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Il salario relativo e la tendenza alla caduta del salario reale

Xu He | Trattato di economia politica, Mazzotta edizioni, Milano, pag.175-185
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 

1975

Abbiamo analizzato il salario capitalistico soprattutto sotto l'aspetto qualitativo, mentre ora procederemo all'esame sotto l'aspetto quantitativo, il che significa fare uno studio dei livelli del salario e delle tendenze delle sue variazioni: tale studio ci aiuterà a chiarire ulteriormente i rapporti antagonistici tra borghesia e proletariato.

Poiché in regime capitalistico il salario costituisce la metamorfosi del valore della forza-lavoro, le variazioni quantitative di esso si potranno basare esclusivamente sulle variazioni del valore della forza-lavoro. Nel discutere le variazioni quantitative del salario, Marx mise in rilievo il fatto che la forza-lavoro «rientra nella categoria delle merci e perciò è soggetta alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi».(17) Il prezzo di mercato della forza-lavoro «come quello di tutte le altre merci si adatterà a lungo andare al suo valore».(18)

Ma, come abbiamo già detto, la determinazione del valore della forza-lavoro presenta una differenza rispetto a quella del valore delle altre merci: a determinare il valore della forza-lavoro non è solo un fattore fisiologico, ma anche un fattore storico o sociale. Per continuare a mantenersi in vita e per riprodursi, l'operaio deve disporre di una quantità minima di mezzi di sussistenza: il valore di quelli che, da un punto di vista fisiologico, sono assolutamente necessari costituisce il limite inferiore del valore della forza-lavoro. Oltre che da questo fattore puramente fisiologico, il valore della forza-lavoro dipende anche da un fattore storico o sociale. Le necessità vitali degli operai cambiano incessantemente adeguandosi ai cambiamenti nella tradizione storica, nei costumi sociali e nella condizione economica dei vari paesi, per cui anche i mezzi di sussistenza.usati per soddisfare tali bisogni cambiano senza sosta di qualità e di quantità. Per esempio, quando non esistevano né luce elettrica né radio non potè nascere l'esigenza di tali beni di consumo; ma allorché queste cose furono prodotte in grandi quantità e diventarono normali beni di consumo quotidiani delle masse, dovettero entrare nell'ambito dei mezzi di sussistenza necessari degli operai. Per la stessa regione, oggi che la medicina è ormai grandemente sviluppata, è naturalmente molto aumentata rispetto a prima la quantità di farmaci che bisogna comprendere nei mezzi di sussistenza degli operai.

Pertanto, le variazioni di livello del salario si basano su quelle del valore della forza-lavoro, ma la quantità del salario conserva pur sempre su questa base una grande elasticità.

Infatti, questo «elemento storico o sociale» contenuto nel valore della forza-lavoro «può aumentare o diminuire, e anche annullarsi, in modo che non rimanga che il limite fisico». (19)

Per analizzare la tendenza dei mutamenti di livello dei salari occorre chiarire quali rapporti perdurino tra i cambiamenti quantitativi del salario e quelli di valore della forza-lavoro.

Nell'analizzare la tendenza dei mutamenti quantitativi del salario, bisogna innanzitutto operare la distinzione tra salario nominale e salario reale. Con il salario nominale si indica la quantità di denaro ottenuta dall'operaio quando vende la sua forza-lavoro al capitalista (cioè il salario monetario), mentre con il salario reale si indica invece la quantità di mezzi di sussistenza e di servizi che l'operaio è in grado di acquistare con il salario monetario. Tra il salario monetario e quello reale esistono stretti rapporti: rimanendo invariati gli altri fattori, all'aumentare del salario monetario aumenta pure la quantità di mezzi di sussistenza e di servizi che l'operaio può aver in cambio (in caso contrario diminuisce). Però, poiché l'entità del salario reale non dipende dalla quantità del salario monetario, ma anche dal livello dei prezzi delle pigioni, dagli oneri fiscali, dall'ampiezza numerica dei disoccupati e da molti altri elementi, le varazioni del salario monetario e di quello reale non coincidono mai. Per esempio, in periodo d'inflazione, fermo restando il salario monetario, il salario reale diminuisce a causa dell'aumento dei prezzi; la stessa cosa accadrà anche se il salario monetario sale, ma non raggiunge l'ampiezza dell'aumento dei prezzi. Poiché l'operaio vende la sua forza-lavoro per mantenere la famiglia e guadagnarsi la giornata, e dopo aver preso il salario monetario deve comprarci i vari mezzi di sussistenza e servizi, il salario reale è il solo che può riflettere con esattezza lo stato effettivo dei redditi operai. Proprio perciò, nell'esaminare il movimento del salario, non ci si può limitare a considerare le variazioni del salario monetario, ma bisogna considerare con maggiore attenzione quelle del salario reale.

