Nel Caucaso sotto il tallone imperialista c'erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d'Ottobre e l'Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991, e poi... le "rivoluzioni colorate"
Al momento di scrivere, non è chiaro quali sviluppi avranno gli avvenimenti, in continua trasformazione, nel cosiddetto "spazio post-sovietico": dalla Kirgizija, alla Bielorussia, dal Tadžikistan alla Moldavia e, soprattutto al Caucaso settentrionale, dove lo scorso 27 settembre si è riacceso per l'ennesima volta il conflitto tra Armenia e Azerbajdžan sulla questione del Nagorno-Karabakh, che va avanti praticamente dal 1991.
Dunque, non sappiamo quale sarà l'esito dell'"ultimatum popolare" che la Guaidò bielorussa, Svetlana Tikhanovskaja, aveva lanciato dal suo "esilio" lituano ad Aleksandr Lukašenko perché "se ne vada entro il 25 ottobre": in caso contrario si darà inizio a uno "sciopero generale nazionale". Un aut-aut, proprio alla maniera del Guaidò venezuelano: la "democrazia" avanza sempre a colpi di ultimatum. E i Servizi bielorussi hanno notizia di una provocazione (verosimilmente anche armata) che si starebbe allestendo in vista di quella scadenza.
A partire dal voto del 9 agosto, che aveva dato l'80% dei consensi al bats'ka bielorusso, ma negato dalle "democrazie" occidentali, si è creato un alone di riconoscimento internazionale attorno all'ennesima "martire della libertà", proprio come è stato a suo tempo per il Guaidò originale; si sono susseguiti incontri, sia "in presenza" che in "smart working" con cancellieri, presidenti, ministri tedeschi, francesi, slovacchi, bulgari, canadesi, polacchi, irlandesi, fino alle italiche macchiette "buoniste", volate a omaggiarla fino a Vilnius, dove si sono accasati anche i leader del Fondo nazionalista "Dapamoga"("Aiuto").
Varsavia sogna - Washington agisce
Ma, chi e cosa c'è dietro i "lottatori contro l'ultimo dittatore d'Europa"? L'ex deputato del Soviet supremo dell'URSS, Viktor Alksnis, ricorda come, all'epoca dei movimenti "indipendentistici" baltici, a fine anni '80, la CIA avesse radunato a Cracovia "i leader dei fronti popolari dei Paesi baltici, di Bielorussia, del "Rukh" ucraino, di Georgia, Moldavia, per dar vita a una Confederazione Baltico-mar Nero e creare un cordone sanitario attorno alla Russia, formalmente sotto egida polacca, in realtà sotto guida USA. Ora, la Bielorussia è l'unico ostacolo rimasto su tale percorso". A Varsavia si vaneggia da tempo di resuscitare la settecentesca Confederazione, dal Baltico al mar Nero e dai Carpazi fin quasi alla russa Smolensk, ampliando il vecchio dominio su Bielorussia e Ucraina e in più, come pronostica l'americana StratFor, abbracciando Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, fino Slovenia e Croazia. Vale a dire, il sogno polacco di sostituire la Germania, riottosa a sottostare al dominio yankee, quale avamposto USA in Europa. Finché Washington la lascerà sognare.
Ora, di fronte all'ennesimo "majdan" in corso a Minsk, tutto questo va tenuto ben presente, ma non bisogna dimenticare le responsabilità dello stesso Lukašenko nel determinarsi di una situazione che ricorda quella precedente il golpe neo-nazista del 2014 in Ucraina: sia per il suo continuo zigzagare e flirtare ora con l'est, ora con l'ovest, sia per la situazione economico-sociale del paese. Ne sono esempi le privatizzazioni che, pur senza il furore selvaggio che ha caratterizzato la Russia, vanno avanti da anni; come pure la storia del "petrolio alternativo", importato da Norvegia, USA, Azerbajdžan, Arabia Saudita, invece che dalla Russia, che si è risolto in un calo del 61,8%, per le casse statali, a causa della diminuzione del 38% dell'esportazione di derivati petroliferi rispetto al 2019. Nelle "alleanze" internazionali, Minsk continua a negoziare con USA e UE, segno del conflitto tra settori concorrenti del capitalismo bielorusso, orientati chi a est, chi a ovest; continua a partecipare ai programmi UE per lo spazio post-sovietico di "Partenariato orientale" e a sviluppare relazioni con la NATO nei vari programmi di "Partenariato per la pace", "Parternariato e cooperazione individuale" e con gli USA per NED (National Endowment for Democracy) e USAID (United States Agency for International Development).
