Un patto scellerato per dare l’assalto al sistema capitalistico italiano?
di Marcello Graziosi
(Segreteria Regionale PRC Emilia-Romagna)
Quanto accaduto nel corso dell’estate 2005 con le scalate pressoché contemporanee ad Antonveneta, Banca Nazionale del Lavoro ed RCS Mediagroup (vicenda quest’ultima non oggetto di questo approfondimento) e con il pesante coinvolgimento di Bankitalia, ritornato oggi agli onori della cronaca con l’arresto di Fiorani, segna, forse, dopo il crack Parmalat, un ulteriore punto di svolta per il sistema economico e finanziario italiano. In una parola, per l’intero capitalismo di casa nostra. I cantori e i vati delle magnifiche sorti e progressive dell’attuale sistema accreditano con insistenza la tesi della “mela marcia”, ragionando di codici etici e disquisendo delle positive dinamiche teoriche del “mercato”, delle merci come dei capitali. Senza voler scomodare scandali finanziari come Enron e Worldcom oppure episodi oscuri di un passato recente della storia italiana, in pochi anni si sono succeduti il crack Cirio, i 14 miliardi di euro di “buco” della Parmalat (pagati a caro prezzo soprattutto dai lavoratori, dai piccoli imprenditori e dalla grande massa dei risparmiatori)[1], la “bolla immobiliare” e le scalate congiunte dell’estate 2005, tutte finite nel mirino dell’autorità giudiziaria. Senza dimenticare scandali e scandaletti vari, più o meno consistenti. La proliferazione di “mele marce” denota l’esistenza di fenomeni strutturali, ed è su tale terreno che occorre concentrare l’attenzione.
Con il dissolvimento dell’URSS, successivo alla rivoluzione tecnologica degli anni ’80 e ’90 in Occidente, si è assistito ad una dirompente ripresa dell’espansione mondiale del sistema capitalistico nella sua dimensione monopolistica, la medesima manifestatasi a partire dai primi anni del ‘900. Il passaggio strutturale dalla “libera concorrenza” ai monopoli ed alla concentrazione bancaria, già dettagliatamente analizzato da Lenin nel “Saggio Popolare” del 1916 e caratterizzato dal “sistema della partecipazione”, dalla nuova funzione delle banche, dalla relativa dipendenza degli industriali dal capitale finanziario, dal passaggio dal dominio del capitale in generale a quello del capitale finanziario e dall’egemonia dell’esportazione di merci a quella dei capitali, nonché dalla tendenza generale a parassitismo e speculazione, ha assunto negli ultimi quindici anni un ruolo davvero globale, nonostante tale modello sia entrato in crisi già a partire dal 1997.
Molto si è parlato in questi mesi della “finanza rossa”, legata soprattutto alla sinistra moderata italiana, erede più o meno diretta del sistema cooperativo ed assicurativo legato a quello che fu il PCI in alcune “regioni rosse”. Nel 1998 Montepaschi ha rilevato la Banca Agricola Mantovana ed ha partecipato all’assalto a Telecom l’anno successivo, salvo poi chiamarsi fuori dal gioco subito dopo. Al contrario, l’attuale presidente ed amministratore delegato di Unipol, Consorte, ha consolidato l’alleanza costruita con il finanziare Gnutti, personaggio dalle alleanze trasversali ed “ecumeniche”. Questa contraddizione all’interno del mondo cooperativo si è approfondita nell’estate 2005, quando Montepaschi e l’intera cooperazione bianca non hanno preso parte al tentativo di acquisizione del pacchetto di maggioranza di Bnl da parte di Unipol.