Tuttavia, né il salario nominale né quello reale possono rispecchiare esattamente i rapporti quantitativi contenuti nel salario. Per considerare la tendenza delle variazioni del salario relativo, cioè del salario confrontato col profitto del capitalista (il plusvalore), si parla anche di salario proporzionale. Tutti sanno che sia il salario sia il profitto traggono origine dal valore appena creato dall'operaio nella produzione: si tratta, di due parti diverse prelevate dallo stesso valore. Dato l'ammontare di tale valore, se una parte di esso aumenta, l'altra necessariamente diminuirà. Ovvero, all'aumentare del profitto il salario diminuirà e all'aumentare del salario diminuirà il profitto. Le variazioni del salario e del profitto si muovono in direzione contraria. Nell'analizzare le variazioni quantitative del salario, bisogna perciò fare attenzione anche ai mutamenti nel rapporto antagonistico tra salario e profitto; condizione indispensabile per mostrare lo sviluppo dei rapporti antagonistici tra borghesia e proletariato.

In regime capitalistico, qual è la tendenza delle variazioni quantitative del salario?

Analizzeremo anzitutto le variazioni del salario relativo. Poiché in regime capitalistico aumentano incessantemente intensità e produttività del lavoro degli operai in seguito al quotidiano estendersi della divisione del lavoro e all'uso su vasta scala delle macchine, in una giornata lavorativa di una certa lunghezza il tempo di lavoro necessario per produrre i mezzi di sussistenza di cui gli operai hanno bisogno diminuisce di giorno in giorno, mentre invece aumenta il tempo di pluslavoro che produce plusvalore. Evidentemente, la caduta del salario relativo è una tendenza necessaria allo sviluppo capitalistico. Facendo l'esempio dell'America, il salario degli operai dell'industria corrispondeva nel 1889 al 69% del profitto del capitalista, nel 1919 al 61%, nel 1929 era calato al 48% e nel 1939 era ulteriormente calato al 45%.

La caduta del salario relativo ha come premessa un rapido aumento del profitto. Con tale premessa, la caduta del salario relativo non solo può verificarsi quando si abbassa il salario reale, ma anche quando esso non cambia o addirittura sale. Marx mise in rilievo che «il salario relativo può diminuire anche se il salario reale sale assieme al salario nominale, cioè assieme al valore monetario del lavoro, a condizione che esso non salga nella stessa proporzione che il profitto. Se, per esempio, in epoche di buoni affari il salario aumenta del 5% mentre il profitto aumenta del 30%, il salario proporzionale, relativo, non è aumentato, ma diminuito». (20)

Ma, a prescindere dalle condizioni nelle quali si verifica, la caduta del salario relativo costituisce sempre la prova che la situazione economica e sociale dell'operaio si è abbassata e che il fossato tra operaio e capitalista si è approfondito. Nel processo di caduta del salario relativo, il fatto che anche se il salario reale per un certo periodo aumenta leggermente e in certa misura le condizioni materiali di vita dell'operaio migliorano, ciò «non elimina il contrasto fra gli interessi dell'operaio e gli interessi del capitalista.» (21)

Infatti, l'aumento del salario si verifica quando il profitto aumenta ancora più velocemente e le condizioni della vita materiale dell'operaio continuano a essere diverse da quelle del capitalista come il giorno e la notte.

Esamineremo ora le tendenze delle variazioni del salario reale.

