe sommare la forte rivalità tribale tuareg tra imghad e imazaghen, fa di questa regione, più estesa della Francia e terzo paese più povero dell'Africa, una bomba ad orologeria che sembra abbia cominciato il suo conto alla rovescia.

Quando ancora non si era dissolta la scia del nausente e appiccicoso profumo del presidente François "Flanby" Hollande, nell'aeroporto di Bamako, capitale del Mali, dopo la sua breve visita per partecipare al XXVII summit Africa-Francia (ultimo per Flanby, svoltosi tra il 13 e il 14 gennaio al quale parteciparono 35 responsabili del continente per discutere con l'antica metropoli, temi di sicurezza ed economici) nella città di Gao, a 1130 chilometri a nordovest della capitale, mercoledì 18, all'interno di una base militare congiunta Francia-ONU per la Stabilizzazione del Mali (Minusma), Abdul Hadi al-Fulani, un miliziano dell'organizzazione al-Mourabitoun (quelli che firmano con sangue) consociata di AQMI, fece esplodere il camion che conduceva, ammazzando circa ottanta soldati e ferendone altri 120 dell'esercito maliano e delle brigate di auto-difesa di imghad.

Secondo i testimoni l'esplosione causò una nuvola di polvere che riuscì a coprire gran parte della città di Gao, composta da circa 90 mila abitanti, provocando logicamente confusione. Immediatamente i negozi e le scuole sono stati chiusi e tutta l'attività della città si è fermata.

Gao, capitale della regione omonima, ubicata sulle rive del fiume Niger, vive da aprile 2012, dopo l'ultima insurrezione tuareg, in permanente stato di all'erta. La città dopo quella che fu la terza sollevazione tuareg dall'indipendenza del Mali nel 1960, è stata sotto controllo di AQMI durante dieci tremendi mesi in cui la sharia venne applicata con tutto il rigore.

Come conseguenza dell'attacco di questo ultimo mercoledì, sabato 21 è avvenuto uno scontro tra bande antagoniste che operano vicino all'esercito maliano. La località di Tinassako, nella regione di Kidal, è stata circondata da un gruppo di tuareg indipendentisti del Coordinamento dei Movimenti dell'Azawad (CMA), facendo quattordici vittime tra i miliziani pro-Bamako dell'auto difesa imghad.

La ripresa delle ostilità tra questi gruppi tuareg, dopo gli accordi di pace del 2015, non del tutto vigenti, mette letteralmente il nord del Mali in stato di guerra civile. Di cui cercherà senza dubbio di trarne vantaggio al-Mourabitoun, organizzazione creata nell'agosto 2013 con la fusione al-Moulathamoun, il Movimento per l'Unicità e la Yihad dell'Africa Occidentale (MUJAO) e il già menzionato Ansar al-Din, capeggiato dal mitico Mokhtar Belmokhtar, veterano della guerra afgana contro i sovietici, che in quasi quaranta anni di estremismo musulmano ha avuto i suoi colpi di scena con AQMI.

L'organizzazione al-Mourabitoun è stata protagonista degli attacchi all'hotel Radisson Blu a Bamako, nel novembre 2015 e all'Hotel Splendid a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, nel gennaio 2016 e nel mese seguente nello stabilimento balneare Grand Bassam in Costa d'Avorio, attacchi che fecero in totale 63 morti, benché nel caso della Costa di Avorio avrebbe potuto essere un regolamento di conti tra al-Mourabitoun e i nigeriani di Boko Haram e qualche cartello narcotrafficante che ha traffici con entrambe le organizzazioni.

Un paese troppo centrale

Sono vari i paesi della regione che sarebbero fortemente influenzati dall'acuirsi e dall'estendersi della crisi in Mali. Senegal, Costa d'Avorio, Burkina Faso e fino al sud del Niger, potrebbero rimanere gravemente coinvolti nel seguire l'aumento dell'attività salafita.

Si devono tenere conto due fattori determinanti affinché questo accada, la presenza di Boko Haram che sta ricevendo duri colpi nel suo paese di origine, la Nigeria, e che potrebbe cercare un'alleanza regionale con al-Mourabitoun-AQMI e il possibile ritorno dei veterani della guerra in Siria.

Il prodursi di un'ipotesi simile a quella esposta, nel caos dell'ovest africano, potrebbe acquisire ancora forme più virulente in cui si vedrebbero obbligate a partecipare forze extra continentali per contenerle, invischiandosi in un estenuante intervento. Si comprenda che solo la NATO potrebbe fare fronte ad una situazione simile, se Donald Trump fosse disposto ad intervenire.

La centralità del Mali, nel nordovest africano, ne fa al momento la chiave degli spostamenti regionali, perché è vicino al conflittuale golfo della Guinea, che è sito in parte nel Sahara e nel Sahel. Ciò, unito alla cronica porosità delle frontiere, qualunque tipo di organizzazione criminale o terroristica può trasformare il Mali in un eccezionale corridoio attraverso il quale ci si possa spostare facilmente.

Secondo la relazione della Federazione Internazionale dei Diritti umani, durante il 2016, nel nord e nel centro del paese, si sono registrati almeno 385 attacchi terroristici, nei quali ci sono stati 332 morti, di cui 207 civili, il che dimostra chiaramente che nonostante l'intervento militare francese la regione continua ad essere convulsa.

Nel luglio del 2016, un attacco contro una base militare nella città di Nampala nella regione centrale di Segú, vicino alla frontiera con la Mauritania, ha causato una ventina di soldati morti e altri trenta feriti, con le forze maliane incapaci di respingerlo, fino a che gli aggressori non si sono ritirati.

Nel sud nero, si pratica in maniera maggioritaria l'animismo con qualche sincretismo musulmano che ha dato come risultato un sufismo sui-generis, accumulando una gran quantità di adepti. Questo rigorismo wahabita praticato da al-Qaeda non procura nessuna simpatia, per questo ci si potrebbe aspettare lì grande massacri takfiristi di assestamento al-Mourabitoun-AQMI.

Due questioni restano in più da analizzare sul consolidarsi del salafismo nel nord del Mali: il pericolo più concreto è la permeabile, larga e incontrollata frontiera con la Mauritania, di poco meno di 2300 chilometri, un paese con più del 99% dei musulmani di maggioranza sunnita nella sua versione sufí, assolutamente inerme di fronte ad un'invasione fondamentalista.

In ultimo e fondamentale, i ricchi giacimenti di uranio sfruttati dall'impresa statale francese Areva, nelle miniere di Arlit e Akouta, nella regione tuareg di Agadez, nella frontiera tra Mali e Niger, benché sia praticamente impossibile che gli uomini di AQMI possano accedervi e farne qualcosa. Benché tecnologicamente, sarebbe loro molto più fattibile utilizzare le tonnellate di rifiuti nucleari ricchi di uranio, cadmio, piombo e mercurio che la Francia senza nessun controllo, né attenzione, abbandona da decenni nel deserto del Mali e zone confinanti.

Forse la Francia che ha fatto del saccheggio e del latrocino dei territori conquistati col sangue, l'inganno e il fuoco il suo più autentico stile di vita, potrebbe comprendere che quando i suoi cittadini sono mitragliati, colpiti da bombe o schiacciati da un camion, esistono ragioni che si nascondono nel recondito dei deserti e delle giungle, sommersi in mari di sangue di altri popoli.

* Guadi Calvo è scrittore e giornalista argentino. Analista Internazionale specializzato in Africa, Medio Oriente e Asia Centrale.


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