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La disumanità del capitalismo

Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy.in 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/05/2022

Da oltre due anni il mondo sta affrontando una pandemia come non se ne vedevano da un secolo, e che, secondo l'OMS, ha già causato 15 milioni di vittime, senza che si sia ancora arrivati a una fine. Si tratta di una crisi senza precedenti per l'intera umanità, che richiede uno sforzo massiccio da parte di tutti i governi, soprattutto di quelli dei Paesi del Terzo mondo, dove la popolazione è particolarmente vulnerabile non solo alla malattia, ma anche all'indigenza che essa porta con sé.

Si devono ampliare le strutture ospedaliere, tener pronto un numero adeguato di posti letto, creare strutture per i test, rendere disponibili i vaccini e istituire strutture per la vaccinazione, e così via. Inoltre, i governi devono fornire aiuti alla popolazione attraverso i trasferimenti e soccorrere i piccoli produttori che rischiano di fallire. Tutto questo richiede un aumento della spesa da parte dei governi. Ma proprio a causa della pandemia, la produzione soffre e con essa le entrate del governo con le attuali aliquote fiscali. Se non aumentano le aliquote dell'imposta sul patrimonio, deve quindi aumentare il deficit fiscale in proporzione al PIL. In breve, si devono adottare politiche che vanno direttamente contro i dettami del neoliberismo, che violano tutti i vincoli imposti dalla cosiddetta "responsabilità fiscale" e che abbandonano ogni preoccupazione di "austerità" fiscale. Ma vediamo cosa è successo in realtà.

Proprio a causa del rallentamento o della stagnazione dell'economia mondiale, le esportazioni dei Paesi del Terzo Mondo soffrono. Certo, anche le loro importazioni ne risentono a causa del rallentamento dei tassi di crescita del loro PIL; ma anche ipotizzando che le esportazioni e le importazioni siano colpite nella stessa misura, in modo che il deficit o il surplus commerciale si riduca di pari passo con il PIL, resta il fatto che bisogna far fronte agli impegni di debito estero ereditati, la cui entità rispetto al PIL deve aumentare. Questi debiti devono essere rinnovati e il loro servizio deve essere adeguatamente posticipato. In altre parole, anche se dopo la pandemia i flussi commerciali rispetto al PIL rimanessero invariati per tutti i Paesi, mentre il PIL ristagna, gli stock di debito estero aumenterebbero rispetto al PIL a causa di questa stagnazione. L'onere del debito, quindi, diventa maggiore e richiede una soluzione speciale da offrire ai Paesi del Terzo Mondo.

Il modo più ovvio per farlo è una moratoria del debito per un certo numero di anni; e all'interno del capitalismo mondiale contemporaneo, l'istituzione che deve essere incaricata di attuare tale moratoria del debito è il FMI, che dovrebbe anche incoraggiare i Paesi ad abbandonare l'"austerità" e a spendere per la salute e il benessere dei cittadini durante la crisi. In realtà, l'attuale direttore generale del FMI, Kristalina Georgieva, ha spesso detto ad alcuni Paesi membri di abbandonare l'"austerità" in questo periodo di crisi, il che può dare l'impressione che il FMI abbia finalmente compreso la portata della minaccia che la pandemia rappresenta per l'umanità nel suo complesso. Per esempio, di recente ha esortato l'Europa a non "mettere in pericolo la sua ripresa economica con la forza soffocante dell'austerità".
Ma la realtà, a quanto pare, è stata ben diversa. Oxfam ha recentemente analizzato 15 accordi di prestito firmati dal FMI con Paesi del terzo mondo nel secondo anno della pandemia, e 13 di questi insistono esplicitamente sull'"austerità". Tali misure di "austerità" includono tasse su cibo e carburante e tagli alla spesa da parte dei governi che inevitabilmente incidono sui servizi di base come l'istruzione e la sanità. Anche nel caso di altri sei Paesi con i quali sono in corso negoziati, il FMI insiste sull'adozione di misure simili da parte loro.