Nel mettere in luce le tendenze delle variazioni del salario, Marx rileva che «la tendenza generale della produzione capitalistica non è all'aumento del livello medio dei salari, ma alla diminuzione di esso, cioè a spingere il valore del lavoro [intendi: valore della forza-lavoro] suppergiù al suo limite più basso». (22)

Qui si dice che la caduta del salario medio fino al limite minimo del valore della forza-lavoro non esclude affatto che in certi paesi e in certe epoche si possa verificare il fatto che il salario reale di una parte degli operai sia compresso al di sotto del limite minimo del valore della forza-lavoro. In realtà, non solo nelle colonie e semicolonie, ma anche nei paesi capitalistici sviluppati, si può constatare spesso il fenomeno per cui il salario reale è compresso al di sotto del limite minimo del valore della forza-lavoro a tal punto che i lavoratori non hanno più i mezzi per mantenersi in vita. Per esempio, il salario degli operai africani in Africa del Sud e in Rhodesia, paesi sottoposti alla dominazione del potere razzista bianco, è molto al di sotto di quello degli operai di razza bianca. Il salario degli operai neri dell'Africa del Sud è 1/17 di quello dei bianchi che compiono il medesimo lavoro e quello degli operai agricoli della Rhodesia è solo 1/20 del salario dei colleghi di razza bianca. Tale esiguità del salario rende praticamente impossibile agli operai africani il mantenimento della normale riproduzione della forza-lavoro. Anche in America, paese capitalistico sviluppatissimo, si può constatare che spesso per folti gruppi di operai il salario reale non basta a mantenere il più basso livello di vita.

Da un lato, come abbiamo messo in rilievo all'inizio di questo paragrafo, il bisogno dell'operaio di mezzi di sussistenza in seguito allo sviluppo del capitalismo aumenta di giorno in giorno, ma dall'altro la tendenza generale dello sviluppo capitalistico fa invece calare il salario medio fino al limite minimo del valore della forza-lavoro, o addirittura sotto di esso. Tale situazione dimostra che potendo ormai il salario reale soddisfare sempre meno i bisogni vitali degli operai e peggiorando ogni giorno di più le condizioni di vita operaie, si approfondisce l'antagonismo tra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato.

Perché lo sviluppo del capitalismo causa la caduta del salario reale? Questa tendenza del movimento del salario non è affatto determinata dalla volontà soggettiva di una certa classe o di un uomo, ma da oggettivi fattori economici.

La ragione fondamentale che provoca la caduta del salario reale sta nel fatto che l'offerta della merce forza-lavoro normalmente supera la domanda. Si è detto che, in seguito allo sviluppo del capitalismo, e in particolare a quello della grande industria meccanica, si verifica necessariamente il fenomeno secondo cui la macchina soppianta l'operaio. La conseguenza della disoccupazione o sottoccupazione di una grossa fetta di operai che non trovano lavoro è il frequente superamento della domanda da parte dell'offerta di lavoro. In tale circostanza, la concorrenza tra gli operai per la vendita della propria forza-lavoro si farà feroce, mentre diminuirà quella tra capitalisti per il suo acquisto. Ciò determina quella posizione svantaggiosa in cui spesso si trovano gli operai sul mercato del lavoro, e quella vantaggiosa in cui invece si trovano frequentemente i capitalisti. Per mantenersi in vita, gli operai non possono evitare di vendere la propria forza-lavoro in dure condizioni di compressione dei salari da parte dei capitalisti. Il prezzo della forza-lavoro è dunque spesso compresso sotto il valore della forza-lavoro. Al contrario, la quantità di mezzi di sussistenza che l'operaio è in grado di acquistare col salario, cioè la quantità del salario reale, spesso non riesce a soddisfare le sue necessità vitali o addirittura non basta a mantenere il livello più basso di vita.

Oltre questa ragione fondamentale, vi sono anche alcuni altri fattori che possono far calare il salario reale. L'aumento dell'intensità del lavoro dell'operaio è uno dei più importanti. Prima s'è detto che i progressi tecnici del capitalismo causano necessariamente l'aumento dell'intensità del lavoro, che da un lato fa crescere il consumo di forza-lavoro nell'unità di tempo e allo stesso tempo fa crescere anche il valore creato nella medesima unità di tempo. Per compensare l'aumento del consumo di forza-lavoro occorrono più mezzi di sussistenza, il che significa un aumento del valore della forza-lavoro. Quando aumenta l'intensità del lavoro, il salario reale continuerà a calare fin sotto il valore della forza-lavoro perché la parte dell'incremento di valore prelevata dal capitalista per aumentare anche di poco il salario in generale non può ricompensare il consumo eccedente di forza-lavoro.

