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La lotta contro la discriminazione della donna è centrale

Renato Caputo | lacittafutura.it 

19/05/2023

Le questioni della schiavitù domestica, dello sfruttamento, dei tagli ai servizi, della divisione sessuale del lavoro, della precarietà non possono che divenire centrali per lo sviluppo di un movimento per l'emancipazione della donna che voglia evitare di essere strumento di liberazione solo per le più facoltose.

Rivendicazione e rifiuto dell'identità

Il femminismo si riafferma negli Usa nei primi anni sessanta, prodotto da un clima culturale e un ambiente sociopolitico favorevole: le rivolte dei popoli coloniali (Cuba, Algeria, Vietnam), la Cina maoista, la protesta degli afroamericani, la rivolta nelle università. Le opere più note ricalcano Il secondo sesso (1949, tradotto in Usa nel 1953) di Simone de Beauvoir, La dialettica dei sessi di Shulamith Firestone e la politica del sesso di Kate Miller. Negli stessi anni nella componente femminile del movimento studentesco compare il tema dell'alterità. Discorsi di rivendicazione o di decostruzione dell'identità sono le risposte a una domanda che il femminismo si è sempre posto: chi e che cosa è una donna? Le femministe marxiste si sono rammaricate che la centralità di questi temi abbia messo in secondo piano quelli della salute e del lavoro; altre invece si sono convinte che il femminismo dell'uguaglianza avrebbe sbagliato tutto fino all'arrivo salvifico di quello della differenza.

In primo luogo il movimento di emancipazione della donna nella sua storia ha puntato su ciò che di uguale le donne avevano con gli uomini, in seguito sulla Madre, figura di prestigio nelle società patriarcali, poi un'altra strategia è stata puntare sulla strega, sull'immagine negativa del femminile come forma di identità.

A partire dagli anni Sessanta rivendicazioni di alterità hanno convissuto e si sono alimentate di complesse costruzioni filosofiche debitrici alla psicanalisi e di altrettanto complesse costruzioni psicoanalitiche debitrici della filosofia. Non sono testi di facile lettura. Così, ad esempio, il successo in Italia della lacaniana Luce Irigaray tra le femministe di sinistra si deve, paradossalmente, al fatto che probabilmente molte lettrici non hanno afferrato in pieno il messaggio dell'autrice.

In genere si rivendica la differenza quando non si vuole essere assimilati, pensiamo ai nazionalismi del primo ottocento (Germania, Italia) o al nazionalismo degli oppressi dei popoli colonizzati, alla negritudine (che però spesso riflette l'immagine dell'afroamericano costruita dal caucasico), a Malcom X che rifiuta per gli afroamericani la cultura caucasica, ma poi capisce che non si può inventarla come fanno i black muslims e inscrive la lotta degli afrodiscendenti nella lotta più generale dei popoli colonizzati e oppressi. La femminitudine è l'equivalente della negritudine.

La teoria femminista si servirà di Lacan, Derrida, Deleuze, ecc. Mentre i movimenti di donne in Europa e negli Usa si misurano con i problemi della costruzione di un soggetto politico, la french theory, dalla fine degli anni Settanta, si esercita nelle forme possibili della sua negazione. Una società considerata sempre più frammentaria e plurale, con soggetti deboli, con soggetti che si moltiplicano, moltiplicherebbero i punti di vista, ciascuno valido in un contesto parziale, purché non pretenda di costruire un sistema, una teoria universalistica, buona non solo per sé, ma anche per gli altri.

Di fronte al contesto di quegli anni il femminismo riprende il suo "doppio gioco" che consiste nell'indossare un'identità virtuosa o trasgressiva o nel rifiutarle entrambe. Esemplari sono a tal proposito Luce Irigaray e Judith Butler. Irigaray sostiene che il femminismo che rivendica l'uguaglianza dei diritti rischia di portare alla distruzione del suo genere, quindi la Dichiarazione dei diritti dell'uomo non può riguardare le donne a meno che non accettino di rinunciare al loro sesso.

