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- osservatorio - europa - politica e società - 24-02-25 - n. 924
Quale futuro per l'Europa e per i popoli europei?
Vincenzo De Robertis
24/02/2025
In questi ultimi tempi, a seguito delle prese di posizione di Trump, che ha riavviato unilateralmente colloqui con la Federazione russa, dopo che il suo predecessore, Biden, contro quello Stato aveva promosso, con l'aiuto dell'UE, una guerra per il tramite dell'Ucraina, nel nostro Continente si è riaperto un dibattito sul futuro dell'Europa, sulla necessità, cioè, che l'Unione Europea faccia passi avanti, soprattutto sul terreno militare, per addivenire ad un'integrazione maggiore di quella attuale.
Non è casuale, a mio avviso, che il terreno militare sia stato scelto dai Governanti europei come il terreno privilegiato nel dibattito attuale per una maggiore integrazione europea, rispetto, ad esempio, alla disparità di legislazione fiscale che da sempre contraddistingue i vari Stati dell'UE. Credo che questo dipenda, non solo per la contingenza della guerra russo-ucraina, ancora in corso, nell'ambito della quale tutti gli Stati dell'UE hanno svuotato i propri arsenali (chi più, chi meno), trasferendoli al Governo Zelensky e quindi per la necessità che ora ogni Stato ha di ricostruire quegli arsenali in modo più o meno integrato con gli altri.
Ma anche perché, stante la perdurante crisi economica della produzione civile, che si trascina ormai da anni, che ha colpito i principali produttori industriali europei, Germania in testa, che si è aggravata anche per le scelte guerrafondaie dei Governanti dell'UE, la produzione militare, finanziata dai singoli Stati europei, svolgerebbe un ruolo di traino importante per la ripresa economica, anche se poi questo avrà come conseguenza che i popoli europei pagheranno il prezzo alto di dover rinunciare, più di quanto non avvenga già oggi, ai diritti garantiti in passato dallo stato sociale.
Per l'economia dell'Italia, poi, incrementare le spese militari da parte dello Stato sarebbe un toccasana, dato che la produzione industriale è in discesa da diversi anni, mentre per il popolo italiano sarebbe una grossa sciagura.
Peraltro, la conversione dell'industria civile in industria bellica non sarebbe, poi, una ricetta nuova, perché fu la strada intrapresa, dopo la Grande Crisi economica del '29, dai i vari Stati capitalistici per uscirne fuori, scaricando sui bilanci di ogni Stato, unico acquirente dei prodotti bellici, il costo di quella spesa. Ma si sa che la produzione bellica non può essere consumata in altro modo che in una guerra, per cui lo scoppio del Secondo Conflitto mondiale ebbe in questa una delle sue cause.
Ma, pur restando sul terreno militare, l'integrazione fra Paesi europei non sembra poter seguire un percorso rettilineo, innanzitutto perché bisogna decidere quali industrie europee dovranno fare la parte del leone nella vendita di prodotti bellici che gli eserciti di ogni Stato poi adopereranno, chi avrà il comando degli eserciti europei 'unificati' e, soprattutto, come si regoleranno i rapporti economici con gli USA, che finora hanno gestito la 'sicurezza europea' (che in realtà era solo la loro) e che ora pretendono, con l'avvallo della NATO, che si aumentino le spese militari nei bilanci statali europei a tutto vantaggio delle industrie americane.
Sotto l'aspetto delle istituzioni politiche che dovrebbero essere preposte ad assumere queste ed altre decisioni, l'UE sconta il 'ritardo' di non avere un unico centro di comando politico-economico-militare dotato dell'autorità necessaria ad imporre a tutti gli Stati le scelte politiche, economiche e militari che dovrebbe assumere, come il Presidente ed il Governo Federale degli USA fanno con i singoli stati che la compongono.
In Europa le principali istituzioni politiche sono: il Parlamento che elabora direttive poi recepite e trasformate in leggi dai singoli Stati. Il Consiglio europeo, composto dai Capi di Stato o di Governi dei 27 Stati membri dell'UE , che si riuniscono per definire l'orientamento politico generale e le priorità dell'Unione europea. La Commissione europea, principale organo esecutivo dell'UE, che gestisce le politiche dell'UE ad eccezione della politica estera e di sicurezza comune (condotta dall'Alto rappresentante per la PESC, vicepresidente della Commissione europea) e del bilancio dell'UE e che garantisce che i paesi applichino correttamente il diritto dell'UE. L'attività di queste istituzioni viene coadiuvata da altre quali la Corte di giustizia dell'Unione europea e la Corte dei conti europea, che hanno sede a Lussemburgo, e la Banca centrale europea con sede a Francoforte.