Protagonista assoluto di questo salto di qualità della “finanza rossa” è senza dubbio Consorte, classe 1948, abruzzese di origine e bolognese di adozione, entrato in Unipol nel 1978 e protagonista dell’apertura ai privati, dell’entrata in borsa, della graduale rottura con Montepaschi, dell’acquisto di quote consistenti di Generali, vera e propria cassaforte del sistema capitalistico italiano, e, come detto, dell’Offerta pubblica di acquisto (Opa) su Telecom. La recente inchiesta della rivista “Diario” così descrive Consorte: “…. finanziere creativo di Unipol, l’uomo che ha trasformato il vecchio mondo delle cooperative rosse in una macchina da guerra da scatenare nelle operazioni finanziarie più spregiudicate: dalla madre di tutte le Opa lanciata da Chicco Gnutti su Telecom, fino agli arrembaggi a Bnl ed Antonveneta. Consorte ha stretto un patto con Fiorani e Gnutti, con cui fa cordata in molte operazioni benedette dal governatore Fazio”. Per poi sottolineare: “Non è un mistero che il nume tutelare politico di Consorte sia Massimo D’Alema, con tutta la rete di amministratori locali Ds (necessari, per esempio, per stipulare grandi contratti pubblici con Unipol, o per concedere licenze edilizie a una Coop in grande espansione. Ma utili anche all’espansione dei nuovi palazzinari). Il mondo dalemiano è in grande fermento ed espansione, dopo le ultime vittorie del centrosinistra alle amministrative”[2]. Diversa la valutazione di Stefanini, presidente di Holmo, la holding che detiene il controllo di Unipol, e di Coop Adriatica: “E’ un manager importante che ha gestito bene l’azienda e ha ottenuto buoni risultati”[3].
Estate 2005: tra risate e gossip parte l’assalto al sistema finanziario italiano.
I protagonisti
Un’estate da brivido, quella del 2005, per il sistema finanziario italiano. In un momento di costante declino economico e di grande confusione politica nel paese, i “nuovi ricchi”, eroi della finanza creativa, speculatori e nuovi palazzinari hanno letteralmente preso d’assalto i vecchi gruppi di potere legati alla massoneria. Un assalto poderoso e trasversale, in larga parte finanziato con quei 150 miliardi di euro rientrati in Italia dai paradisi fiscali grazie allo “scudo fiscale” approvato dal governo Berlsuconi, un fiume di denaro dalle provenienze più oscure che ha fatto la propria comparsa anche nel corso del crack Parmalat.
Se non ci trovassimo in Italia, il paese delle mille trame occulte, quanto accaduto nel corso dell’estate scorsa costituirebbe semplicemente una nuova puntata del processo legato alle concentrazioni bancarie ed all’unificazione del mercato finanziario europeo. Nulla di tutto questo.
Lo scontro, ancora in corso, è duro e si gioca su tutti i fronti, intrecciandosi con una delle campagne elettorali più difficili e per diverse ragioni più delicate del secondo dopoguerra. In questo contesto si è inserito anche l’ambizioso progetto dell’ex governatore di Bankitalia Fazio, deciso a creare, con il pretesto della difesa dell’italianità delle banche, un grande polo finanziario nazionale sottratto all’influenza della finanza laico-massonica e legato alla CEI[4]. Tanto che il più influente dei vescovi italiani, Camillo Ruini, si è scagliato con forza non solamente contro i PACS e l’allargamento dei diritti civili, ma anche contro le intercettazioni telefoniche, colpevoli di aver inchiodato il moderno Sindona, l’uomo delle messe in suffragio ai caduti pontifici di Porta Pia che siedeva ai vertici del sistema bancario italiano.
Tra i protagonisti delle scalate incrociate dell’estate 2005 vi sono stati Fiorani, arrestato con l’accusa di associazione a delinquere e riciclaggio il 13 dicembre 2005 e Ricucci. Il primo, presidente del Banco di Lodi poi Banca Popolare Italiana, viene descritto come “cattolico, buon finanziatore della Conferenza episcopale italiana, democristiano nel cuore, amico dei leghisti, ammiratore di Berlusconi (il fratello Paolo è socio della banca di Lodi)”[5], mentre il secondo è un palazzinaro romano della nuova generazione, già implicato nella vicenda del fallimento di Bipop-Carire, con legami negli ambienti dell’estrema destra fascista.