Al polo opposto si colloca Judith Butler, teorica della gender theory, che nel suo undoing gender del 2004 sostiene di non avere alcuna fretta di dare una definizione inconfutabile della differenza sessuale che preferisce considerare una questione aperta, problematica e irrisolta. D'altra parte Butler è anche l'espressione di fenomeni politici nuovi. Non c'è più il nazionalismo della colonizzazione che suggeriva alla filosofia il tema dell'identità; c'è un nuovo movimento fatto di acronimi e che rappresenta le ragioni della sessualità che non obbediscono alla norma. Sono le sessualità disubbidienti che da invisibili vogliono essere riconosciute, che manifestano nei Pride; lottano per i diritti, per un orizzonte di liberazione. Il limite sta nelle pratiche di comunità. Rivendicare un'alterità significa prendere le distanze da altri, cristallizzarle. Le donne sono differenti dagli uomini, le lesbiche dalle donne, ogni donna è differente da sé…

Questa la teoria femminista, ma il movimento con le sue pratiche di lotta porta a diverse conquiste negli anni Settanta, pensiamo in Italia alle acquisizioni successive al '68 (divorzio, aborto, nuovo diritto di famiglia, cancellazione delle barbare leggi sessiste).

Non ci addentriamo a trattare le teorie degli anni ottanta e la concezione dell'intersezionalità, ma è importante sottolineare che, a partire dagli anni novanta, con l'affermarsi delle politiche neoliberiste abbiamo assistito a un forte attacco ai diritti sociali e a quelli conquistati dalle donne. Vi è una ondata reazionaria che vuole imporre il ritorno alla cosiddetta famiglia tradizionale e pretenderebbe di confinare la donna nel ruolo di madre e moglie. D'altra parte tale controffensiva reazionaria, che procede parallelamente all'attacco alla 194, non appare in grado di rimettere in discussione direttamente il diritto al divorzio.

In Italia le questioni del salario e della divisione sessuale del lavoro non possono che divenire centrali per lo sviluppo di un movimento per l'emancipazione della donna che voglia evitare di essere strumento di liberazione solo per alcune. I dati forniti dall'Istat sono catastrofici: il lavoro part-time è al 32,2% (era al 21% nel 1993), il 30% delle donne lavoratrici madri lascia il lavoro per motivi familiari e il 30% è il tasso di occupazione femminile al sud (il 46% a livello nazionale), vi sono notevoli discriminazioni per le neo-madri, il 72% delle donne è responsabile dei lavori di cura, le donne sono per lo più escluse dalle occupazioni più redditizie e dal lavoro a tempo pieno, vi è un enorme disparità di reddito che si riflette anche sulle pensioni. Part time e flessibilità del lavoro femminile comportano indigenza e dipendenza dal partner. Pensiamo, inoltre, anche a tutti i giovani precari colpiti dalla femminilizzazione del lavoro ovvero dall'estensione a giovani lavoratori delle medesime condizioni di precarietà, atipicità e scarsa retribuzione che hanno sempre caratterizzato il lavoro femminile.

È un fatto poco controverso che occorre battersi per l'occupazione femminile, contro le discriminazioni di genere sui luoghi di lavoro, per la parità di salario. Questione più complessa e dibattuta è il modo in cui sarebbe meglio occuparsene.

Verso un nuovo femminismo: giovane, di classe e antirazzista

L'Italia è stata uno degli ultimi paesi a capitalismo avanzato ad approvare una legge sulle unioni civili, ha tassi di occupazione femminili fra i più bassi di Europa, con l'80% dei ginecologi obiettori di coscienza e con la legge sulla procreazione assistita che è uno strumento punitivo nei confronti della donna. A causa dei tagli ai servizi pubblici di cura, agli asili nido e alle forme pubbliche di assistenza le famiglie sono dovute ricorrere al lavoro a basso costo degli immigrati. Insomma un nuovo movimento per l'emancipazione della donna è oggi più che mai urgente. Ma di che tipo di movimento abbiamo bisogno?

Le condizioni di vita delle donne in Italia sono diversificate a causa della precarizzazione del lavoro tra le nuove generazioni, dall'arrivo delle donne immigrate prive di diritti, dal fatto che le donne trans sono marginalizzate dal mercato del lavoro ed esposte a un surplus di violenza maschile. Il movimento per l'emancipazione delle donne dovrebbe, in particolare, battersi per le donne più vulnerabili alle politiche di austerità, alla violenza maschile, alla discriminazione sui posti di lavoro. Dovrebbe essere un movimento di lavoratrici e di lavoratori in grado di ricomprendere al proprio interno le donne precarie, le immigrate, le studentesse, le disoccupate, etc. Non si può più parlare di un maschile e di un femminile, non basta parlare di oppressione di genere: questa oppressione assume forme diverse a seconda dell'appartenenza di classe, dello status sociale. Un nuovo movimento per l'emancipazione della donna, che lotti contro l'oppressione e lo sfruttamento, oggi deve battersi in difesa dei diritti sociali e civili, contro l'austerità e i tagli ai servizi, contro la precarietà e la disoccupazione. Si ha bisogno di un movimento per l'emancipazione della donna rumoroso, arrabbiato, di classe, antirazzista, conflittuale, caratterizzato da una significativa presenza di giovani e immigrate, mentre andrebbero evitate forme di organizzazione separatiste.