Programmi che potrebbero poi significare basi militari USA e NATO nel paese. Intanto, lo scorso 22 agosto, Lukašenko aveva messo l'esercito in stato di massima allerta, per movimenti NATO in Polonia e Lituania e il giorno precedente aveva parlato di una "minaccia di intervento straniero" dai confini occidentali, con l'obiettivo di strappare la regione di Grodno, in alcune aree della quale si manifestava, così come anche a Minsk, con bandiere bianco-rosso-bianche e pro-polacche.
Le responsabilità di bats'ka
All'interno, secondo la russa, ROTFront, "la politica socioeconomica di Lukašenko si differenzia da quella russa solo per il fatto che i processi di privatizzazione e di aumento dei prezzi sono lenti e controllati dalle autorità. Il regime di Lukašenko è una forma di dittatura borghese; al pari dei suoi colleghi nello spazio post-sovietico, non è in grado di risolvere le principali contraddizioni sociali, così che matureranno presto i presupposti per un'esplosione sociale. La tragedia del vicino popolo ucraino è che il malcontento popolare è stato cavalcato da una fazione borghese, nel ruolo di marionetta USA. I lavoratori che avevano sinceramente protestato contro il regime di Janukovič, si sono rivelati pedine nelle mani di persone che non erano diverse. I lavoratori bielorussi rischiano di rinnovare il destino dei loro fratelli ucraini e di ridursi a carne da cannone, se si uniscono a chi manifesta per gli interessi dell'imperialismo straniero".
Un imperialismo che, in Bielorussia, sta agendo in maniera relativamente attenta: si è notato il tono "pacato" di molte capitali occidentali, che fanno di tutto per evitare un ulteriore avvicinamento di Minsk a Mosca. Il capitale, sia americano che tedesco, russo, francese, cinese o italiano, è in attesa che il ritmo e l'ampiezza delle privatizzazioni a Minsk assumano le dimensioni volute. Sanzioni di prammatica a parte, finora Washington, Berlino, Parigi, Bruxelles hanno puntato, a differenza del 2014 a Kiev, non su un golpe nazista violento, bensì sulla tattica dello "sciopero generale". L'americanaThe American Conservative ha ammonito USA e UE ad agire con cautela e non ripetere i "passi sconsiderati della presidenza Obama" che, nel 2013-2014, aveva frettolosamente dichiarato "legittima" l'opposizione nazista in Ucraina.
In generale, se non si vuol ripetere la storiella diffusa a destra e a (certa) sinistra, del dittatore da una parte e di tutto un popolo dall'altra, si dovrebbe analizzare chi rappresenti Lukašenko: quale classe o quali settori di classe, quali strati sociali siano espressi nella figura de "l'ultimo dittatore d'Europa". Troppo facile e troppo comodo ripetere: là c'è un dittatore e di qua ci sono i milioni che subiscono la dittatura di quel singolo despota. Ci si deve domandare quali siano le classi in lotta, come siano strutturate, da chi siano rappresentate e, subito dopo, chiedersi quali direzioni possano assumere i diversi movimenti delle classi, a quali risultati possano portare, quali forze stiano dietro alle azioni di determinate "masse". Basti ricordare la Russia del 1991, o la Libia del 2011, o la Siria: oggi come allora, i liberali blaterano di masse che "anelano alla libertà" da una parte e, dall'altra, una "dittatura" che priva i cittadini delle delizie del libero mercato.
A Mosca ricordano come già Gautama Buddha, nel X millennio prima della nostra era, dicesse: "Nel gioco sociale, la classe che saprà convincere la società che i suoi ristretti interessi di classe sono generali, nazionali o anche umani universali, vince". Così, in Bielorussia, la grande e media borghesia straniera, semi-straniera e compradora è riuscita a convincere una parte significativa della classe operaia e della piccola borghesia che i suoi interessi siano gli interessi dell'intero popolo.
