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Chi è preoccupato dal ritorno dei talebani dovrebbe sperare nel ritorno dei comunisti

Stephen Gowans, What's Left * | mltoday.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

04/09/2021

Questo profetico articolo, scritto nell'agosto 2010 dall'autore anti-imperialista canadese Stephen Gowans, merita di essere riletto oggi.

Se oggi vengono espresse preoccupazioni riguardo al «venir meno... dei precari diritti delle donne in Afghanistan»,1 vi è stato un tempo in cui i diritti delle donne afghane erano assai più solidi, e lo erano ancor di più tra le popolazioni che, pur condividendo una cultura comune con gli afghani, vivevano nell'Asia Centrale sovietica. E se i giornalisti americani affermano preoccupati che un ritiro delle truppe USA e il possibile ritorno al governo dei talebani metterà a repentaglio i pochi diritti conquistati dalle donne, il giornalismo di regime USA esprimeva ben poche preoccupazioni per la perdita dei diritti delle donne quando Washington appoggiava i misogini mujahidin in lotta contro il governo progressista di Kabul, che tentava di liberare le donne afghane dalla morsa delle usanze islamiche tradizionali.

Scrive Alissa J. Rubin, reporter del New York Times:

I precari diritti delle donne afghane hanno iniziato a venire meno. Le scuole femminili stanno chiudendo; le donne lavoratrici vengono minacciate; le avvocate vengono aggredite; e le famiglie terrorizzate rinchiudono sempre più le loro figlie entro le mura di casa. Mentre il governo afghano e quelli occidentali valutano le possibilità di una riconciliazione con i talebani, le donne temono che la pace a lungo attesa venga pagata con i diritti ampliatisi dopo il rovesciamento del governo talebano nel 2001.2

L'articolo di Rubin rientra nell'offensiva propagandistica messa in atto dai giornali e dalle riviste americani allo scopo di mobilitare il sostegno a una continuazione dell'occupazione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati della NATO. Mai questa campagna è apparsa sfacciatamente manifesta come sul numero del 29 luglio di Time, la cui copertina, per citare i direttori della rivista,

è potente, scioccante e inquietante. Ritrae Aisha, una timida diciottenne afghana condannata da un comandante talebano al taglio del naso e delle orecchie per essere fuggita dalla casa dei suoceri che abusavano di lei. Aisha ha voluto essere fotografata e afferma di volere che il mondo conosca le conseguenze che una ripresa dei talebani avrebbe per le donne dell'Afghanistan, molte delle quali hanno vissuto una rinascita nel corso degli ultimi anni. La sua foto è accompagnata da un incisivo articolo della nostra Aryn Baker che illustra come le donne afghane abbiano abbracciato le libertà create dalla disfatta dei talebani - e i loro timori relativi a una ripresa dei talebani.

«Che cosa succederà se lasceremo l'Afghanistan?», si domanda Time. I direttori della rivista avrebbero dato prova di un senso della storia assai più acuto se si fossero domandati: «Tutto questo sarebbe successo se non avessimo appoggiato i mujahidin negli anni Ottanta?». Fu Washington a sostenere la reazione islamista in Afghanistan, reclutando e mettendo sul proprio libro paga migliaia di jihadisti per rovesciare un governo che tentava di liberare le donne dalla misoginia dell'islam tradizionale.

La prospettiva di un ritorno dei talebani non ha nulla di positivo. Senza dubbio la condizione delle donne precipiterà nuovamente nella barbarie se gli estremisti islamici ritorneranno al potere. Ma l'idea che i responsabili della politica estera USA si preoccupino minimamente della condizione delle donne afghane, o che il modo più efficace per tutelare i diritti delle donne afghane consista nel lasciare le truppe USA dove sono, ignora la storia della politica estera USA nella regione, oltre a ignorare una realtà citata dalla stessa Rubin - e cioè che Washington sta sondando le possibilità di una riconciliazione con i talebani.

L'uso del termine «riconciliazione» da parte di Rubin è appropriato. La collaborazione di Washington con i talebani risale al 1995, quando fornì finanziamenti e consulenza al neonato movimento tramite la CIA, in cooperazione con l'agenzia di intelligence pakistana ISI e l'Arabia Saudita.3 A quel tempo Washington non ebbe nulla da eccepire sul barbaro trattamento riservato alle donne dai talebani, e con ogni probabilità, per le ragioni illustrate di seguito, non ha nulla da eccepire nemmeno oggi. Il Dipartimento di Stato mantenne relazioni amichevoli con gli estremisti sunniti sino al 1999, quando ogni singolo funzionario talebano era sul libro paga del governo USA.4

