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- osservatorio - economia - 18-11-09 - n. 295
dall’autore
Crisi economica internazionale e ruolo della Cina
di Giuseppe Amata
1. Due notizie che negli ultimi giorni sono arrivate dalla Cina meritano attenta riflessione. La prima riguardante i dati sul terzo trimestre dell’economia denotano un amento del PIL superiore al 10%, mentre le esportazioni sono diminuite di più del 25% e le importazioni sono pure diminuite intorno al 15%. La seconda si riferisce alla visita ufficiale di Obama in Cina, in qualità di presidente degli Stati Uniti, dopo aver già incontrato qualche giorno prima il presidente cinese Hu Jintao in occasione della riunione APEC. Tra le due notizie c’è molta attinenza di discussione, come si evince dal presente scritto.
2. I dati economici evidenziano:
a) Il PIL in Cina nel 2009 si attesterà al di là dell’obiettivo prefissato dell’8%, grazie all’aumento degli investimenti pubblici in agricoltura e nelle zone meno sviluppate, i quali hanno bloccato ed in alcune regioni attenuato l’incremento della disoccupazione, che si era avvicinata alla fine del 2008 alla soglia limite fissata dal governo al 5%, pena l’instabilità sociale, creando nello stesso tempo possibilità di un maggior consumo.
Intervenendo martedì 17 novembre ad un Forum Internazionale a Beijing il presidente del Fondo Monetario Internazionale Strass-Kahn ha sostenuto che la Cina è «avviata a trainare l’economia mondiale per farla uscire dalla recessione e giocare un ruolo importante per effettuare una riforma a lungo termine e realizzare un nuovo equilibrio dell’economia mondiale. Secondo le previsioni del FMI la Cina realizzerà una crescita economica tra l’8,5% ed il 9% nel 2010 e supererà largamente la media mondiale»;
b) la diminuzione delle esportazioni è la conseguenza di diversi fattori: innanzitutto la crisi che persiste nel mondo capitalistico, la quale ha ridotto i consumi delle masse popolari; poi le misure protezionistiche praticate dal governo americano e da altri governi sulle merci provenienti da paesi terzi e ciò in barba alle tanto declamate affermazioni sul libero scambio di smithiana memoria, il quale come la storia attesta dal grande pensatore inglese del Settecento fino ai nostri giorni vale quando il libero scambio serve alla o alle potenze capitalistiche più forti per dominare i paesi deboli e guai se questi impediscono alle merci dei paesi capitalistici la libera circolazione nei loro paesi; è come dire una “violazione dei diritti umani”. Ed infatti l’Inghilterra era liberista fino a quando i grani americani (dopo l’indipendenza degli USA) arrivarono a prezzi competitivi sui mercati europei, compreso quello inglese; così gli USA dopo la caduta del muro di Berlino per invadere i mercati dell’est e rapinare le risorse di quei paesi hanno sostenuto lo scioglimento del GATT in seno ONU e creato il WTO per assecondare il loro dominio nel mondo, pensando che dopo il crollo dell’URSS sarebbe stata la volta della Cina ed invece la Cina ha resistito ed ora gli USA diventano protezionisti verso le merci cinesi ed anche verso quelle europee;
c) la diminuzione delle importazioni è una conseguenza della minore entrata di valuta in seguito alla riduzione delle esportazioni, ma anche all’esplicito divieto che alcuni governi capitalistici impongono alle loro aziende di vietare l’esportazione in Cina di alcuni impianti considerati «strategici». Ed infatti la Cina ne soffre perché ciò che prevalentemente importa non sono merci di consumo alimentari o di larga diffusione, bensì alta tecnologia, indispensabile a completare il «processo di modernizzazione»
3. Cosa rappresentano i risultati economici della Cina nel contesto internazionale? Principalmente ciò che segue:
a) che la Cina, pur essendo integrata nell’economia internazionale, ha non solo ha attenuato i danni della recessione mondiale (nel 2008 ha avuto un incremento del PIL del 6,9% mentre in Europa ed in America il PIL è diminuito del 5%), ma rilanciato nel 2009 la sua economia puntando sull’aumento del mercato interno e quindi sull’incremento del potere d’acquisto delle masse popolari e diminuendo seppur leggermente i notevoli scarti tra redditi alti e redditi bassi, sia con riduzioni delle remunerazioni manageriali, sia con una diversificazione delle imposte e con la diffusione dei prestiti da parte delle Banche pubbliche ai piccoli e medi operatori privati (a differenza di quanto è avvenuto in Occidente dove i prestiti i governi li hanno concessi alle grandi banche, mentre le medesime hanno chiuso i rubinetti del prestito alle famiglie ed alle piccole e medie imprese, proprio per aumentare la forza del capitale finanziario e dei grandi monopoli a spesse delle piccole imprese);
b) che la distribuzione degli investimenti pubblici è stata ponderata in tutto il territorio, con maggiore attenzione alle aree del centro-ovest in via di sviluppo, a quelle del nord-est protese a ristrutturare i vecchi impianti industriali ed infine all’agricoltura ed ai bassi redditi del settore agricolo; che le aziende pubbliche che lavorano principalmente per il mercato interno non hanno subito danni dalla crisi economica mondiale, mentre quelle private orientate sull’esportazione sì;
c) che già si pensa che nel prossimo piano quinquennale 2011-2015 l’aspetto principale dovrà essere caratterizzato dalle riduzioni delle differenziazioni sociali e territoriali per realizzare «un’economia socialista di mercato, fondata sull’armonia e sul benessere degli abitanti».
