www.resistenze.org - osservatorio - economia - 27-06-09 - n. 280

Il debito USA e l’attacco del BRIC a re dollaro
 
di Domenico Moro
 
Proprio oggi Il Sole24ore, come altri quotidiani, scrive che c’è “aria di ripresa”. Per la verità una ripresa sembra molto aleatoria, mentre molto meno aleatori sembrano gli effetti negativi delle misure anticrisi. Nel tentativo di tamponare la crisi il governo degli Usa e gli altri governi dei paesi avanzati hanno pompato somme enormi nel sistema finanziario ed economico, mentre le banche centrali hanno ridotto allo zero il costo del denaro. La conseguenza principale è stata l’aumento dei deficit annuali e dei debiti pubblici soprattutto negli Usa.
 
Il ricorso al debito pubblico e all’abbassamento del costo del denaro non è una novità. La crisi attuale ha origini lontane, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. Fu in quel periodo che il debito pubblico Usa cominciò a crescere, raggiungendo, alla fine del secondo mandato del presidente Ronald Reagan, il 41% del Pil. Da allora il debito ha continuato a salire, specialmente durante i due mandati di Bush II. L’esplosione della spesa pubblica attuale va a sommarsi, quindi, al consistente debito preesistente, che, però, non ha impedito il verificarsi di questa crisi e che negli ultimi venti anni ha favorito il prodursi di varie bolle speculative.
 
Il deficit pubblico degli Usa passerà dal 3,2% del 2008 al 12,9% del Pil nel 2009, mentre nel 2010 non scenderà sotto l’8,5%. Un livello eccezionalmente alto, specie considerando che, secondo l’Ocse, l’Italia, tradizionalmente poco in regola con i conti pubblici, sosterrà un deficit del 5,3% nel 2009 e del 5,8% nel 2010. Nonostante le enormi risorse profuse, i risultati ottenuti sono mediocri tanto che la Banca mondiale ha dovuto correggere al ribasso le stime del Pil globale nel 2009 da -1,75% a -3%. Gli effetti dei debiti pubblici sono invece forieri di nuovi pericoli.
 
Il debito pubblico Usa, che sfiorerà il 100% nel 2009, ha condotto già oggi al deprezzamento del dollaro, e nel futuro immediato al pericolo che il governo Usa ricorra all’inflazione per ridurne il peso. Se Moody ha confermato la tripla A (indice di massima affidabilità) per il debito Usa, ha però anche lanciato un monito sulla sua crescita incontrollata, rafforzato dall’aumento delle banche in sofferenza (+21% rispetto ai tre mesi precedenti) e dal numero dei fallimenti bancari, che nel 2008 coinvolsero 25 banche e che nel 2009 sono già a quota 36.
 
La prima conseguenza del dollaro debole, insieme alla ripresa della speculazione favorita dal basso costo del denaro, è la crescita del prezzo del petrolio, quotato in dollari, e la creazione delle premesse per una nuova bolla sulle materie prime. La seconda e più importante conseguenza è sulla mondializzazione dell’economia, che fino ad ora si è basata proprio sul ruolo di valuta mondiale del dollaro.
 
I maggiori finanziatori dell’economia Usa e principali detentori di buoni del Tesoro Usa sono anche i principali detentori di surplus commerciali mondiali (a parte la Germania), ovvero la Cina, il Giappone e la Russia, che insieme all’India e al Brasile si riuniscono in un gruppo denominato Bric. Questi Paesi non sono molto contenti del fatto che il valore delle loro riserve in dollari possa decurtarsi a causa della svalorizzazione del dollaro e che gli Usa scarichino la crisi sulle loro spalle.
 
Il timore che si riducano gli acquisti di titoli di stato, ha condotto in Cina prima il ministro degli esteri Usa, Clinton, e a giugno quello del tesoro, Geithner, a chiedere che il Paese estremo orientale non smetta di acquistare i Treasury bonds. Nonostante queste visite, negli ultimi tempi l’appetito per i titoli di stato Usa si è ridotto e gli acquisti sono in calo. Secondo il Tesoro Usa la Cina ha ridotto i titoli Usa da 767,9 miliardi a 763,5, il Giappone da 686,7 a 685,9, e la Russia da 138,4 a 137.
 
Per la prima volta l’euro ha superato il dollaro nelle riserve valutarie russe, passando dal 42% sul totale del gennaio 2008 al 47,5% del gennaio 2009, mentre il dollaro è sceso dal 47% al 41,5%. Ancora più grave per gli Usa è che nell’ultimo incontro, a giugno, del Bric si sia avanzata nuovamente la proposta, già sostenuta da Russia e Cina nei mesi scorsi, di sostituire il dollaro come moneta mondiale e che si pensi di investire in bond del Fondo monetario internazionale, emessi nell’unità di conto dell’Fmi, i diritti speciali di prelievo. A tale emissione la Cina contribuirà con 50 miliardi di dollari, la Russia e il Brasile con 10 miliardi.
 
Dietro tale proposta ci sono sia la preoccupazione per il debito Usa, sia la volontà di dare maggiore peso alle economie ed alle valute del Bric, ridimensionando la loro dipendenza dal dollaro. Pure preoccupante, per il ruolo di valuta mondiale del dollaro e per la strategia Usa di contenere la Cina controllando le fonti energetiche, è il previsto aumento delle esportazioni petrolifere verso la Cina da parte della Russia in rubli anziché in dollari.
 
In ogni caso, ora è a rischio la capacità della domanda di tenere testa all’offerta di Treasury bonds, la cui emissione deve essere aumentata per finanziare il massiccio programma di spese statali. Intanto, se si considerano insieme i titoli Usa a lungo e a breve termine, il saldo è negativo per 2,6 miliardi, mentre i rendimenti dei titoli negli ultimi tempi sono andati in rialzo, fino al 4%, un altro segnale della difficoltà a collocarli al pubblico.
 
Si può concludere dicendo che, in primo luogo, la crisi non è finita, perché non è stata risolta la sovrapproduzione di capitali e di merci esistente, che è la causa da cui è nata. Inoltre, esistono ancora almeno tre miliardi di perdite nel sistema bancario ancora da colmare. Le misure di controllo dei mercati, che in un primo tempo erano state quasi unanimemente giudicate come necessarie, sono ostacolate dalle lobby finanziarie, che, impazienti di riprendere le proprie attività speculative, stanno accelerando i tempi di rimborso dei prestiti statali, nonostante gli inviti di Geithner a prendere tempo.
 
Infine, la volontà Usa di basare la propria ripresa non solo sul debito ma soprattutto su un debito pagato dal resto del mondo, unitamente al basso costo del denaro, sta creando i presupposti per nuove bolle e soprattutto per nuovi squilibri mondiali, aumentando così le tensioni e la conflittualità internazionale.