Che per i responsabili delle decisioni di Washington vi siano questioni che contano molto di più della condizione delle donne nelle società islamiche fondamentaliste è evidenziato dall'enorme sostegno che l'Arabia Saudita ricca di petrolio riceve dal governo USA. Il regno saudita è un alleato strategico cruciale per Washington, nonché una fonte di colossali profitti per le imprese petrolifere e le banche di investimento americane, tramite le quali i sauditi riciclano i loro petrodollari. E sebbene negli Stati Uniti si parli ben poco della condizione delle donne in Arabia Saudita, le donne saudite sono assoggettate a pratiche non meno barbare e oscurantiste di quelle inflitte dai talebani alle donne afghane. Ma i sauditi, grazie alla loro collaborazione con le ricche corporation americane nella realizzazione di profitti petroliferi stratosferici anno dopo anno, possono tranquillamente perpetrare pratiche medievali che fanno fremere di indignazione l'Occidente quando vengono perpetrate dai talebani, il cui trattamento delle donne ha ricevuto la condanna che meritava soltanto quando i fondamentalisti islamici si sono rifiutati di accordarsi con Unocal in merito a un oleodotto.

Ecco come i sauditi - uno dei partner degli Stati Uniti in Medio Oriente - trattano le donne. Le donne non possono votare, guidare automobili o uscire di casa se non accompagnate da un uomo, e quando lo fanno devono evitare ogni contatto con gli uomini e coprire gran parte del proprio corpo. Se vogliono sposarsi, divorziare, viaggiare, andare a scuola, lavorare o aprire un conto in banca, hanno bisogno dell'autorizzazione di un parente maschio. Il posto della donna è la casa, e il compito della donna è allevare i figli e occuparsi della famiglia. In tribunale, la testimonianza di due donne conta come quella di un solo uomo. Vi è una rigida segregazione sessuale; la maggior parte delle abitazioni e degli edifici pubblici è provvista di ingressi separati per gli uomini e per le donne, e gli spazi pubblici comprendono aree separate. Le catene di ristorazione americane, compresi McDonald's, Pizza Hut e Starbucks, sono complici dell'oppressione delle donne: nei loro ristoranti vi sono infatti aree distinte per i due sessi. Le ragazze frequentano scuole esclusivamente femminili in cui gli insegnanti sono meno qualificati e i libri di testo vengono aggiornati con minore frequenza rispetto a quanto avviene nelle scuole maschili. Un padre può dare in sposa la figlia a qualunque età, e vi sono casi di bambine di soli nove anni costrette a sposarsi. In un caso, una bambina di dieci anni è stata obbligata a sposare un ottantenne. Imponendo diritti legali e scolastici separati e ineguali e restrizioni sulla libertà di movimento delle donne, l'Arabia Saudita pratica una forma di apartheid non diversa da quella applicata in passato in Sudafrica. L'unica differenza è che le vittime sono definite non dal colore della pelle, ma dal fatto di possedere un utero.5

Ulteriori prove della totale indifferenza di Washington nei riguardi dei diritti delle donne all'estero sono fornite dal ruolo svolto dagli Stati Uniti nell'indebolire un governo progressista afghano che tentava di liberare le donne dalla morsa delle pratiche misogine dell'Islam tradizionale. Negli anni Ottanta, Kabul era «una città cosmopolita. Artisti e hippie sciamavano verso la capitale. Le donne studiavano agraria, ingegneria ed economia presso l'università cittadina. Diverse donne occupavano cariche governative».6 Vi erano deputate in parlamento, e le donne guidavano, viaggiavano e avevano appuntamenti senza dover chiedere il permesso a un guardiano maschio. Se oggi non è più così, lo si deve in gran parte alla decisione segreta presa nell'estate del 1979 dall'allora presidente Jimmy Carter e dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski di attirare «i russi nella trappola afghana» e di infliggere «all'URSS la sua guerra del Vietnam», finanziando e organizzando i terroristi islamici perché combattessero il nuovo governo di Kabul guidato dal Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan.7

L'obiettivo del PDPA era liberare l'Afghanistan dalla sua arretratezza. Negli anni Settanta, soltanto il 12% degli adulti era alfabetizzato. L'aspettativa di vita era di 42 anni e la mortalità infantile era la più alta del mondo. Metà della popolazione soffriva di tubercolosi e un quarto di malaria. La maggior parte della popolazione viveva nelle campagne, dominate da latifondisti e ricchi mullah. Le donne - assoggettate a pratiche islamiche tradizionali quali il matrimonio forzato, la compravendita delle mogli, il matrimonio delle bambine, la segregazione delle donne, la subordinazione ai maschi e il velo - conducevano un'esistenza particolarmente miserevole.8