4. I problemi che rimangono aperti dalla crisi economica mondiale, la quale a mio modesto avviso è lungi dall’essersi fermata, come invece ormai gli uomini di governo, dei circoli finanziari internazionali e dei centri studio affermano, sono:
1) l’indebitamento estero americano e le ripercussioni su un dollaro sempre più debole;
2) la maggiore conflittualità tra paesi capitalistici per l’accaparramento delle risorse mondiali, secondo la legge enunciata da Lenin sullo sviluppo economico diseguale; ciò pone in conflitto economico oggi gli USA con L’Unione Europa, con il Giappone, con la Russia e con la Cina, anche se questi conflitti al momento non hanno risoluzioni militari dirette che sarebbero catastrofiche per l’umanità ma si rimbalzano di volta in volta da accordi economici e commerciali che avvantaggiano o gli uni o gli altri;
3) il rafforzamento delle riserve della Banca di Stato della Cina in oro, con minor peso del dollaro; così anche di quella russa e dei paesi produttori di petrolio;
3) un allentamento della Cina ad acquistare T-bond americani; ma in ogni caso il debito pubblico americano è in mano della Cina;
4) la messa in discussione del dollaro come unica moneta di riferimento internazionale, non solo in seguito al rafforzamento dell’euro e dello yen, ma anche dai continui scambi cinesi con i paesi del Terzo Mondo sulla base del valore dello yuan;
5) L’insistenza con cui ora apertamente anche la Cina, dopo la Russia ed il Venezuela, chiede la costituzione di una nuova riserva valutaria al posto del dollaro per regolare gli scambi internazionali.
5. In questo contesto internazionale la visita di Obama in Cina ha acquistato un particolare significato, come emblema di un vertice tra due grandi potenze, le quali nonostante le differenze di vedute sulla situazione internazionale e gli interessi contrapposti nel divenire, per il prossimo futuro sono condannati a trovare una coesistenza economica nel loro reciproco interesse perché le loro economie sono complementari e perché gli USA sono indebitati con la Cina e non possono fare la voce grossa, come fanno con paesi medi o piccoli, come Cuba, Venezuela, Iran o Corea del nord e tanti altri dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.
Quindi, nonostante le divergenze e i reciproci rimproveri (gli USA vogliono la rivalutazione dello yuan, la Cina chiede l’eliminazione del protezionismo) è stato sottoscritto un aumento della cooperazione tra i due paesi, mentre acquista significato a livello internazionale nei confronti dei popoli del mondo il peso economico e quindi politico della Cina da poter ormai realizzare un dialogo alla pari con gli USA. Se vogliamo fare un accostamento banale con il dialogo sovietico-americano degli anni 60, 70 e 80 notiamo che quest’ultimo era fondato sull’equilibrio militare e sul peso politico dell’URSS che però mano a mano si indeboliva, allorché l’economia sovietica ristagnava e s’impelagava nella corsa al riarmo imposta dagli Usa; mentre questi ultimi, approfittando dello scambio economico diseguale a danno dei paesi deboli e della forza del dollaro a livello internazionale finanziavano la loro economia ed il loro debito e procedevano all’automazione ed all’informatizzazione dei loro apparati produttivi. Ora invece la Cina ha realizzato una potente economia, che le permette di dotarsi anche di una strategia miliare difensiva altamente sviluppata. Gli aerei militari cinesi sono realizzati all’interno del paese ed a partire dal 2016 la Cina realizzerà propri aerei da trasporto e non sarà subordinata all’acquisto dei vettori dalle compagnie straniere. Ciò creerà una competizione economica, dopo quella che si comincia ad intravedere nel settore automobilistico che per più di un secolo è stato monopolio americano e per mezzo secolo oligopolio diffuso con Europa e Giappone.