Otto anni dopo la guerra della NATO in Libia del 2011, mentre il paese entra in una nuova fase del conflitto, facciamo il punto sul numero dei paesi in cui il terrorismo si è diffuso come prodotto diretto di questa guerra. Il numero è di almeno 14. L'eredità della eliminazione del leader libico Muammar Gheddafi - da parte del primo ministro britannico David Cameron, del presidente francese Nicolas Sarkozy e del presidente degli Stati Uniti Barack Obama - è stata duramente sentita dagli europei e dagli africani. Tuttavia, la prospettiva di ritenere questi dirigenti responsabili della decisione di andare in guerra è più lontana che mai.
Il conflitto del 2011, in cui la NATO ha collaborato con le forze islamiste sul terreno per cacciare Gheddafi, ha reso la Libia un paese senza legge e lo ha inondato di armi, l'ideale per i gruppi terroristici che ci prosperano. Ma è stata la Siria a soffrirne per prima.
Dopo lo scoppio della guerra civile agli inizi del 2011, in contemporanea a quella in Libia, quest'ultima era diventata un centro di facilitazione e di addestramento per circa 3.000 combattenti diretti in Siria, molti dei quali si erano uniti a Jabhat al-Nusra, affiliata di al Qaeda, e a Katibat al-Battar al-Libi (KBL), un'entità collegata con lo Stato islamico fondato dai militanti libici.
Nella stessa Libia, il cambio di nome dei gruppi legati ad Al-Qaeda nel nord-est di Derna ha dato alla luce il primo ramo ufficiale dello Stato islamico nel paese a metà del 2014, con l'incorporazione di membri della KBL. Nel 2015, lo Stato islamico in Libia ha effettuato attentati e decapitazioni e stabilito un controllo e governo del territorio su alcune parti di Derna e Bengasi a est, e di Sabratha a ovest. E' diventato anche l'unico organo di governo della città di Sirte, nel centro-nord della Libia, con quasi 5.000 combattenti sul terreno.
A fine 2016, lo Stato islamico in Libia è stato espulso da queste aree, in gran parte a causa degli attacchi aerei degli Stati Uniti, ma si è ritirato nel deserto a sud di Sirte, proseguendo gli attacchi a bassa intensità. Nel corso degli ultimi due anni, il gruppo è riapparso come temibile forza insurrezionale e ha portato nuovi attacchi molto mediatizzati contro le istituzioni statali, oltre alle regolari imboscate nel deserto sud-occidentale. Lo scorso settembre, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salame, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU che la presenza e le operazioni dello Stato islamico "non fanno che estendersi in Libia."
Terrore in Europa
Dopo la caduta di Gheddafi, lo Stato islamico in Libia ha istituito campi di addestramento vicino a Sabratha, che sono collegati a una serie di attacchi e complotti terroristici. "La maggior parte del sangue versato in Europa durante gli attacchi più spettacolari, con armi da fuoco e bombe, tutto è cominciato quando Katibat al-Battar è ritornato in Libia", ha affermato Cameron Colquhoun, un ex analista dell'antiterrorismo britannico presso il Quartier generale del governo per le comunicazioni (GCHQ) al New York Times. "Qui è iniziata la parabola della minaccia all'Europa, quando questi uomini sono potuti tornare in Libia in tutta comodità".
Salman Abedi, che con un'esplosione ha ucciso 22 persone a un concerto pop a Manchester nel 2017, si era incontrato più volte con i membri di Katibat al-Battar al-Libi, una fazione dello Stato islamico a Sabratha, dove probabilmente era stato addestrato. Tra gli altri membri della KBL figurano Abdelhamid Abaaoud, l'esecutore degli attentati di Parigi nel 2015 contro il Bataclan e nelle strade della Francia, che hanno fatto 130 morti, e i militanti coinvolti nel complotto di Verviers contro il Belgio nel 2015. L'autore dell'attentato di Berlino del 2016, che ha ucciso 12 persone, ha avuto pure lui contatti con i libici legati allo Stato islamico. E lo stesso in Italia, dove l'attività terroristica è stata collegata allo Stato islamico in Libia, con diversi individui con sede in Italia coinvolti nell'attacco al Museo del Bardo a Tunisi nel 2015, che ha ucciso 22 persone.