In netto contrasto con questa situazione, i bolscevichi avevano migliorato le condizioni di vita dei tagiki, dei turkmeni e degli uzbeki, popolazioni affini agli afghani stanziate nell'Asia Centrale sovietica, e liberato le donne dalla misoginia dell'islam tradizionalista. La segregazione delle donne, la poligamia, la compravendita delle mogli, i matrimoni forzati e quelli imposti alle bambine e il velo (così come la circoncisione dei maschi, considerata dai bolscevichi un abuso sui bambini) erano stati messi fuori legge. Le donne venivano nominate a cariche amministrative e professionali ed erano incoraggiate - anzi obbligate - a lavorare fuori di casa. Ciò era in linea con l'idea di Friedrich Engels secondo cui le donne avrebbero potuto liberarsi dal dominio maschile soltanto avendo accesso a un reddito indipendente.9

Nel 1978 il governo di Mohammed Daoud, che il PDPA aveva sostenuto ma dal quale era sempre più deluso, uccise un popolare membro del partito. L'episodio provocò manifestazioni di massa, a cui Daoud rispose ordinando l'arresto dei dirigenti del PDPA. Ma prima che questo ordine potesse essere eseguito, il PDPA ordinò ai suoi sostenitori all'interno dell'esercito di rovesciare il governo. La rivolta ebbe successo, e salì al potere Noor Mohammed Taraki, leader della corrente più radicale del partito. La Rivoluzione Saur (Rivoluzione di Aprile) costituì una reazione spontanea al piano del governo Daoud di arrestare i leader del PDPA e di reprimere la sinistra - e non l'attuazione di un piano ordito con la connivenza di Mosca allo scopo di impadronirsi del potere. Sebbene il nuovo governo fosse filo-sovietico e i sovietici fossero ben presto destinati a intervenire militarmente su sua richiesta allo scopo di reprimere la reazione islamista sostenuta dagli Stati Uniti nelle campagne, non c'era Mosca dietro la conquista del potere.10

Il nuovo governo annunciò subito una serie di riforme. I debiti dei contadini poveri sarebbero stati annullati e sarebbe stata creata una Banca per lo Sviluppo Agricolo che avrebbe fornito prestiti a basso interesse ai contadini, allo scopo di sradicare i prestiti-capestro contratti con usurai e latifondisti. La proprietà terriera sarebbe stata limitata a 15 acri e i latifondi sarebbero stati suddivisi e redistribuiti ai contadini senza terra.11

Contestualmente, le donne sarebbero state liberate dalle restrizioni imposte dall'islam tradizionalista. La compravendita delle mogli - il trattamento delle donne nubili come moneta di scambio nelle transazioni commerciali - fu rigidamente limitata. L'età del consenso per il matrimonio delle ragazze fu innalzata a 16 anni. E gli studenti delle città furono inviati nelle campagne a insegnare a leggere e a scrivere sia agli uomini sia alle donne.12

Malgrado alcuni progressi ottenuti soprattutto a Kabul, dove il PDPA poteva contare sul massimo sostegno, le riforme non attecchirono nelle campagne, dove il governo agì in modo eccessivamente precipitoso, suscitando una risoluta opposizione da parte dei ricchi latifondisti e mullah che non era in grado di reprimere per carenza di mezzi militari.13 Il reclutamento per la jihad da parte di Washington di decine di migliaia di mujahidin - tra cui il milionario saudita Osama bin Laden - provenienti da numerosi Paesi islamici finì per provocare la decisione sovietica di ritirare le proprie forze militari e la successiva caduta del governo del PDPA, che resistette per qualche anno dopo la partenza dei sovietici. Ben presto i talebani, sostenuti da Stati Uniti, Pakistan e Arabia Saudita, riportarono l'Afghanistan in pieno medioevo, dopo che il Paese aveva mosso alcuni passi verso la modernizzazione sotto la guida del PDPA. È significativo che siano stati i bolscevichi dell'Asia Centrale, e il PDPA di ispirazione marxista-leninista in Afghanistan, ad agire per migliorare la condizione delle donne, mentre gli Stati Uniti si allearono con i fanatici religiosi che imposero - e continuano a imporre in Arabia Saudita - un barbaro dominio patriarcale sulle donne.

Per Washington i profitti contano più dei diritti delle donne. I comunisti, per contro, erano mossi dal desiderio di liberare i contadini dall'arretratezza feudale e di spezzare la morsa dell'islam tradizionalista sulla sorte delle donne. I secondi si fecero paladini del progresso umano e dei diritti delle donne; i primi si fecero strumenti della logica del capitalismo. La liberazione delle donne dalla misoginia dei talebani e dei sauditi non sarà certo realizzata da Washington. Chi è preoccupato dal ritorno dei talebani e dalla conseguente perdita dei pochi diritti che le donne afghane sono riuscite a strappare a un governo-fantoccio sostenuto dal Pentagono dovrebbe sperare invece in un ritorno dei comunisti. Questi ultimi possono vantare una tradizione di sostegno alla liberazione delle donne - mentre i precedenti di Washington non lasciano sperare nulla di buono.