La BCE merita un discorso a sé per l'importanza economica che riveste e perché riflette il grado di integrazione fra gli Stati dell'UE. Essa non ha le stesse prerogative e funzioni che ha la Federal Reserve americana, che stampa moneta e regola così il rapporto di cambio del dollaro con le altre monete, grazie anche alla posizione di predominio finora garantita dall'economia USA.
La subordinazione economica dell'economia europea agli USA dopo la Seconda Guerra mondiale e la mancata affermazione di un centro unico di comando in Europa negli 80 anni seguiti alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale hanno impedito alla BCE di svolgere un ruolo analogo alla Federal, per cui la BCE amministra l'Euro che è la moneta utilizzata negli scambi all'interno del mercato europeo, garantisce la stabilità della moneta gestendo la politica economica dell'UE (fondamentalmente attraverso un controllo sul debito pubblico degli Stati) e regola il tasso di sconto della moneta.
La mancanza di un centro unico di comando si è evidenziata in questi anni, sia nella politica estera dell'UE, fondamentalmente al carro della politica estera americana, ma con un protagonismo di alcuni stati a danno di altri, come è avvenuto, ad esempio, nell'aggressione alla Libia di Gheddafi voluta dal binomio USA-Francia a danno degli interessi economici italiani, che nella politica fiscale, come detto sopra, che vede una miriade di legislazioni fiscali differenziate fra gli Stati europei in concorrenza fra loro per attirare capitali.
L'Europa si presenta al mondo come un carro in mezzo al guado di un fiume dove alcuni puntano a raggiungere una sponda ed altri la sponda opposta, mancando un centro unico di comando che decida in che direzione il carro debba muoversi. Si è aperta di recente la discussione politica su come arrivare alla realizzazione di questo centro unico di comando, resosi ora impellente per le dichiarate volontà di Trump di ridimensionare l'importanza economica europea che il suo predecessore, Biden, aveva ugualmente coltivato, utilizzando, però, metodi diversi.
Chi sostiene che questo obbiettivo sarebbe raggiungibile per via pacifica, contando sulla razionalità dei governanti dei vari Paesi, racconta frottole che non tengono conto del fatto che negli Stati europei vige un'economia capitalistica, la cui unica razionalità è quella del profitto e dell'esercizio della forza. Per cui si arriverà (se si arriverà) alla realizzazione di un unico centro di comando quando un gruppo di potere politico-economico imporrà con la forza agli altri l'attuazione dei propri interessi.
Già Lenin nel 1915, dopo lo scoppio del Primo conflitto mondiale, metteva in guardia i partiti socialisti dall'inseguire l'utopia degli Stati Uniti democratici d'Europa, una parola d'ordine che conteneva, come sbocco politico della guerra, la creazione di uno Stato unitario, previo l'abbattimento delle tre monarchie europee più reazionarie: l'austriaca, la tedesca e la russa.
"Dal punto di vista delle condizioni economiche dell'imperialismo, ossia dell'esportazione del capitale e della spartizione del mondo da parte delle potenze coloniali "progredite" e "civili", gli Stati Uniti d'Europa in regime capitalistico sarebbero o impossibili o reazionari…
Il capitale è divenuto internazionale e monopolistico. Il mondo è diviso fra un piccolo numero di grandi potenze, vale a dire fra le potenze che sono meglio riuscite a spogliare e ad asservire su grande scala altre nazioni….
