www.resistenze.org - osservatorio - economia - 31-10-13 - n. 473

Crisi agraria come crisi della piccola proprietà nel capitalismo globalizzato

Raju J Das (*) | mrzine.monthlyreview.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/10/2013

Il tema della crisi agraria è ovunque. Che cosa vuol dire, però?

Sappiamo che cosa significa "agraria". Si riferisce all'agricoltura e ai suoi rapporti sociali.

Che cosa significa "crisi"? Significa un problema (o una serie di problemi). Non si tratta però un problema comune, bensì di un grosso problema, del tipo che deve essere affrontato immediatamente.

Crisi agraria, poi, davvero si riferisce a un problema (o una serie di problemi) nei settori dell'agricoltura e nei suoi rapporti sociali, che deve essere affrontato con urgenza.

Ma qual è il problema? Quando la gente pensa alla crisi agraria, spesso ha in mente i suicidi dei contadini, la loro povertà, ecc. In India, Utsa Patnaik, P. Sainath e altri hanno scritto molto sull'argomento. Sappiamo che ogni mezz'ora un contadino o contadina si uccidono. Sappiamo che in agricoltura i costi aumentano molto più velocemente del reddito. Sappiamo che gli agricoltori sono fortemente indebitati. Sappiamo che l'ecologia della campagna viene distrutta dal processo di produzione orientato al profitto. Sappiamo che lo Stato non sta facendo tanto quanto (apparentemente) soleva fare per i contadini. E così via.

Mentre della crisi agraria ne sappiamo ora molto di più di prima, ecco che si presenta il grande problema dell'impressione, che generalmente si ha, per cui questo sia un problema legato all'agricoltura, alle aree rurali di un paese povero come l'India.

I contadini dei ricchi paesi imperialisti vengono spesso presentati come una classe privilegiata nei confronti dei loro omologhi in India. Pur senza negare che le condizioni dei contadini dei paesi ricchi non sono così precarie come quelle, per esempio, dell'India, la sottostante disuguaglianza strutturale su base nazionale è esagerata. Spesso è anche implicita l'idea che invertendo la tendenza al ritiro dello Stato da questo settore o attraverso l'introduzione di una "economia-sociale" dei contadini (ad esempio i meccanismi di auto-aiuto, le piccole cooperative agricole di vendita o anche di produzione) o una combinazione di queste due cose possano affrontare la crisi. Mentre questi meccanismi possono attenuare la crisi nel breve periodo e/o in alcune località, non è chiaro come possano fare di più.

Io sostengo che la crisi agraria non sia interamente da circoscrivere all'agricoltura e alle aree rurali. Si tratta di un problema più ampio. La crisi agraria, del resto, non è certo un problema affrontato solo dai paesi poveri: migliaia di agricoltori stanno fallendo in Canada, anche in zone non lontane da dove sto scrivendo questo articolo, e negli Stati Uniti ci sono stati dei suicidi. Gli agricoltori nei paesi ricchi stanno lentamente perdendo il controllo sul processo agricolo, con debiti che costituiscono la gran parte del patrimonio totale, rendendoli proprietari quasi nominali. Sono più o meno completamente strangolati dall'imperativo di dover acquistare costosi input agricoli da grandi imprese come la Monsanto.

Abbiamo necessità di intendere la crisi agraria in modo meno nazionalista e specialistico. La crisi agraria - e problemi simili - non deve essere vista al di fuori del quadro generale del capitalismo come rapporto di classe mondiale. Di seguito sono esposte 13 tesi che cercano di esplorare il quadro strutturale per comprendere la crisi.

1. La legge del valore è importante: il valore individuale di un bene deve, più o meno, prima o poi, conformarsi al valore sociale. La quantità totale di tempo di lavoro incorporato in lavoro vivo e lavoro morto (ad esempio, macchine, strumenti, materie prime lavorate) necessaria per la produzione di una merce in una fattoria o in una fabbrica deve essere vicino alla media del settore di cui tale fattoria/fabbrica è parte. In termini di prezzo, il costo di produzione di una merce in una fattoria o una fabbrica deve essere competitivo, vicino al costo sociale medio.

2. La legge del valore è fondamentalmente e in definitiva un processo internazionale. Il crescente utilizzo di tecnologie (ad esempio nuove sementi, nuove macchine) va visto come una parte di questo processo, un processo di riduzione di valore (cioè di produzione a costi inferiori).

3. Lo Stato può intervenire per colmare il divario tra i due valori: individuale e sociale. Questo ruolo può essere giocato a volte e in alcuni luoghi anche da istituzioni dell'economia sociale, incluse la filantropia, le ONG e i gruppi di auto-aiuto. Se un imprenditore produce cotone o auto, al valore sociale o al al di sopra di esso (se il suo costo è maggiore del costo medio nella sua industria, che comprende molte fattorie/fabbriche), lo Stato può fare in modo che la distanza tra il valore sociale e il valore individuale sia ridotta al minimo, in modo che l'imprenditore possa rimanere in attività a dispetto di essere (in qualche modo) inefficiente.

4. Fino agli anni Settanta (e in alcuni paesi come l'India fino alla fine degli Ottanta), lo Stato aveva giocato questo ruolo di ponte in favore degli agricoltori, così come di altri tipi di proprietari.

5. Ma lo stesso Stato (come le altre istituzioni simili) è soggetto alla legge del valore, in quanto dipendente dalla creazione e dalla circolazione del valore. Anche se lo Stato è esso stesso un produttore, non può continuare a ignorare all'infinito la legge del valore, l'imperativo di produrre a un "costo" medio sociale, per tagliare i costi. La caduta dei sistemi ex socialisti, la neoliberalizzazione di quelli statalisti nei paesi capitalisti del Terzo mondo, e la grave crisi del cosiddetto welfare nei paesi ricchi rinforzano questo processo.