L'inflazione, l'aumento dei prezzi e dei fitti (e il conseguente aumento delle spese per la sussistenza) costituiscono un altro importante fattore di caduta del salario reale dell'operaio. Per esempio, in America il disavanzo del bilancio cresce continuamente a causa della politica guerrafondaia e d'aggressione promossa dal governo americano e del folle ampliamento delle spese militari e per la difesa. Secondo le cifre rese pubbliche ufficialmente dall'America, il disavanzo finanziario per l'anno fiscale 1971 è stato di 23 miliardi 270 milioni di dollari americani mentre nel 1972 è stato di 23 miliardi di dollari. Per compensare l'enorme deficit finanziario il governo americano ha abusato nell'emissione di cartamoneta e ha esteso la fornitura di denaro. Nel dicembre 1971, la fornitura di denaro in America era aumentata già dai 197 miliardi 400 milioni di dollari del 1968 ai 227 miliardi 100 milioni di dollari. Il risultato del grande aumento di circolante è la sua svalutazione; la capacità d'acquisto del dollaro americano subì infatti un calo ininterrotto: nel luglio 1971 un dollaro americano equivaleva a soli 0,33 dollari del 1939, vale a dire che 1 dollaro del 1971 valeva solo 33 centesimi. La svalutazione del circolante provocò l'aumento dei prezzi e l'innalzamento delle spese per la sussistenza. L'indice dei prezzi di consumo americano (cioè l'indice di tali spese) nel dicembre 1971 era aumentato del 22,6%. Situazioni analoghe a quella americana sono oggi diffuse nei paesi capitalisti.

Un'altra importante causa della caduta del salario reale degli operai è l'aggravamento continuo del carico fiscale. Secondo le statistiche, nel 1959 l'ammontare totale dei tributi percepiti dai vari livelli governativi americani fu di 120 miliardi di dollari, mentre nel 1971 è stato di 300 miliardi, con un aumento di 2,5 in 12 anni. Questa colossale messe di tributi viene ottenuta soprattutto subissando di tasse la classe operaia e le vaste masse dei lavoratori: si drena una parte sempre maggiore dei redditi delle masse operaie e contadine. Nel 1946 l'ammontare fiscale medio prò capite era di 328 dollari, che nel 1971 è aumentato a 1.500 dollari con un incremento di oltre 3,5 in 25 anni. Tale rapidissimo aumento del carico fiscale non può non far calare il salario reale delle vaste masse degli operai. Secondo le statistiche del ministero del Lavoro americano, il salario settimanale degli operai delle acciaierie americane prima del pagamento delle tasse del gennaio 1971 era di 169,22 dollari, 1,17 dollari in più del gennaio 1970, ma dopo, a causa dell'aumento dei prezzi e delle tasse, il salario reale era diminuito invece di 4,38 dollari.

La tendenza alla caduta del salario reale in regime capitalistico si manifestò con estrema chiarezza anche nella vecchia Cina semicoloniale e semifeudale, dove da un lato lo sviluppo del capitalismo fu straordinariamente debole e in effetti non potè assorbire nell'industria molti operai; dall'altro, a causa della depressione economica dell'agricoltura, spesso un gran numero di contadini rovinati calarono nelle città ove si ammassarono in uno sterminato esercito di disoccupati. In tal modo la caduta del prezzo della forza-lavoro e del salario reale fu inevitabile. Se a ciò s'aggiunge il crudele saccheggio e il subisso d'imposte dell'imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, la caduta del salario reale avvenne ancora più velocemente. Secondo le cifre ufficiali largamente manipolate del Guomindang, al tempo della Guerra di resistenza al Giappone nella città di Chong-quing il salario reale degli operai dell'industria nel 1937 era 101,9 (considerando 100 quello nella metà del 1937) e di 36,9 nel 1945, con una caduta del 65% in 8 anni; ma sappiamo che il salario reale degli operai era molto basso anche prima del calo. Dopo la vittoriosa Guerra di resistenza, a causa della grave rovina dell'economia nazionale provocata dal controllo politico ed economico dell'imperialismo americano nelle zone soggette al Guomindang e dall'istigazione e sostegno della guerra civile antipopolare lanciata dai reazionari del Guomindang, la rapidità di caduta del salario reale degli operai negli anni compresi tra la vittoria della Guerra di resistenza e il crollo del potere reazionario del Guomindang si fece terrificante.

La teoria marxista della tendenza alla caduta del salario reale e del salario relativo nel sistema capitalistico ha messo a nudo l'acuto antagonismo e la profonda contraddizione tra borghesia e proletariato e ha un significato della massima importanza per l'elevamento della coscienza rivoluzionaria delle masse operaie. Proprio perciò, il codazzo degli studiosi borghesi e i revisionisti si sono sempre fanaticamente opposti a tale teoria e hanno fatto ogni sforzo per distorcere le condizioni reali del movimento del salario nella società capitalistica.