I vicini della Libia
La Tunisia ha subito il suo più mortale attacco terroristico nel 2015, quando un tunisino di 23 anni armato di mitragliatore ha ucciso 38 turisti, per lo più britannici, in un hotel sulla spiaggia di Port El Kantaoui. L'attentatore era un membro dello Stato islamico e, come Salman Abedi, è stato addestrato nel complesso del campo di Sabratha, dove l'attacco è stato organizzato.
Anche il vicino orientale della Libia, l'Egitto, è stato colpito dal terrorismo proveniente da quel paese. I responsabili dello Stato islamico in Libia sono stati collegati e potrebbero aver guidato le attività di Wilayat Sinai, il gruppo terroristico conosciuto come Ansar Bayt al-Maqdis che ha perpetrato diversi attacchi mortali in Egitto. Dopo la caduta di Gheddafi, il deserto occidentale è divenuto un corridoio di contrabbando di armi e agenti verso il Sinai. L'Egitto ha effettuato attacchi aerei contro i campi dei militanti in Libia nel 2015, 2016 e di nuovo nel 2017, l'ultimo dopo il massacro di 29 cristiani copti nei pressi del Cairo.
Nel Sahel
Ma la Libia è anche diventata un centro per le reti jihadiste che si estendono a sud fino al Sahel, la zona di transizione geografica, in Africa, tra il deserto del Sahara a nord e la savana sudanese a sud.
La rivolta libica del 2011 ha aperto un flusso di armi nel nord del Mali, che qui ha contribuito a rilanciare un conflitto etnico-tribale che covava dagli anni '60. Nel 2012, gli alleati locali di Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) avevano preso il controllo nelle città di Gao, Kidal e Timbuktu nel nord del Mali. Dopo l'intervento della Francia in Mali, il persistente vuoto di potere in Libia ha spinto diversi gruppi, tra cui AQMI e la sua filiale Al-Mourabitoun, a trasferirvi i loro centri operativi, perché lì questi gruppi sarebbero stati in grado di acquisire le armi più facilmente.
Con la Libia come base arretrata, Al-Mourabitoun, sotto la guida del suo capo Mokhtar Belmokhtar, è stata all'origine dell'attacco contro il complesso petrolifero di Amenas, nell'est dell'Algeria, nel gennaio 2013, che ha ucciso 40 lavoratori stranieri; dell'attacco armato contro il Radisson Blu a Bamako (Mali) nel novembre 2015, che ha ucciso 22 persone; dell'attacco a Ouagadougou, in Burkina Faso, che nel gennaio 2016 ha ucciso 20 persone all'hotel Splendid. Al-Murabitoun ha anche attaccato un'accademia militare e una miniera di uranio di proprietà francese in Niger.
Una politica estera disastrosa
Le ricadute della vicenda libica si estendono anche oltre. Nel 2016, funzionari statunitensi hanno riferito che jihadisti nigeriani di Boko Haram, responsabili di numerosi attacchi e rapimenti, stavano inviando combattenti per unirsi allo Stato islamico in Libia e che la cooperazione tra i due gruppi era cresciuta. L'International Crisis Group osserva che è stato l'arrivo di armi e competenze dalla Libia e dal Sahel a permettere a Boko Haram di guidare l'insurrezione in corso nella Nigeria nordoccidentale. Sono state anche avanzate ipotesi secondo cui Boko Haram renderebbe conto a comandanti dello Stato islamico in Libia.
Oltre a questi 14 paesi, i combattenti di diversi altri Stati si sono uniti ai militanti dello Stato islamico in Libia negli ultimi anni. In effetti, si stima che circa l'80% dei suoi membri non siano libici e provengano da paesi come Kenya, Ciad, Senegal e Sudan. Questi combattenti stranieri possono tornare nei loro paesi dopo aver ricevuto un addestramento.
La reale portata delle conseguenze della guerra in Libia è straordinaria: ha stimolato il terrorismo in Europa, Siria, Nord Africa e Africa sub-sahariana. Lo Stato islamico, sebbene oggi sia quasi sconfitto in Siria e in Iraq, è tutt'altro che morto. Infatti, mentre i leader occidentali cercano di sconfiggere il terrorismo con la forza militare in alcuni luoghi, le loro scelte disastrose in materia di politica estera lo hanno stimolato in altri.
*) Mark Curtis è uno storico britannico e analista della politica estera del Regno Unito e dello sviluppo internazionale.