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«Il 90% delle armi a Israele da Usa, Germania e Italia». Il ruolo di Leonardo

Enrica Muraglie | ilmanifesto.it

10/12/2025

Il rapporto di Bds Italia presentato ieri alla Camera

Calenzano, protesta davanti alla sede di Leonardo foto Aleandro Biagianti
Calenzano, protesta davanti alla sede di Leonardo - Aleandro Biagianti

«Noi non vendiamo neanche un bullone a Israele», aveva assicurato appena due mesi fa Roberto Cingolani, amministratore delegato e direttore generale di Leonardo S.p.A., il colosso italiano a partecipazione statale. Ma che verso Tel Aviv continuasse a muoversi ben più di qualche bullone, anche dopo il 7 ottobre 2023, lo aveva già rivelato insieme ad altre un'inchiesta del manifesto pubblicata lo scorso luglio.

Ora una nuova conferma: Italia, Germania e Stati uniti coprono il 90% delle forniture militari a Israele. A metterlo nero su bianco è il nuovo rapporto di Bds Italia curato da Rossana De Simone, «Piovono euro sull'industria "necessaria" di Crosetto e Leonardo S.p.A. Le relazioni con Israele», presentato ieri alla Camera.

Mentre per il ministro della difesa Guido Crosetto «non ci sono stati F35 israeliani in Italia né nel 2025, né nel 2024, né nel 2023», le basi militari in Sicilia si preparano a diventare il nuovo polo globale per l'addestramento dei caccia, la prima scuola F35 fuori dagli Stati uniti. A contenderle il primato c'è la provincia di Novara: a Cameri sorge uno dei tre stabilimenti al mondo in grado di assemblare un F35, e l'unico in Europa autorizzato anche a manutenzione, riparazione e aggiornamento di questi velivoli.

Al momento gli aerei prodotti sono destinati esclusivamente all'Olanda, ma l'Italia si prepara a spendere entro il 2035 circa 25 miliardi di euro per acquisirne 115. L'impiego degli F35 nei bombardamenti contro i civili palestinesi è stato documentato in più occasioni: tra le altre, lo sgancio di tre bombe da 900 chili in un attacco su Al-Mawasi, all'epoca una delle zone designate dall'esercito israeliano come sicure. Leonardo ha inoltre continuato a fornire componenti degli F15, tra i velivoli più utilizzati nei bombardamenti su Gaza.

Cingolani ha sostenuto che interrompere i rapporti commerciali con Israele costituirebbe un illecito, dal momento che i contratti stipulati prima del 7 ottobre sarebbero vincolanti e non sospendibili. Eppure, ricorda Arnaldo Lomuti (M5S), la legge 185/1990 stabilisce che la vendita di armamenti deve essere sospesa quando il paese destinatario commette crimini di guerra.

C'è poi un linguaggio e un pensiero che, secondo De Simone, stiamo assorbendo dall'alleato israeliano, quello della guerra permanente. «L'Italia sta recependo il concetto di sicurezza nazionale israeliano: vuole più riservisti e punta a un intreccio più stretto tra industria, Stato e forze armate. Questo si vede negli accordi con le università, molti dei quali sono secretati», spiega l'autrice del dossier. Il governo italiano condividerebbe con quello israeliano anche alcuni valori: «Una cultura etnica, identitaria, dello Stato forte e della religione tradizionale». Un filo comune, osserva De Simone, a quei paesi che «stanno aggredendo la democrazia e un certo tipo di Europa».

La giurisprudenza internazionale è altrettanto chiara: «Chiunque fornisca mezzi, strumenti o assistenza pratica che hanno un impatto sostanziale sulla commissione del crimine, e lo faccia consapevole del contesto, risponde a titolo di complicità. E quando parliamo di complicità, non parliamo di slogan, ma di una categoria giuridica che esiste e deve essere applicata», ricorda l'avvocata Michela Arricale.

Prima la Corte internazionale di giustizia con le ordinanze di gennaio e marzo 2024, poi altre commissioni Onu hanno stabilito che a Gaza sono in corso atti riconducibili al genocidio. «Da questo momento in poi, che cos'altro è conoscibile rispetto a questa realtà?», domanda Arricale. Che chi continua a vendere «beni e tecnologie ad alta capacità distruttiva fornisce certamente un contributo giuridicamente rilevante e deve essere chiamato a risponderne di fronte alla legge».


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