Questa insistenza sull'"austerità" non può essere considerata un'eccezione. In precedenza, il 12 ottobre 2020, Oxfam aveva riferito che dal marzo 2020, quando è stata dichiarata la pandemia, il FMI aveva negoziato 91 prestiti con 81 Paesi; e di questi, in ben 76, cioè nell'84% degli accordi di prestito, si insisteva sull'"austerità" che non solo avrebbe reso la vita più difficile alle popolazioni povere strette nella morsa della pandemia, ma avrebbe anche comportato una compressione della spesa sanitaria. L'insistenza del FMI sull'"austerità" continua quindi più forte che mai, anche in un momento in cui le popolazioni del mondo possono sopportarne meno il peso. Non sorprende che Oxfam abbia sottolineato il contrasto tra il consiglio di Kristalina Georgieva all'Europa di non farsi condizionare dall'"austerità" e l'effettivo programma che l'istituzione da lei diretta insiste per il Terzo mondo, che consiste nell'osservare l'"austerità". Su questa base, Oxfam ha accusato il FMI di usare "due pesi e due misure", una per i Paesi avanzati e una diversa per i Paesi del Terzo mondo. L'uso di due pesi e due misure è esecrabile in ogni momento, ma è particolarmente esecrabile quando si tratta di una pandemia che colpisce l'umanità nel suo complesso.

Ciò che sfugge all'analisi di Oxfam, tuttavia, è il fatto che i due pesi e le due misure evidenti nel comportamento del FMI sono immanenti nella natura stessa del capitalismo. Infatti, una società divisa in classi comporta necessariamente due pesi e due misure: un operaio non può entrare in banca e chiedere credito, ma naturalmente un ricco può chiedere e ottenere credito. In altre parole, la quantità di capitale che si può ottenere da fonti "esterne" dipende dalla quantità di capitale "proprio" che si possiede, motivo per cui la proprietà del capitale è una condizione essenziale per essere capitalisti. Se così non fosse, chiunque potrebbe diventare un capitalista, per cui ci sarebbe una perfetta mobilità sociale e non uno iato che porta alla divisione di classe.

In effetti, i difensori intellettuali del capitalismo come Joseph Schumpeter, che attribuiva l'origine del profitto non alla proprietà dei mezzi di produzione, ma al fatto che coloro che diventavano capitalisti avessero un talento speciale, che lui chiamava innovatività, in realtà affermavano che chiunque avesse tale innovatività, cioè chiunque avesse un'idea che può essere utilizzata per creare un nuovo processo produttivo o un nuovo prodotto, può ottenere un prestito dalle banche e avviare un'impresa. Ma questi tentativi di cancellare le divisioni di classe nella società sono palesemente falsi; nessun bracciante agricolo, per quanto possa avere un'idea innovativa, può avviare un'impresa (anche se ovviamente l'idea può essere rubata da un uomo ricco per avviare un'impresa).

Allo stesso modo, in un mondo imperiale in cui i Paesi sono divisi in due categorie distinte - Paesi metropolitani e Paesi periferici - le banche metropolitane saranno molto più restie a concedere prestiti ai Paesi periferici che a quelli metropolitani; ci saranno necessariamente "due pesi e due misure" nella concessione dei prestiti. Il FMI, in quanto custode del capitale finanziario internazionale dominato dalle istituzioni finanziarie metropolitane, deve mantenere questi "due pesi e due misure" nel concedere i prestiti e nell'imporre le condizioni per la loro restituzione. La critica di Oxfam ai "due pesi e due misure" da parte del FMI, quindi, si basa sull'idea errata che il FMI sia un'istituzione umana benintenzionata che dovrebbe curare gli interessi dell'umanità, piuttosto che un'istituzione capitalista che debba curare gli interessi del capitale finanziario internazionale.

Il comportamento del FMI riflette quindi la natura stessa del capitalismo, la sua essenziale disumanità. Non intendo "disumanità" solo nel senso che antepone i profitti alle persone, ma anche nel senso che ne consegue, cioè che non considera tutte le vite umane di pari valore, che applica necessariamente "due pesi e due misure" in ogni ambito della vita. Ad esempio, quando si chiede di spostare le industrie inquinanti dalla metropoli alla periferia, l'ovvio presupposto alla base di questa richiesta è che la vita umana nella periferia non vale quanto quella nella metropoli.

L'iniquità di un sistema sociale che si basa su questa fondamentale discriminazione, o "due pesi e due misure" se preferite, diventa evidente soprattutto in periodi come questo, nel bel mezzo di una pandemia. Quando l'umanità e la sagacia ci impongono di occuparci di tutte le vite umane, a prescindere dalla loro collocazione, un sistema sociale che le discrimina, che considera di valore alcune vite e non altre, si distingue per la sua disumanità e irrazionalità.


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