Quali, se mai vi sono stati, i rapporti tra Fiorani, gli immobiliaristi, Gnutti ed Unipol? E’ esistito un “concerto”, vale a dire una sorta di “patto occulto” trasversale ed incrociato (una sorta di Bicamerale degli affari) per sconfiggere con ogni mezzo olandesi e spagnoli e garantire in questo modo il controllo di Antonveneta e Bnl rispettivamente agli ambienti finanziari legati al governo e ad Unipol? Quale il ruolo giocato da Fazio? Su questo, ovviamente, le versioni divergono. Secondo la citata inchiesta del “Diario”, “Fazio diventa il santo protettore di Fiorani. Fino al 2005, quando scatta il grande piano del poker d’assi: il Bel Banchiere di Lodi, il Raider di Brescia, il Mattonaro di Roma, il Manager Rosso di Bologna. Fiorani, Gnutti, Ricucci, Consorte. Ognuno di loro ha un sogno, un piano da realizzare, un disegno di potere. Progetti diversi, anche con margini di competizione tra loro: c’è chi sogna la Grande Banca Padana, chi persegue l’ingresso nei salotti buoni dopo tanto purgatorio, chi vuole la Banca Rossa e chi, semplicemente, tanti, tanti soldi… Ma non importa: si comincia a fare un tratto di strada insieme, ognuno convinto che potrà approfittare degli altri e portare a casa il suo risultato. Antonveneta, Bnl, Rcs, poi – chissà – Fiat, Capitalia…”[6]. Unipol e, più in generale, l’intero mondo cooperativo si sono mossi in questi giorni per dimostrare la regolarità e legittimità della scalata a Bnl, chiarendo di aver concordato ogni passo con le autorità di controllo, accusando “chi ha in mano le leve finanziarie del paese” di “resistenza nei confronti dei nuovi soggetti che si affacciano sui mercati, compresi Unipol e le cooperative” e di tergiversare rispetto alla decisione da assumere riguardo l’Opa Unipol su Bnl[7].
Al di là della regolarità, dell’utilità dell’operazione (a partire dal dibattito in corso sulla prospettiva del sistema “bancassicurazione”) e del futuro del sistema cooperativo più in generale (sempre più attore di mercato omologato al sistema o soggetto economico con caratteristiche peculiari sul piano sociale come culturale), è davvero difficile negare la presenza di solide relazioni tra Consorte – e di conseguenza anche Unipol – ed i protagonisti della scalata ad Antonveneta (da E-Archimede e non solo)[8]. E’ questo l’elemento politico sul quale aprire una riflessione.
Le scalate
Esistono, per evitare ciò che invece si è determinato, vale a dire un “far west” all’interno del quale si impongono inesorabilmente i più spregiudicati e mascalzoni, alcune norme che dovrebbero regolamentare il mercato azionario. Vi sono (o dovrebbero esservi) arbitri imparziali, autorità di controllo (Consob, Bankitalia, Isvap per le assicurazioni). Tutti questi soggetti, però, insieme alle agenzie di rating, hanno confermato la propria parzialità e corruttibilità. Siamo di nuovo di fronte a dinamiche strutturali del sistema capitalistico, destinate fatalmente a ripercuotersi sulla classe lavoratrice e sullo stesso capitale produttivo, e non a singole “mele marce” e “farabutti”.
Ciascun soggetto sarebbe tenuto, almeno in linea teorica, ad informare il mercato e le autorità di controllo dei propri obiettivi legati all’acquisto di azioni (raggiungere x% della Y società), mentre in caso di progetti legati all’acquisizione del controllo o pacchetto di maggioranza vi sarebbe l’obbligo di chiedere l’autorizzazione per lanciare un’offerta pubblica di acquisto o scambio o mista (Opa, Ops, Opas), stabilendo il prezzo fisso di acquisto di ciascuna azione ed un calendario certo di realizzazione del tentativo.
Il caso Antonveneta. Quando, il 30 marzo 2005, la banca olandese Abn-Amro ha lanciato un’Opa ufficiale per acquisire il controllo della banca Antonveneta, si è messa in moto la macchina con l’obiettivo di impedire il successo dell’operazione con ogni mezzo e senza badare a spese. Il “controcartello”, guidato da Fiorani, ha lanciato un’Opas, mentre 38 soggetti avevano già rastrellato e continuavano a rastrellare occultamente azioni Antonveneta, agendo soprattutto dai paradisi fiscali, per poi girarle al Banco di Lodi in cambio di alte plusvalenze. Tra i soggetti coinvolti si è distinta Hopa, la holding presieduta da Gnutti, che ha come vicepresidente Consorte e consiglieri Bellaveglia (vicepresidente di Montepaschi), Fiorani, Ricucci e Livolsi, già protagonista della quotazione in borsa di Mediaset e della vendita di Standa. Del tutto diversa la versione di Gianola su “L’Unità”: “Consorte assicura di essersi tenuto fuori dalla scalata ad Antonveneta, ha persino litigato col suo socio Gnutti. Quest’ultimo gli propone di usare la Hopa, finanziaria di cui Unipol è importante azionista, per comprare titoli Antonveneta. Consorte dice no, ha il diritto di veto e lo esercita. C’è uno scontro furibondo tra i due che finisce sui giornali. Gnutti, se vuole, si compra le azioni Antonveneta con i suoi soldi e così accade”[9]. Comunque sia andata, Gnutti era ed è rimasto un “socio” di Consorte.