l movimento di emancipazione della donna fra socialismo e differenza

Renato Caputo e Holly Golightly | lacittafutura.it 

13/05/2023

La lotta per l'eguaglianza a livello dei diritti civili, politici, economici e sociali è stata e resta decisiva. D'altra parte, in momenti e in fasi storiche di debolezza di chi si batte per l'emancipazione della donna, anche la rivendicazione della differenza può tornare, da un punto di vista tattico, utile. Mentre regressiva e controproducente appare sia l'astratta contrapposizione della differenza dei sessi, rispetto alle lotte per l'eguaglianza dei diritti, sia le tendenze a separare la lotta delle donne dal movimento per l'emancipazione dell'umanità.

Il vantaggio, tattico, di essere considerate differenti

Il "femminismo" cristiano è forse l'esempio più evidente dei travestimenti tattici che ha dovuto assumere la lotta per l'eguaglianza fra i sessi in contesti in cui i rapporti di forza non sono favorevoli alle forze che si battono per l'emancipazione. Come in altri casi, precedenti e futuri, il movimento per l'emancipazione della donna ha ottenuto nuova linfa all'interno del movimento di lotta per l'abolizione della schiavitù. Gli spazi che si sono aperti per lo sviluppo del movimento per l'emancipazione delle donne negli Stati uniti si collocano all'interno di alcune delle casematte decisive per la lotta per l'egemonia nella società civile come i salotti e i clubs. All'interno di tale movimento "democratico" cristiano si cercherà nella Bibbia la libertà delle donne e l'inesistenza nelle Scritture di qualcosa che possa giustificare la disuguaglianza tra uomini e donne. In tal contesto nel luglio del 1848 alcune centinaia di donne si riuniscono in una cappella per redigere la Dichiarazione dei sentimenti che contiene le stesse rivendicazioni di principio della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791 di Olympe de Gouges: uomini e donne sono stati creati uguali, devono, perciò, godere degli stessi diritti, in particolare il diritto di voto, all'istruzione e al poter prendere parola pubblicamente. D'altra parte, l'ambiente ben differente rispetto alla Francia rivoluzionaria, in cui queste coraggiose donne sono costrette a lottare, non è privo di conseguenze e quindi l'appello a ciò che in comune hanno gli esseri umani si accompagna a una forte sottolineatura della maternità. In questo modo il femminismo cristiano tranquillizza i maschi cristianodemocratici. Nel movimento di emancipazione femminile statunitense si sottolinea l'importanza dell'istruzione, perché è ciò di cui le donne hanno bisogno all'interno della famiglia per svolgere nel modo migliore il proprio ruolo peculiare. Inoltre ciò gli apre la possibilità di diventare professioniste della cura alla persona prima all'interno del nucleo famigliare, ma potenzialmente anche al di là dell'ambito domestico. Così, però, le donne non sono mai riconosciute e rispettate come persone ma soltanto come mogli e madri. In tal modo emergono chiaramente i limiti di quella componente del femminismo che rivendica la differenza, ponendola in contrasto con la decisiva lotta per l'eguaglianza.

In ogni caso la Dichiarazione dei sentimenti è anch'essa influenzata dalla lotta laica per l'eguaglianza e dal movimento operaio, come si vede dalle rivendicazioni sviluppate per il diritto di voto, di accesso all'istruzione e alle professioni con un'equa retribuzione. Ci si può domandare se far leva sulla figura della madre sia stato utile o dannoso alla lotta per l'emancipazione della donna. Sicuramente l'assecondare concezioni dominanti nel senso comune ha reso meno difficile far passare l'idea che le donne hanno dei diritti. D'altra parte l'insistere sulla domesticità, l'attitudine alla cura, il proprio ruolo sociale come madre ha reso più facile il perpetuarsi della segregazione e della schiavitù domestica. Quando lo sviluppo delle forze produttive tenderà a privilegiare il lavoro maschile e le donne saranno confinate a occuparsi della riproduzione della forza lavoro, le prospettive che mettono in primo piano la differenza, piuttosto che l'eguaglianza, finiscono involontariamente per favorire tali perverse dinamiche sociali.