L'economista della borghesia monopolistica americana Samuelson assicurò che «almeno nel mondo occidentale» il livello del salario reale è «di gran lunga più alto del livello di vita fisiologicamente necessario, inoltre continua a crescere ogni dieci anni».(23) Anche il rappresentante della scuola keynesiana americana Hansen dice che «dal punto di vista del ciclo, è possibile un considerevole aumento del salario reale a causa della caduta dei costi unitari dovuti all'impiego quasi pieno della forza-lavoro; calcolato sul lungo periodo, l'aumento del salario reale si basa sui miglioramenti delle tecniche di produzione».(24) Mentre invece il revisionista, traditore della classe operaia americana Burtle proclama ancora più spudoratamente che «la tendenza di lungo periodo del livello salariale americano cresce in proporzione all'aumento della produzione» (25) e cosi via.

Tali scempiaggini degli economisti volgari contemporanei e dei revisionisti voltano completamente le spalle ai fatti oggettivi. La tendenza del livello salariale medio a scendere fino al limite minimo del valore della forza-lavoro è dimostrata ormai dalla storia dello sviluppo economico dei vari paesi capitalistici. Sulla base della relativa documentazione, alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX secolo, oltre che nei primi vent'anni del XX secolo, nei principali paesi capitalistici europei si verificò una caduta assoluta del salario reale. Secondo le statistiche ufficiali americane, chiaramente manipolate, nel periodo dei dieci anni successivi alla Seconda guerra mondiale il salario reale degli operai americani era sceso rispetto al 1944, in piena guerra. Anche se per le lotte vittoriose della classe operaia il salario reale conobbe qualche aumento in certi anni, la tendenza generale del livello salariale medio a calare fino al limite minimo del valore della forza-lavoro non si modificò affatto. Il livello del salario reale dopo tali aumenti era sempre di gran lunga più basso dell'ammontare già raggiunto oggettivamente dal valore della forza-lavoro. L'incessante caduta del salario relativo, in seguito allo sviluppo del capitalismo, è poi un fatto normale nei vari paesi capitalistici.

Le «nuove creazioni» degli economisti volgari contemporanei e dei revisionisti non smentiscono affatto la tendenza alla caduta del salario relativo e del salario reale. Fin dagli Anni Trenta del XIX secolo, il predecessore dell'economia volgare americana H. Carey divulgava la scempiaggine secondo cui «il salario sale e scende in genere con la produttività del lavoro». (26) I suoi sucessori, blaterando senza un attimo di sosta, intonarono la stessa canzone, ma per nascondere le contraddizioni di classe e la resistenza di classe in quotidiana crescita nella società capitalistica essi pretesero i ingannare le masse operaie con la cosiddetta «teoria dell'armonia degli interessi di classe» lavorando cosi alla conservazione del sistema capitalistico imputridito. Ma i fatti non hanno riguardi. Può darsi che le scempiaggini degli economisti volgari e dei revisionisti contemporanei possano temporaneamente trarre in inganno una parte degli operai negli anni di piena dell'economia capitalistica; ma quando per lo scoppio delle crisi economiche le vaste masse lavoratrici cadono in uno stato di disoccupazione e povertà, tutte queste scempiaggini fanno fallimento. Gli operai diventano sempre più coscienti del fatto che si può cambiare la tendenza all'incessante peggioramento delle proprie condizioni di vita solo a condizione di abolire il sistema capitalistico.

Note:
17) K. Marx, Salario, prezzo e profitto, cit., p. 105
18) Ibidem, p. 105
19) Ibidem, p. 107
20) K. Marx, Lavoro salariato e capitale, cit., p. 59
21) Ibidem, p. 60
22) K. Marx, Salario, prezzo e profitto, cit., p. 112
23) Samuelson, I fondamenti dell'analisi economica, New York, 1958, p. 572
24) Hansen, La politica economica e la piena occupazione, Edizioni del popolo di Shangai, 1959, pp. 160, 161.
25) Burtle, Marx e l'America, in «Documenti sulle scienze sociali e filosofiche contemporanee estere», n. 7, 1960, p. 9.
26) Cfr. K. Marx, Il Capitale, cit., libro I, p. 617.


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