Nonostante il parere dei tecnici di Bankitalia sulla tenuta della Banca Popolare Italiana (ex Banco di Lodi) fosse negativo, Fazio ha apposto ugualmente la firma sull’operazione, salvando Fiorani (quel meraviglioso “bacio in fronte” delle 00.12 del 12 luglio, come da intercettazione telefonica).
In conclusione, Fiorani ha scalato Antonveneta usando dei prestanome ripagati con plusvalenze, in barba alle regole teoriche del mercato. Scoperto il “concerto” illegale ed il patto di sindacato occulto, egli ha lanciato una terza Opa, ottenendo il risultato di impedire la buona riuscita dell’Opa olandese. Subito dopo, però, la Popolare Italiana è stata costretta ad una ricapitalizzazione “creativa” per 1,5 miliardi di euro (sullo stile dei bilanci Parmalat), la Consob ha sospeso le due Opas-Opa di Fiorani e, inoltre, Bankitalia ha ritirato il parere favorevole del 12 luglio. Nel frattempo, i giudici di Milano hanno sequestrato le azioni Antonveneta e le relative plusvalenze, sospendendo Fiorani, Ricucci e Gnutti per due mesi da tutte le cariche sociali. Il 13 dicembre, come detto, Fiorani è stato arrestato e tradotto nel carcere di San Vittore a Milano. Una pessima fine.
Il caso Bnl. Nel marzo 2005 il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, già azionista di rilievo di Bnl e disposto ad acquisirne il pacchetto azionario di maggioranza, ha lanciato un’Ops. Contro gli spagnoli si sono schierati Unipol, che ha raggiunto regolarmente il 15% delle azioni dell’istituto bancario, e gli immobiliaristi guidati da Ricucci. Con gli spagnoli, invece, si sono schierati Della Valle e Generali. Secondo l’accusa, Ricucci e soci avrebbero depositato 700 milioni di euro di azioni Bnl in diversi istituti, ottenendo crediti utili a rastrellare azioni Antonveneta, per poi vendere a Consorte il 18 luglio le quote azionarie Bnl per 2 miliardi di euro, con 1,2 di plusvalenze. Tra i soggetti coinvolti nella transazione anche diversi istituti bancari, dalla giapponese Nomura al Credit Suisse e, soprattutto, alla Deutsche Bank[10]. Pochi giorni dopo, fallita l’Ops, anche i baschi hanno ceduto le loro azioni a Consorte, con 520 milioni di euro di plusvalenze.
Nel corso dell’intera operazione si sono aperte contraddizioni sempre più evidenti all’interno dello schieramento politico del centro sinistra, Valga, per tutti, il commento de “L’Unità”: “Ma il lancio dell’Opa per l’Unipol non è il passo finale. Si alzano forti le voci di chi non vuole che la Bnl, banca dal passato e dal presente molto politico[11], finisca alle cooperative. La Margherita dà lezioni di moralità. Le cooperative si sorprendono: ci sono più attacchi da parte del centro sinistra che dalla destra”[12]. Attacchi senza dubbio strumentali, sostenuti forse dagli stessi ambienti di Confindustria, che evidentemente non ha gradito l’arrembaggio estivo al “vecchio sistema”[13].
Il 14 dicembre Consorte è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma con le accuse di aggiotaggio informativo, manipolazione del mercato ed ostacolo all’autorità di vigilanza. Con nubi sempre più nere che si addensano all’orizzonte e che potrebbero non diradarsi fino a primavera. Indicativa, a tal proposito, la metafora del ventilatore di fango utilizzata da “L’Unità”[14].