Persino dall'Armenia si avvertono i bielorussi, perché, ciò che sta accadendo oggi a Minsk, come scrive Artur Danieljan, si è verificato due anni fa a Erevan: stesse "tecniche, stessa propaganda, idee, utilizzate oggi in Bielorussia. Ovviamente, c'era insoddisfazione, ma questa era alimentata da strutture ben determinate e, dopo il cambio di potere, gli oligarchi continuano ad arricchirsi a spese della popolazione".
Il Caucaso
E, così come era accaduto nel 2018, anche oggi Erevan si trova di nuovo nella situazione di dover fronteggiare militarmente Baku, nel conflitto per il Nagorno-Karabakh, abitato da una forte maggioranza armena. E a nulla serve la mediazione di Mosca, anche perché la decisione finale sulla pace non dipende completamente dalle due capitali caucasiche e molto poco anche dalla Russia, quanto piuttosto dai soggetti che stanno alle spalle di azeri e armeni: più da quelli che spingono per l'inasprirsi del conflitto, un po' meno da quelli che hanno ogni interesse a evitare, quantomeno, una sua estensione al di là dei confini del Caucaso ex-sovietico.
In particolare, quella più direttamente interessata a evitare ogni escalation è Teheran, i cui confini settentrionali toccano sia l'Azerbajdžan che l'Armenia: il conflitto rischia infatti di coinvolgere la numerosissima popolazione di origini turche delle due province settentrionali iraniane: Azerbajdžan orientale (capoluogo Tabriz) e Azerbajdžan occidentale (capoluogo Urmia). Tabriz dista appena 150 km dalla Repubblica autonoma di Nakhičevan (enclave azera in territorio armeno: confina con la Turchia, ma non con l'Azerbajdžan) dove stanziano tuttora numerose truppe turche. I Guardiani della rivoluzione iraniani si sono espressi per una soluzione pacifica in Artsakh, ritenendo che una "escalation del conflitto tra Azerbajdžan e Armenia non sia altro che un tentativo di organizzare una sollevazione americano-sionista nell'intera regione".
Dalla parte dell'Azerbajdžan, oltre ai massicci aiuti diretti di Ankara e Tel Aviv (ma le armi arrivano sia a Erevan che a Baku un po' da tutti: Russia, Turchia, Israele, Ucraina, Bielorussia, USA, Gran Bretagna, ecc.) partecipano apertamente alla guerra raggruppamenti terroristici islamisti che Ankara fa affluire dalla Siria e dalla Libia. A questo proposito, il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov ha detto che gli impegni della Russia nel quadro del Trattato per la sicurezza collettiva "non si estendono al Karabakh"; ma sembra che la presenza di terroristi stranieri potrebbe mutare la situazione. Anzi, da varie parti si punta proprio a un riconoscimento della Repubblica di Artsakh quale territorio armeno, il che potrebbe far scattare l'intervento dei paesi che fanno parte del Trattato: un passo cui però difficilmente Mosca acconsentirà.
Ankara, Tel Aviv, Teheran
All'apparenza un po' più defilato sembra per ora rimanere Israele, cui peraltro uno scenario con Tabriz e Urmja sotto controllo turco offrirebbe maggiori possibilità nei confronti dell'Iran, tant'è che Tel Aviv mantiene stretti rapporti con Baku. Il controllo sull'Azerbajdžan fa infatti gola a molti, a partire da Ankara, che mira non solo alle risorse energetiche azere, ma ha in serbo piani regionali più vasti. Ruben Zargarjan, consigliere del Ministero degli esteri della Repubblica di Artsakh (Karabakh) ipotizza che Baku, muovendo guerra al Nagorno-Karabakh, abbia avviato un meccanismo che potrebbe infine condurre a un "Anschluss" turco dell'Azerbajdžan. Già oggi "consiglieri" turchi coordinano l'esercito azero e, dal 2016, alti ufficiali turchi detengono posizioni di rilievo al Ministero della difesa a Baku.
Se il Nagorno-Karabakh cadesse in mano azera, afferma Zargarjan, si avrebbero "fuga in massa della popolazione armena, introduzione di forze ONU e, secondo il modello Kosovo, gli armeni rimasti subirebbero una pulizia etnica sotto la supervisione dei caschi blu. Poi, quando Turchia, Azerbajdžan e Armenia si fossero indebolite al punto giusto, arriverebbe il "mantenimento della pace" USA sotto auspici NATO o ONU e il controllo sul confine iraniano non verrebbe ceduto né a Baku, né a Ankara".