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza…
Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalista, non c'è e non può esservi altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione con le basi della proprietà privata, ma è il risultato diretto e inevitabile dello sviluppo di queste basi. In regime capitalistico non è possibile un ritmo uniforme dello sviluppo economico, né delle piccole aziende, né dei singoli Stati. In regime capitalistico non sono possibili altri mezzi per ristabilire di tanto in tanto l'equilibrio spezzato, al di fuori della crisi nell'industria e della guerra nella politica…
Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei... Ma a qual fine? Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa e per conservare tutti insieme le colonie accaparrate contro il Giappone e l'America, che sono molto lesi dall'attuale spartizione delle colonie e che, nell'ultimo cinquantennio, si sono rafforzati con rapidità incomparabilmente maggiore dell'Europa arretrata, monarchica, la quale comincia a putrefarsi per senilità… (1)
"…la parola d'ordine degli «Stati uniti d'Europa» è errata sul piano economico. O è una rivendicazione irrealizzabile in regime capitalistico, poiché presuppone uno sviluppo armonico dell'economia mondiale mentre le colonie, le sfere d'influenza, ecc. sono divise fra diversi paesi. O, è una parola d'ordine reazionaria, che significa un'alleanza temporanea delle grandi potenze d'Europa per una più efficace oppressione delle colonie e per la rapina del Giappone e dell'America, che si sviluppano più rapidamente." (2)
Se quelle denunciate da Lenin erano le condizioni in cui dovevano operare i socialisti nel 1915, per cui era fuorviante inseguire la chimera della creazione di uno stato democratico europeo come esito finale della guerra, mentre i bolscevichi già ponevano l'obiettivo di contrastare la guerra, agendo per il rovesciamento del sistema di potere del capitale monopolistico mondiale, causa del conflitto, ed instaurare il potere popolare anche in un solo Stato, come poi avvenne in Russia con la Rivoluzione del 1917, oggi con le dovute differenze, che storicamente si sono determinate, la sostanza non appare molto mutata.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli USA sono diventati la potenza capitalistica più forte, che ha soppiantato le potenze economiche che prima dominavano le colonie e gran parte del mondo: Inghilterra e Francia alleate agli USA nel conflitto, Germania, Italia e Giappone suoi nemici. La moneta americana, il dollaro, è stato imposto come strumento degli scambi economici internazionali, grazie alla sua convertibilità con l'oro garantita dagli accordi di Bretton Woods.
Sotto l'egida americana l'economia capitalistica dei Paesi d'Europa nel secondo dopoguerra ha potuto riprendersi e svilupparsi, avviando prima forme di cooperazione economica interna, che poi sono diventate anche processi di integrazione fra i vari capitali europei. La caduta del muro di Berlino ha incrementato i commerci con la Russia, ricca di risorse energetiche, che hanno favorito un più rapido sviluppo dell'economia europea, soprattutto del capitale tedesco, mentre la globalizzazione economica, incrementando i commerci con la Cina e gli investimenti di capitali europei in quel Paese, ha permesso il superamento di crisi di sovrapproduzione e di surplus di capitali nel nostro continente.
Il capitale finanziario europeo si trova oggi di fronte all'ostacolo di superare la frammentazione politica che contraddistingue l'UE, se vuole superare il guado di cui si parlava sopra e diventare un protagonista imperialista al pari degli altri soggetti sullo scenario mondiale. Per fare questo deve, a mio avviso, affermarsi un centro di comando unico, rappresentativo degli interessi economici più forti, che imponga a tutti gli Stati federati dell'UE la volontà del più forte.
La storia della formazione degli Stati dimostra questo. Gli Stati Uniti d'America sono diventata una Nazione con un centro unico di comando con la guerra di Secessione che ha sancito il predominio del capitale industriale e finanziario degli Stati del Nord sugli Stati del Sud. Ma, senza andare lontano, la stessa storia della formazione dello Stato unitario d'Italia, conosciuta a scuola come Risorgimento, altro non è che la vittoria militare che ha sancito il predominio dell'aristocrazia terriera piemontese in alleanza con la nascente borghesia industriale lombarda, su tutto il territorio della penisola, caratterizzata dall'esistenza di tanti staterelli.
Ma, al di là degli appelli quotidiani lanciati a reti unificate sulla necessità di accelerare i processi di integrazione europea, se è scontato che la formazione di un centro di comando unico per l'UE debba avvenire attraverso un processo violento, la domanda da porsi è: quale interesse possono avere le masse lavoratrici e popolari d'Europa nel sostenere questa o quella fazione in lotta fra loro?
In realtà nessun interesse popolare potrebbe giustificare il sostegno al processo di formazione di una nuova potenza imperialista europea. I popoli di ogni stato europeo devono invece ribellarsi alla realizzazione di un nuovo imperialismo europeo che inevitabilmente comporterà sacrifici ed impoverimento economico e contrastare i processi di militarizzazione dell'economia ed ogni tentativo di coinvolgimento in guerra delle popolazioni civili.
Questi movimenti di opposizione popolare non possono che concretizzarsi in ogni singolo Paese. In Italia consistono in un'opposizione senza compromessi alla militarizzazione dell'economia, all'invio di armi all'Ucraina, alla difesa dei diritti del lavoro messi in discussione da una politica liberista dei vari Governi degli ultimi anni, alla difesa dell'assetto democratico istituzionale che la Costituzione ha disegnato e che viene messo oggi in discussione da un Governo di destra.
Note:
1) "Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa", pubblicata sulla rivista Sotsial-Demokrat, 23/8/1915.
Lenin, Opere complete, vol. 21, pag. 311 in resistenze.org
2) Nota scritta nel 1915 e pubblicata nell'opuscolo "Il Socialismo e la guerra"
Lenin, Opere complete, vol. 21, pag. 315 in resistenze.org
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