L'organizzazione e il lavoro come priorità

La lotta per l'emancipazione della donna sviluppatasi all'interno del movimento dei lavoratori salariati del XX secolo è caratterizzata da aperture e da rifiuti. Innanzitutto l'affermarsi del modo capitalistico di produzione ha dissolto il modo di produzione tradizionale patriarcale, costringendo le donne ad allontanarsi da casa e ad allentare i vincoli di parentela, dando impulso a dinamiche di emancipazione. D'altra parte occorre tener ben presente che si tratta esclusivamente del primo impulso, perché le donne a causa dello sfruttamento rischiano di cadere dalla padella nella brace, i salari sono più bassi e gli stessi compagni di lavoro appaiono, per lo più, ostili. D'altra parte anche il movimento sindacale è costretto ad aprirsi alle donne, anche perché il numero delle lavoratrici salariate cresce in modo esponenziale in tutta Europa già a partire dagli inizi del novecento. Così le donne e le loro rivendicazioni si inseriscono negli spazi aperti dal movimento operaio e, più in generale, dei lavoratori salariati, resistono, scioperano e si organizzano a partire da quest'ambito. È proprio questa la funzione emancipativa del lavoro: l'esperienza della lotta e, più in generale, le relazioni solidali fra sfruttate e sfruttati che consente di realizzare.  Certo oltre alle forze materiali, sono altrettanto importanti le battaglie delle idee. Marx, Engels e Bebel avranno da questo punto di vista un ruolo importante, in quanto con le loro concezioni faranno progressi significativi rispetto alle ideologie che si erano affermate grazie alla Rivoluzione francese. In particolare, Engels sosterrà che la prima forma di oppressione è quella che subiscono le donne da parte degli uomini e che la famiglia, dunque, è la cellula di base dei rapporti di potere. Per modificare i quali diviene decisivo che le donne riescano a liberarsi dal doppio lavoro, domestico e professionale, grazie allo sviluppo di servizi pubblici collettivi. In tal modo anche la famiglia tradizionale cristiano-germanica non può più essere considerata naturale e, perciò, immutabile. Marx, Engels e Bebel sono disgustati dalla doppia morale, cioè dal fatto che mentre per gli uomini dare libero sfogo alla propria sessualità è motivo di vanto, per le donne, al contrario è considerata un'onta e, perciò, si dichiarano aperti ai liberi rapporti d'amore anche per le donne. D'altra parte, un gran numero di figure femminili autorevoli caratterizza il movimento socialista del XIX e del XX secolo: Rosa Luxemburg, Aleksandra Kollontaj, Clara Zetkin, Anna Kuliscioff, ecc.

Fondamentale il lavoro di Clara Zetkin socialista e femminista che dirigerà il giornale Die Gleichheit [l'uguaglianza], mediante cui le militanti abbonate si riuniscono nei circoli e con la scusa di socializzare intorno a una una tazza di caffè fanno politica, e la fanno in modo efficace, tanto che gli abbonamenti e la conseguente partecipazione alla vita politica continuano a crescere. Quando il Partito socialdemocratico tedesco di cui era militante voterà a favore dei crediti di guerra, Zetkin diverrà una dei principali dirigenti del Partito comunista tedesco e andrà a dirigere il lavoro femminile all'interno della Terza Internazionale come aveva già fatto nella Seconda. Ha ora alle spalle la straordinaria esperienza del movimento suffragista, cui le socialiste hanno partecipato da protagoniste.

In seguito alle Rivoluzioni in Russia del 1917 e, in particolare, con la nuova costituzione socialista e marxista le donne realizzano per la prima volta in pieno le loro secolari aspirazioni: l'uguaglianza giuridica e all'interno della famiglia, la possibilità di poter scegliere liberamente il proprio domicilio, la libertà di mantenere il proprio cognome di origine e sono tra le prime al mondo a votare e a poter essere elette, vedono per la prima volta riconosciuto il diritto all'aborto, l'accesso all'istruzione a tutti i livelli, i congedi di maternità, si sviluppano servizi pubblici collettivi per liberare le donne dalla schiavitù domestica (cose impensabili nella società borghese e capitalista), sono riconosciute le famiglie di fatto e gli omosessuali non sono più discriminati.

Zetkin sostiene che la donna è come l'uomo, ovvero un essere umano e il sesso è solo una variante di secondaria importanza. Pensa, sulla base della concezione materialista della storia, che devono mutare le condizioni di vita, anche sul piano economico e sociale, perché muti il modo di percepirsi delle donne; considera, dal punto di vista marxista, le donne come un soggetto collettivo che, liberando se stesse, rendono possibile la liberazione dell'intera umanità; ritiene che gli uomini debbano condividere il lavoro domestico con le donne e critica la doppia morale, il doppio standard che vige nella società borghese nei confronti soprattutto della sfera della sessualità.