Poi, sia che rimanga Il'kham Aliev, o che venga sostituito, si avranno basi turche in territorio azero, in competizione con quelle yankee e Aliev sarà il "vassallo di un vassallo": riceverà istruzioni su quanto obbedire ad Ankara e quanto a Washington, che metterà sotto controllo tutte le fonti azere di petrolio e gas, i porti e gli oleodotti del Caspio. Così, l'Europa riceverà il gas azero alle condizioni statunitensi e l'Iran avrà un altro focolaio di minacce ai confini settentrionali. Inoltre, dato che la caduta dell'Armenia sarà una conseguenza della caduta del Nagorno-Karabakh e non per un attacco militare diretto, la Russia non avrà moventi per un intervento militare nel quadro del Trattato di sicurezza collettiva. Ankara chiederà la spartizione dell'Armenia, ma USA e Francia non lo permetteranno, dato che hanno bisogno di un contrappeso alla Turchia nel Caucaso.
Il vuoto post-sovietico
Il politologo russo Dmitrij Evstaf'ev, si è detto turbato dalle dichiarazioni di Aliev alla CNN: "ho visto un uomo spaventato; non sa cosa fare. Ho l'impressione che dipenda molto pericolosamente da coloro che ha invitato: radicali turchi e islamisti".
Stiamo tralasciando ciò che "succede nell'area del mar Caspio", ha detto Evstaf'ev; "guardate cosa stanno facendo gli americani nel Vicino e Medio Oriente. Praticamente in due mesi, sotto la copertura dei discorsi sul ritiro delle truppe dal Medio Oriente, hanno quasi completato il perimetro di isolamento dell'Iran. E non escludo che il nostro meraviglioso partner Erdogan stia preparando il salto per lui più importante: dalla costa occidentale a quella orientale del Caspio. Perché Erdogan agisce sempre in base al principio di riempire il vuoto: un vuoto che noi stessi abbiamo creato distruggendo l'URSS; un vuoto che, sulla costa orientale del Caspio, si chiama Turkmenija, Kazakhstan, Uzbekistan" ecc.
Nel 1923, Stalin affermava che, oltre allo sciovinismo grande-russo e alla "ineguaglianza di fatto tra le nazioni, che abbiamo ereditato dal periodo zarista", il terzo "fattore che ostacola l'unificazione delle repubbliche in un'unica unione è il nazionalismo nelle singole repubbliche... La NEP e il capitale privato a essa associato nutrono, coltivano il nazionalismo georgiano, azero, uzbeko ecc."; lo sciovinismo "mina l'uguaglianza delle nazionalità sulla cui base è costruito il potere sovietico ... La Transcaucasia fin dai primi tempi fu un'arena di massacri e di contese, e poi, sotto il governo menscevico e i dašnaki, un'arena di guerre: la guerra georgiano-armena... massacri in Azerbajdžan, massacri di tatari per mano armena a Zangezur, massacri di armeni per mano tatara in Nakhičevan"; tutto ciò, "prima della liberazione... dal giogo imperialista".
Sotto il tallone imperialista, nel Caucaso c'erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d'Ottobre e venne l'Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991 a Mosca, e poi vennero le "rivoluzioni colorate" a Tbilisi, Baku, Erevan...
*) è in distribuzione il n. 6 di "nuova unità" dal quale segnaliamo:
Basta morti per il profitto. Unire le lotte operaie per la sicurezza e difesa della salute nei luoghi di lavoro a quelle contro le stragi sul territorio, pagina 2;
I capitalisti unici "responsabili" della nostra miseria, pagina 3;
Guerre e scontri nell'ex "spazio post-sovietico". Nel Caucaso sotto il tallone imperialista c'erano divisioni, conflitti, massacri. Poi venne la Rivoluzione d'Ottobre e l'Unione Sovietica. Ma, dopo, venne il 1991, e poi... le "rivoluzioni colorate", pagina 4
Recovery fund, Unione europea e padroni italianissimi: montagne sulle spalle della popolazione pagine, 6/7
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