La corrente principale dell'economia borghese, che oggi occupa una posizione egemonica nel mondo accademico, è spesso criticata per essere "irreale", per procedere sulla base di assunti che evidentemente non corrispondono alla realtà. Questa critica tuttavia, sebbene valida, non ne coglie il vero intento, che è di servire da mezzo di mascheramento dell'imperialismo. Il contenuto teorico di tale corrente economica borghese consta nell'avanzare una serie di enunciati sul funzionamento del capitalismo che negano ogni necessità, quindi ogni ruolo dell'imperialismo nello sviluppo capitalista. Poiché l'imperialismo è stato in effetti un elemento cruciale nel funzionamento del capitalismo, queste proposizioni, inutile dirlo, sono "irreali"; ma sottolinearne semplicemente il carattere "irreale" non è abbastanza. Questo carattere "irreale" ha uno scopo; e tale fatto non va scordato.
Affermare che l'economia borghese serve a oscurare l'imperialismo non significa insinuare che tutti i suoi praticanti giochino deliberatamente questo ruolo. Una volta che un particolare discorso ha guadagnato diffusione, molti economisti ingenui e fiduciosi si mantengono entro i suoi confini per ragioni professionali e di carriera. Il modo in cui tale discorso prende diffusione e come coloro che ne travalicano i confini siano penalizzati professionalmente sono questioni che appartengono alla sociologia della vita accademica, nelle quali non mi addentrerò. Mi limiterò solamente ad illustrare la mia tesi sull'economia che serve a mascherare l'imperialismo; e lo farò riferendomi solo a due teorie comuni.
La prima è la "teoria della crescita", cioè la teoria di ciò che determina la crescita a lungo termine di un'economia capitalista. La posizione abituale, rigorosamente sviluppata da Robert Solow del MIT (che per questo ha ottenuto un premio Nobel) e recentemente utilizzata da Thomas Piketty (né Solow, né Piketty possono in alcun modo essere considerati ideologicamente di destra), è che la crescita a lungo termine di un'economia capitalista è determinata dal tasso di crescita della sua forza lavoro. Naturalmente, nella misura in cui la forza lavoro naturale cresce, per esempio, il tre per cento l'anno, e la produttività del lavoro per ogni dato rapporto capitale-produzione cresce del due per cento l'anno a causa del progresso tecnologico (cioè, ogni lavoratore quest'anno diventa l'equivalente di 1,02 l'anno prossimo), il tasso di crescita dell'economia nel lungo periodo secondo questa teoria diventa del 5%. Il tasso di crescita dell'economia in breve equivale a quello della forza lavoro non in unità naturali ma in "unità di efficienza". Ma questa è solo una variazione sul tema; il punto fondamentale è che la principale teoria dominante della borghesia, insegnata diligentemente in quasi tutte le università del mondo, vede la crescita economica sotto il capitalismo come vincolata dalla disponibilità di manodopera.
Questa è un'asserzione straordinariamente bizzarra, poiché nel corso della sua storia il capitalismo ha spostato milioni di persone in tutto il mondo per soddisfare i bisogni di accumulazione del capitale. Venti milioni di schiavi furono spediti a forza attraverso l'Oceano Atlantico dall'Africa al cosiddetto "Nuovo Mondo" per lavorare in miniere e piantagioni. E dopo che la tratta degli schiavi giunse al termine, 50 milioni di lavoratori cinesi e indiani (secondo una stima) furono trasportati come coolie o sotto contratto, fino alla Prima guerra mondiale, in luoghi lontani come Fiji, Mauritius e Indie Occidentali, sempre per lavorare in miniere e piantagioni per soddisfare i bisogni del capitale metropolitano.
Quando il capitale ha quindi spietatamente sradicato milioni di persone per soddisfare il suo bisogno di lavoro, affermare che l'accumulazione di capitale si adatta semplicemente e remissivamente alla disponibilità domestica di lavoro è cosa assurda oltre ogni immaginazione. Eppure questo è ciò che sostiene la teoria economica dominante. Naturalmente se avesse affermato che l'accumulazione di capitale sarebbe limitata dalla disponibilità di manodopera se il capitalismo dovesse accontentarsi esclusivamente della forza lavoro interna, e che quindi forzatamente va in tutto il mondo alla ricerca di lavoro e sradica un gran numero di persone per soddisfare questa sua necessità, cioè se la teoria fosse solo una teoria ex ante che è stata poi utilizzata per fornire una spiegazione dell'imperialismo (come mezzo per superare una carenza di manodopera ex ante), allora le cose sarebbero del tutto diverse. Che si sia d'accordo o meno con una teoria del genere come spiegazione essenziale dell'imperialismo, sarebbe almeno un onesto sforzo teorico. In effetti il noto marxista austriaco Otto Bauer aveva proprio una simile teoria dell'imperialismo, che fu poi criticata da Rosa Luxemburg.