Mai come in questo caso possiamo dire che lo scontro è davvero tutto interno al sistema capitalistico: se l’alternativa alle “vecchie famiglie” conservatrici ma laiche sono “i nuovi ricchi” forgiati sul modello berlusconiano e la finanza cattolica, la scelta per la sinistra diventa davvero imbarazzante. Il ruolo che il movimento cooperativo come soggetto economico a pieno titolo ed a pieno diritto intende svolgere in questo contesto non potrà non avere pesanti ripercussioni politiche sul futuro.
[1] Su questo è utile leggere l’inchiesta precisa e dettagliata della redazione di “Milano Finanza”, che descrive bene anche gli intrecci tra Tanzi e la politica: G. Capolino, F. Massaro, P. Panerai, Parmalat. La grande truffa, Milano 2004
[2] “I furbetti del quartierino. Il grande assalto a banche e «Corriere». L’incredibile intreccio tra politica ed affari”, in “Diario del mese”, anno V, n. 4, 7 ottobre 2005, p. 64.
[3] S. Ramunno, “«Unipol-Bnl, è l’ora delle decisioni»” (intervista a Pierluigi Stefanini), in “Il Domani”, 15 dicembre 2005.
[4] Su questo, “I furbetti…”, op. cit., p. 25.
[5] “I furbetti…”, op. cit., pp. 16-17.
[6] “I furbetti”, op. cit., p. 15.
[7] “«Consorte ha scalato Antonveneta». «No, non è vero»”, in “L’Unità”, 15 dicembre 2005 (da considerare le dichiarazioni finali di Fassino). Oltre a questo, utile l’intervista a Stefanini sopra citata.
[8] Valga, per tutte, l’intercettazione telefonica del 12 luglio che coinvolgerebbe Gnutti ed il numero due di Unipol, Ivano Sacchetti:
Ivano: Ho letto sui giornali che vai a un pranzo con Berlusconi.
Gnutti: Ci sono già stato ieri sera.
Ivano: Avresti dovuto parlargli di…
Gnutti: …L’ho fatto!… quindi a Berlusconi ho detto che con buona probabilità andrò in appoggio anche di là perché mi pare corretto e giusto e Berlusconi ha detto che faccio bene… Io ho detto a Berlusconi che a noi interessa molto appoggiare Giampiero (Fiorani) perché dall’altra parte stiamo facendo quell’altra… Per cui, per una questione di equilibrio, si fa una per uno. Berlusconi mi ha detto che faccio bene.
Gianola, su “L’Unità”, riferisce di una cena tra Letta e Consorte (“E Letta disse a Consorte: andate avanti”, in “L’Unità”, 12 dicembre 2005).
[9] R. Gianola, art. cit.
[10] La stessa Deutsche Bank di De Bustis pesantemente coinvolta anche nel crack Parmalat con il “bond fantasma” di 350 milioni di euro del settembre 2003. Su questo, La grande truffa, op. cit., pp. 167-173.
[11] La Bnl negli anni ’80, attraverso la propria filiale di Atlanta, ha venduto armi a Saddam Hussein, allora sostenuto dall’Occidente contro l’Iran di Khomeini.
[12] Gianola, art. cit.
[13] Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea annuale del 26 maggio, riguardo alla “malintesa battaglia per l’italianità delle banche” ha sottolineato: “Ne sono seguiti incontri più o meno riservati presso le autorità, manovre incrociate, emersione di nuovi soggetti e di capitali misteriosi, rastrellamento di azioni sul mercato, scalate clandestine, sospetti e accuse di insider trading, denunce di azioni di concerto, interventi della magistratura. Niente di più lontano da produzione e lavoro”. Per poi aggiungere, a braccio: “E nel Paese, soprattutto nella sinistra, abbiamo sentito troppi silenzi” (Diario, op. cit., pp. 61 e 64).
[14] “Si può ipotizzare uno scenario: qualcuno sta caricando di fango un ventilatore che quando verrà acceso non sarà indirizzato solo verso Consorte e l’Unipol – a questo punto che comprino o no la Bnl è quasi secondario – ma sarà rivolto verso i vertici dei ds. Ma forse ci sbagliamo. Buon Natale”, in Ginola, art. cit.