www.resistenze.org - osservatorio - economia - 24-10-11 - n. 382

da Counterpunch.org - www.counterpunch.org/2011/10/21/what-quantitative-easing-really-means/
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Il gioco d’azzardo della Fed
 
Il vero significato del Quantitative Easing
 
di Ismael Hossein-Zadeh
 
21/10/2011
 
Spogliato del gergo sofisticato (e mistificante), il Quantitative Easing (Alleggerimento quantitativo, QE) significa semplicemente aumento della quantità di massa monetaria o allentamento delle condizioni di credito con la speranza di stimolare l’economia stagnante. Esso è effettuato solitamente tramite l’iniezione da parte delle banche centrali di una determinata quantità di denaro nelle casse delle banche commerciali in cambio dell’acquisto delle proprie attività finanziarie, che consistono in gran parte di titoli di Stato. Anche se in genere è fatto elettronicamente o su carta, il suo effetto pratico è identico a quello che si ottiene stampando moneta.
 
Questa vorrebbe essere una politica monetaria espansiva atta a favorire la ripresa economica. La logica alla base di questa politica è che l’aggiunta di nuovi fondi al capitale di base delle banche commerciali (a un tasso d’interesse prossimo o identico allo zero) gli consentirà di estendere a loro volta nuovo credito alle imprese e/o industrie a costi ragionevolmente bassi in modo che queste ultime siano incoraggiate a richiedere prestiti, per espandersi e assumere, creando quindi crescita e prosperità.
 
Mentre in certe circostanze (quando l’offerta di denaro o i mercati dei capitali sono ristretti, i tassi d’interesse sono troppo alti e la domanda effettiva o potere d’acquisto è forte) questo può funzionare, sotto le attuali condizioni di mercato (in cui non vi è mancanza di capitale, il tasso d’interesse o costo del denaro è già basso e la domanda effettiva è molto debole) è destinato a fallire, come in realtà sta miseramente accadendo.
 
L’indebitamento e investimento per la produzione di beni sono deboli non perché ci sia una carenza di fondi investibili (le grandi imprese poggiano su più di 2.000 miliardi di dollari in contanti, ma non assumono) o perché il costo del denaro sia troppo elevato, come viene implicitamente assunto dai guru del QE, ma perché la domanda aggregata è troppo debole e le incerte condizioni di mercato non giustificano investimenti ed espansione. Inoltre, le aziende preferiscono produrre non nel loro paese ma dove la manodopera è più conveniente a livello globale.
 
Allo stesso modo, la riluttanza da parte delle banche a concedere credito alle imprese non è dovuta alla mancanza di capitale, ma perché trovano più conveniente investire nella speculazione, cioè in acquisto e vendita di beni e/o titoli come obbligazioni, azioni, materie prime, immobili, valute e simili, attività destabilizzanti che tendono a creare bolle speculative, seguite inevitabilmente da scoppi. Parassiti scoperti tempo fa per i quali è più facile succhiare il sangue dal corpo degli organismi viventi che produrre da zero. Karl Marx ha utilizzato una metafora ancora migliore per caratterizzare il capitale finanziario parassitario:

“La completa reificazione, il rovesciamento e la follia del capitale come capitale produttivo d’interesse… è il capitale… quando appare come un Moloch che pretende il mondo intero come vittima a lui spettante” [1]

 
Questo spiega perché, invece di aumentare la produzione industriale e accrescere l’occupazione, i 1.200 miliardi di dollari che la Federal Reserve ha pompato nelle casse delle banche commerciali attraverso due turni di QE ha semplicemente portato ad ulteriore finanziarizzazione dell’economia, che spiega la lievitazione significativa dei prezzi di alcuni asset negli ultimi anni, soprattutto l’aumento considerevole dei prezzi di certe azioni così come l’aumento drastico del prezzo di alcune materie prime importanti come riso, grano e petrolio.
 
Per lo stesso motivo, si spiega anche perché la politica del QE abbia ulteriormente aggravato la disuguaglianza di reddito e ricchezza sia in Europa che negli Stati Uniti, in quanto ha giovato solo all’elite finanziaria ma non all’interesse pubblico. “L’evidenza suggerisce che la liquidità del QE finisce per la stragrande maggioranza in profitti, aggravando così le differenze di reddito già estreme e le tensioni sociali che ne derivano”, riferisce Dhaval Joshi, di BCA Research. Joshi inoltre indica che i salari reali - al netto dell’inflazione - sono caduti sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, dove il QE è stato utilizzato per promuovere la crescita. “La cosa scioccante è che in due anni di apparente ripresa, i lavoratori [britannici] hanno in realtà guadagnano meno che nel picco della recessione. I salari reali sono diminuiti di 4 miliardi di sterline. I profitti sono cresciuti di 11 miliardi di sterline. I vantaggi della ripresa sono stati suddivisi nel più ineguale dei modi”. In Germania, intanto, dove non vi è stato alcun QE, i salari reali sono aumentati.
 
Non è irragionevole, quindi, concludere che l’oligarchia finanziaria stia usando il QE essenzialmente come uno strumento politico legale per arricchirsi ulteriormente a spese di tutti gli altri. Non soltanto i giocatori d’azzardo di Wall Street sono stati in grado di salvare se stessi grazie ai 16.000 miliardi di dollari dei contribuenti, ma ora possono godere di ulteriori migliaia di miliardi del QE per diventare ancora più ricchi e grandi.
 
Supponiamo per un momento che, come pretendono governo e Federal Reserve, il QE sia onestamente concepito per essere una politica monetaria espansiva allo scopo di stimolare l’economia. Se è così, allora perché il governo persegue allo stesso tempo una politica fiscale restrittiva, muovendosi cioè in una direzione di politica monetaria opposta con il taglio della spesa sociale a tutti i livelli del settore pubblico?
 
La risposta è che, mentre dal punto di vista degli interessi nazionali o pubblici le due politiche si contraddicono a vicenda, sono abbastanza coerenti dal punto di vista dei giocatori d’azzardo di Wall Street: sia la politica monetaria apparentemente espansiva che la brutale e severa politica fiscale restrittiva servono i nefasti interessi dell’aristocrazia finanziaria. E’ difficile credere che i responsabili delle politiche economiche non vedano questa ovvietà: che le loro politiche monetarie e fiscali si contraddicono a vicenda. Ma, allora, forse non è tanto una questione di sapere economico o di competenza politica, quanto di una malvagia preferenza e perversa lealtà verso potenti interessi particolari da servire.
 
NdT
1. “Appendice” al III vol. delle Teorie sul plusvalore, pg 491
 
 

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