Ma questo non è ciò che afferma la teoria economica principale. Parla di accumulazione di capitale limitata dalla disponibilità di manodopera non ex ante, ma ex post; il suo scopo è di mostrare non la necessità del fenomeno osservato dell'imperialismo a causa del fattore che enfatizza, vale a dire la scarsità di manodopera, ma di spiegare il ritmo reale dell'accumulazione di capitale in termini di disponibilità di lavoro domestico senza alcun riferimento all'imperialismo.
Certamente, ci sono state alcune teorie all'interno della recente corrente economica borghese mainstream che parlano di una carenza di manodopera superata all'interno del capitalismo attraverso la generazione di un adeguato tasso di progresso tecnologico, in modo che il tasso di crescita dell'economia capitalista non sia più visto come vincolato alla disponibilità di manodopera. Ma anche queste teorie sono totalmente noncuranti dell'immensa portata globale del capitale e della sua tendenza a spostare milioni di persone in tutto il mondo per soddisfare le sue esigenze. La corrente teoria della crescita, in breve, considerando immancabilmente il capitalismo come un sistema chiuso autonomo, serve ad oscurare il fenomeno dell'imperialismo. E questo offuscamento caratterizza in generale le tendenze economiche correnti.
La mia seconda descrizione che rimarca questo punto riguarda la teoria del commercio, la cui costante propaganda è che il commercio tra paesi funzioni sempre a vantaggio reciproco di entrambi. Questa opinione è ufficialmente confermata ad oggi da agenzie come l'Organizzazione mondiale del commercio (WTO), che vogliono istituire ovunque il libero commercio. In realtà, tuttavia, l'intera esperienza delle economie coloniali come l'India dimostra chiaramente il contrario. L'essere aperti al commercio è stata la causa della "deindustrializzazione", che ha allontanato milioni di tessitori e altri artigiani dall'impiego a causa dell'importazione di merci a basso costo dalle metropoli capitaliste. Gli artigiani rimossi sono stati buttati sul lastrico, con l'aumento degli affitti, l'abbassamento dei salari e deprimendo i redditi di ampie fasce della popolazione (eccetto naturalmente i proprietari terrieri che al contrario ne beneficiarono); era la genesi della moderna povertà di massa in queste economie. Eppure agli studenti di tutto il mondo, compresi di questi stessi paesi, vengono insegnate teorie che intonano le virtù del libero scambio ignorando la stessa propria esperienza.
In che modo la teoria dominante raggiunge questa impresa di "dimostrare" le virtù del libero scambio? Lo fa semplicemente assumendo che tutti i "fattori di produzione" siano pienamente impiegati in ogni economia, sia prima che dopo la sua apertura al commercio. Se questa assunzione è concessa, allora naturalmente non c'è spazio per alcuna "deindustrializzazione", dato che gli artigiani rimossi sarebbero, per ipotesi, riassorbiti nel settore delle esportazioni piuttosto che rimanere disoccupati o sottoccupati. Il fatto che il settore delle esportazioni in un'economia coloniale (o più in generale qualsiasi economia del terzo mondo ancora oggi) è costituito da materie prime la cui produzione non può aumentare a causa della limitata disponibilità di terra, cosicché i nuovi disoccupati vadano ad affollare semplicemente il mercato del lavoro a scapito di tutti, non è considerato. In effetti, quindi, si reputa che il travolgente evento storico della deindustrializzazione non si verifichi mai! Una teoria palesemente tendenziosa, derivata da tali ipotesi deliberatamente inventate, viene quindi passata come saggezza economica.
La vacuità dell'economia borghese dominante era ovvia per coloro che erano impegnati nella lotta anti-coloniale, da Naoroji e Romesh Dutt a Gandhi e alla Sinistra. Di conseguenza, nell'immediata situazione post-coloniale, in India e altrove c'è stato uno sforzo per dire la verità sulla propria esperienza storica e sulla vacuità delle opinioni economiche correnti agli studenti dei college e delle università di questi paesi. Questo purtroppo non è più il caso. Nel tentativo di emulare ben note università straniere, apparentemente per ottenere una crescita qualitativa, le quali diffondono tutte queste economie borghesi in voga, utili a oscurare il fenomeno dell'imperialismo, le istituzioni educative superiori in questi paesi sono ora costrette a insegnare simili teorie economiche ai loro studenti.
L'egemonia intellettuale gioca un ruolo cruciale nel modus operandi dell'imperialismo; il predominio delle tendenze dominanti dell'economia borghese è un elemento chiave di questa egemonia intellettuale.
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.
Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.