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Da La Rinascita della Sinistra, 22/12/06
 
Il dollaro, i debiti, l'impero
Se il biglietto verde diventa un problema per gli Usa
 
di Domenico Moro
 
John Connolly, segretario di Stato all'epoca di Nixon, era solito dire che «il dollaro è la nostra moneta ma il vostro problema», intendendo dire che gli Usa potevano, manovrando sulla loro valuta, scaricare i loro problemi sugli altri paesi. Oggi questo è sempre meno vero e il biglietto verde è diventato un problema anche per gli stessi Usa. Dagli anni 70, quella in corso è la terza svalutazione del dollaro, che dal 2002 ha perso il 22% del suo valore. Il decremento è, come nelle precedenti occasioni, collegato all'enorme deficit delle partite correnti, che nel 2006 arriverà a 869 miliardi di dollari (il 6,6% del Pil).
 
Le ragioni dell'enorme indebitamento risiedono nella decadenza dell'economia Usa, che si è progressivamente spostata dalla produzione alla speculazione. Questo processo è stato accelerato dalla crisi mascherata da una crescita del Pil sostenuta, artificialmente, dal colossale indebitamento dello Stato e delle famiglie. La riduzione complessiva del reddito dei lavoratori, dovuta al restringimento della base produttiva dell'industria e alle delocalizzazioni, è stata compensata con il ribasso dei tassi d'interesse, che ha prodotto la bolla immobiliare e l'indebitamento delle famiglie, incrementando il debito commerciale con l'estero.
 
La possibilità di finanziare i debiti, mantenendo al contempo bassi i tassi d'interesse, è stata garantita dall'acquisto di titoli del Tesoro Usa da parte dei paesi dell'estremo oriente e dei paesi produttori di petrolio, che hanno ampliato le loro riserve in dollari. Ma l'economia statunitense e ormai in una fase di "putrefazione", e, impossibilitata a svilupparsi con l'espansione delle forze produttive e con l'aumento della produttività, deve ricorrere sempre più massicciamente all'esercizio del dominio imperiale, imponendo agli altri paesi una vera e propria estorsione.
 
All'imperialismo coloniale, come quello britannico, che finanziava i propri disavanzi commerciali con gli attivi dell'india, si è sostituito l'imperialismo valutario, che impone il dollaro come valuta mondiale. Nel passato, il completo controllo sul mercato valutario internazionale permetteva agli Usa di ridurre il deficit delle partite correnti attraverso la svalutazione del dollaro, scaricando la crisi sui paesi detentori del loro debito, che trasferivano così quote di ricchezza in mani americane.
 
Oggi, questo meccanismo è entrato in crisi, in parte perché il dollaro sta perdendo attrattiva, essendo trascinato a fondo dallo sgonfiamento della bolla immobiliare e dalla previsione della recessione nel 2007, e soprattutto perché l'euro ne sta intaccando la posizione dominante, divenendo moneta di riferimento per molte divise e raggiungendo, come liquidità e ampiezza dei mercati finanziari, i livelli della valuta americana.
 
Il dollaro si è svalutato, infatti, soprattutto nei confronti dell'euro, perdendo ben il 35% del suo valore tra il gennaio 2002 ed il dicembre 2006. Ciò corrisponde alla riduzione del peso degli Usa sull'economia mondiale, dimostrato anche dal calo, negli ultimi cinque anni, delle loro importazioni dal 21% al 16% della quota mondiale. E' stata l'Asia e non gli Usa a fare da traino all'economia mondiale nel quinquennio di maggior crescita dagli anni '70. Infatti, le esportazioni europee verso l'Asia risultano sempre più consistenti, raggiungendo nel 2005 i 244 miliardi di euro, 44 in più che nel 2001, mentre quelle verso gli Usa si sono fermate ai 185 miliardi, all'incirca la stessa cifra di quattro anni fa.
 
Si determina, quindi, una situazione che favorisce la diversificazione delle riserve valutarie dei paesi dell'area del dollaro, anche a fronte dell'alternativa rappresentata dall'euro. Gli Usa, quindi, sono in una situazione molto difficile, e la guerra in Iraq, condotta soprattutto allo scopo di mantenere le zone petrolifere più importanti all'interno dell'area del dollaro, non ha sortito grandi effetti sul rafforzamento della loro valuta. Inoltre, la Banca centrale europea ha introdotto di recente il quinto rialzo dei tassi d'interesse, al 3,5%, rendendo più difficile agli Stati Uniti un ribasso dei loro tassi, che penalizzerebbero la loro moneta.
 
In una logica imperiale, se il comando militare si indebolisce, anche la moneta perde vigore, Dunque, l'esito negativo della guerra in Iraq rende più vulnerabile il dollaro e più probabile il pericolo di nuove azioni di guerra, le cui avvisaglie si sono avute questa estate con l'attacco israeliano al Libano, da parte di un'amministrazione Usa che non deve neanche confrontarsi con l'incognita di una rielezione.