Note:

*Questo profetico articolo, scritto nell'agosto 2010 dall'autore anti-imperialista canadese Stephen Gowans, merita di essere riletto oggi.

1 Alissa J. Rubin, "Afghan women fear the loss of modest gains", The New York Times, 30 luglio 2010.

2 Rubin, cit.

3 Michael Parenti, "Afghanistan, Another Untold Story", Michael Parenti Political Archives, dicembre 2008, aggiornato nel 2009. http://www.michaelparenti.org/afghanistan%20story%20untold.html

4 Parenti, cit.

5 "Women's rights in Saudi Arabia," Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Women's_rights_in_Saudi_Arabia

6 San Francisco Chronicle, 17 novembre 2001, cit. in Parenti.

7 Da un'intervista pubblicata da Le Nouvel Observateur, Parigi, 15-21 gennaio 1998, tradotta da William Blum e disponibile su http://www.globalresearch.ca/articles/BRZ110A.html:

Domanda: L'ex-direttore della CIA Robert Gates afferma nelle sue memorie [«From the Shadows»] che i servizi di intelligence americani iniziarono ad aiutare i mujahidin in Afghanistan sei mesi prima dell'intervento sovietico. In quel periodo lei era il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter. Di conseguenza, lei ebbe un ruolo in questa vicenda. È così?

Brzezinski: Sì. Secondo la storia ufficiale, la CIA iniziò ad aiutare i mujahidin nel 1980, cioè dopo che l'esercito sovietico invase l'Afghanistan il 24 dicembre 1979. Ma la realtà, sinora gelosamente custodita, è completamente diversa. In realtà fu il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva per la fornitura segreta di aiuti agli avversari del regime filo-sovietico di Kabul. E proprio quel giorno io inviai al presidente una nota in cui gli spiegavo che a mio avviso questi aiuti avrebbero provocato un intervento militare sovietico.

D: Malgrado i rischi, lei era favorevole a questa operazione segreta. Forse lei stesso desiderava che i sovietici entrassero in guerra, e agì in modo tale che ciò avvenisse?

B: Non è esattamente così. Non spingemmo i russi a intervenire, ma facemmo aumentare deliberatamente la probabilità che lo facessero.

D: Quando i sovietici giustificarono il loro intervento affermando che intendevano combattere contro il coinvolgimento segreto degli Stati Uniti in Afghanistan, non furono creduti. Tuttavia, in questa affermazione vi era un elemento di verità. Non se ne pente oggi?

B: Pentirmi di cosa? Quell'operazione segreta fu un'ottima idea. Ebbe la conseguenza di attirare i russi nella trappola afghana; e lei vorrebbe che me ne pentissi? Il giorno stesso in cui i sovietici attraversarono ufficialmente il confine, scrissi al presidente Carter che ora avevamo l'opportunità di dare all'URSS la sua guerra del Vietnam. E infatti, per quasi dieci anni, Mosca fu costretta a portare avanti una guerra insostenibile per il suo governo, un conflitto che causò la demoralizzazione e infine il crollo dell'impero sovietico.

D: Non si pente nemmeno di aver appoggiato il fondamentalismo islamico, di aver fornito armi e consulenza a futuri terroristi?

B: Cos'è più importante per la storia mondiale? I talebani o il crollo dell'impero sovietico? Qualche musulmano invasato o la liberazione dell'Europa centrale e la fine della guerra fredda?

D: Qualche musulmano invasato? Ma è stato affermato più e più volte che il fondamentalismo islamico rappresenta oggi una minaccia a livello mondiale.

B: Sciocchezze! Si dice che l'Occidente avesse una politica globale nei riguardi dell'islam. Questa è una stupidaggine. Non esiste un islam globale. Guardiamo l'islam in modo razionale, senza demagogia e senza emotività. È la principale religione del mondo, con 1 miliardo e mezzo di fedeli. Ma cos'hanno in comune il fondamentalismo saudita, il moderatismo marocchino, il militarismo pakistano, l'occidentalismo egiziano o il laicismo dell'Asia Centrale? Nulla di più di ciò che unisce i Paesi cristiani.

8 Albert Szymanski, Class Struggle in Socialist Poland: With Comparisons to Yugoslavia, Praeger, 1984a.

9 Albert Szymanski, Human Rights in the Soviet Union, Zed Books, Londra, 1984b.

10 Szymanski, 1984a.

11 Szymanski, 1984a.

12 Szymanski, 1984a.

13 Irwin Silber, Afghanistan - The Battle Line is Drawn, Line of March Publications, 1980.


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