Lo Stato non può continuare a svolgere il ruolo di "adattatore di valore" per troppo tempo. Non può farlo soprattutto dopo che il capitalismo - e la sua legge del valore - è diventato, in realtà, sempre più mondializzato.

6. Questo ha portato la legge del valore ad agire come fosse una forza naturale, distruggendo i proprietari inefficienti. Se il costo di produzione di una merce o di un servizio è sempre al di sopra della media, quell'unità produttiva è in difficoltà.

7. Date le economie di scala (quando le merci sono prodotte in grandi quantità, il costo di produzione per unità di merce tende a ridursi), i piccoli proprietari tendono ad essere inefficienti. (E' chiaro che a volte possono deprimere i propri livelli di consumo - così come i livelli di consumo delle persone cui fanno ricorso tramite l'erogazione di un salario - per rimanere in attività. Come è altrettanto chiaro l'utilizzo di relazioni di genere, razza, casta e famiglia per tagliare i costi, ad esempio le rimesse di un famigliare possono aiutare un'attività in perdita a rimanere a galla, mentre relazioni di genere e di altro tipo sono utilizzate per deprimere i salari)

8. La cosiddetta crisi agraria è davvero, in larga misura, una crisi dei piccoli proprietari, inclusi i capitalisti su piccola scala. Si tratta di una crisi dei proprietari più piccoli, sotto il dominio del capitale come rapporto sociale globale, sotto il dominio della legge del valore. Non solo.

9. L'altra faccia della crisi agraria è la crisi dei mezzi di sussistenza dei lavoratori coinvolti nella produzione. Poiché l'imperativo del taglio dei costi diventa forte e globalizzato, non c'è solo una tendenza verso la disoccupazione/sottoccupazione (a dispetto di palliativi come i modelli a garanzia occupazionale). Tale imperativo porta anche ad una situazione in cui i salari pagati dai piccoli capitali sono appena sufficienti per una vita decente (con questo non voglio dire che i grandi capitali paghino veramente dei salari decenti). Il lavoro agricolo, compreso quello discontinuo impiegato dai piccoli capitali rurali (comprese le attività non agricole), è una parte dell'espansione dell'esercito di riserva mondiale. In altre parole: il super-sfruttamento del lavoro contadino è parte della crisi agraria, che, a sua volta, è parte della crisi dei piccoli capitali (e quest'ultima crisi è, a sua volta, parte della crisi terminale del capitalismo in atto, che non può essere discussa nello spazio limitato di questo articolo).

La crisi agraria non è interamente degli agricoltori e dei contadini. E' investito anche il lavoro. Non si tratta di capitalismo agrario o rurale. Si tratta di capitalismo tout court.

10. Poiché ci sono piccoli capitali - o proprietari di piccole dimensioni, compresi quelli che possono assumere alcuni lavoratori salariati - in tutti i paesi del mondo (ricchi e poveri) c'è una crisi della piccola proprietà.

In altre parole, vi è una tendenza globale verso la leninizzazione, cioè una tendenza globale verso la differenziazione di classe, la concentrazione e la centralizzazione. Questo include: a) un processo di espansione della classe operaia globale, che sta vivendo una vita precaria; b) un processo di graduale uscita dall'attività produttiva per il piccoli proprietari; c) un processo di aumento del controllo da parte di poche persone delle risorse materiali della società (tra cui la terra degli ex proprietari).

Come piccoli proprietari, gli agricoltori dei paesi ricchi e quelli dei paesi poveri condividono alcuni fondamentali interessi comuni. E' il capitalismo la causa comune della loro precaria condizione, della loro crisi.

11.Come il modello marxiano di capitalismo come rapporto globale (di cui Marx parla così eloquentemente nel Manifesto) diventa realtà, così fa il modello di Lenin dello sviluppo del capitalismo come esposto nel suo Sviluppo del capitalismo [in Russia].

Sì, questa globalizzazione della legge del valore è mediata da vari fattori (tra cui casta/razza/genere, il funzionamento dei gruppi di auto-aiuto, e così via), che possono modificare localmente la legge, producendo locali irregolarità.

Ma la legge stessa è senza dubbio valida. (Ai fini dell'analisi, sto astraendo dall'altro processo endemico al capitalismo, l'espropriazione forzata, inclusa quella dei piccoli proprietari, di cui si è molto parlato e che ha prodotto una piccola industria di studi sul "land grab" [furto di terra]. Questa tradizione di pensiero, più o meno, ignora le condizioni del lavoro contadino e astrae dai rapporti capitalistici di sfruttamento sulla terra).

12. Questa globalizzazione dei rapporti capitalistici ha tutti i tipi di implicazioni. Ci sono cioè implicazioni per la lotta di classe, per la misura entro cui il capitale e il suo Stato possono accogliere richieste di concessioni, per quanto autoritario lo Stato rischi di diventare nel rispondere alle persone in lotta contro la legge del valore per una sua attenuazione, e così via.

13. Se la crisi agraria è una crisi della piccola proprietà e una crisi di sostentamento della classe lavoratrice, una crisi causata dai rapporti capitalistici che operano sempre più a livello globale, ne consegue che la sua soluzione a lungo termine necessiti di una mobilitazione politica concertata su più livelli da parte dei lavoratori e dei contadini/agricoltori contro i rapporti capitalistici globali per creare una società in cui le risorse, inclusa la terra, siano utilizzate in modo ecologico a beneficio di tutti gli esseri umani del mondo.

(*) Raju J Das, York University


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