D'altra parte, sia Zetkin che tutto il movimento per l'emancipazione della donna che si colloca nell'intersezione tra genere e classe deve fare i conti con le tutele, con i diritti specifici delle donne, legati alla differenza del corpo e alla sfera specifica della riproduzione. Questi diritti sono spesso un'arma a doppio taglio perché aumentano il costo della forza lavoro per il capitalista e abbassano i livelli di sfruttamento e, quindi, di profitto, disincentivando l'assunzione di forza lavoro femminile. Tant'è che molte femministe sono contrarie alla difesa di tali diritti specifici. Zetkin assume da marxista una posizione giustamente dialettica, si pronuncia contro le tutele specifiche quando si tratta ancora di imporre l'ingresso delle donne nelle fabbriche e, più in generale, nei luoghi di lavoro, ma torna a essere favorevole e a rivendicare le tutele specifiche non appena le porte del mondo del lavoro non sono più precluse alle donne.

Qual è dunque la migliore soluzione a questo annoso problema? Le lavoratrici rivendicano ad esempio il diritto al riposo, ma gli uomini non hanno diritto anch'essi a riposarsi? Le donne rivendicano orari di lavoro meno pesanti, ma non ne avrebbero bisogno anche gli uomini? Le donne si oppongono giustamente al lavoro notturno quando non sia assolutamente indispensabile, ma tale sacrosanto diritto deve valere solo per loro? Le donne si battono per i congedi maternità, ma perché tali congedi nel bene e nel male non debbono essere condivisi con gli uomini? La soluzione, come di consueto, va individuata a livello universale, cioè le donne debbono battersi insieme agli uomini per l'estensione e il pieno riconoscimento a tutti dei diritti dei lavoratori.

In caso contrario, ogni conquista del movimento delle donne rischia di essere un'arma a doppio taglio. Se le donne sono esentate dai turni di lavoro pesanti, dal lavoro notturno, hanno diritto esclusivo ai congedi di maternità etc. naturalmente i padroni tenderanno ad assumere prevalentemente i maschi e questi ultimi, essendo maggiormente esentati dai lavori domestici o dalle pratiche legate alla riproduzione hanno più facilità delle donne di fare carriera e di raggiungere i ruoli apicali nel mondo del lavoro.


Le lotte per l'emancipazione delle donne

Renato Caputo e Holly Golightly | lacittafutura.it 

06/05/2023

La nascita nel corpo della Rivoluzione francese, segnala che il femminismo è nato e rinato ogni volta a fianco di correnti rivoluzionaria, riformiste o democratiche, che hanno rielaborato i concetti di uguaglianza vs disuguaglianza, liberazione vs oppressione, libertà vs schiavitù, autodeterminazione vs assimilazione.

Nel presente articolo intendiamo affrontare la questione dei diritti delle donne, delle lotte delle donne per i diritti e della situazione attuale ed è proprio da quest'ultima che prenderemo le mosse. Dopo i grandi movimenti che si sono sviluppati negli ultimi anni, le donne hanno modificato a proprio vantaggio i rapporti di forza, si sono conquistate maggiori spazi di libertà, ma proprio per questo sono ancora di più sotto attacco da parte delle forze che si battono per la disemancipazione femminile. L'attacco in particolare concerne: la femminilizzazione del lavoro (che implica il ghettizzare le donne in attività lavorative considerate dalla società patriarcale prettamente femminili), la crescente precarizzazione dell'occupazione, la discriminazione per cui le donne vengono pagate meno e sono più sfruttate dei lavoratori maschi e godono di minori diritti, a partire dai licenziamenti in caso di gravidanza. Inoltre le donne sono vittime di violenza fra le mura domestiche e sui luoghi di lavoro, sono vittime di violenza verbale e sessuale, di una violenza che giunge fino al femminicidio.

D'altra parte le donne sono divenute più forti grazie alla diffusione dei concetti connessi all'emancipazione della donna nella cultura e nel senso comune, ma soprattutto le donne si sono mobilitate e si continuano a mobilitare in questi ultimi anni, a partire dalla grande manifestazione internazionale del 26 novembre 2016 contro la violenza sulle donne che ha fatto nascere un imponente movimento globale nel quale sono state e sono protagoniste donne giovani e giovanissime.

D'altra parte la gioventù dei corpi non produce immediatamente un rinnovamento delle idee. Il nuovo non può sorgere e affermarsi se non trova le pratiche di lotta e i discorsi per realizzarsi. Una rinnovata lotta per l'emancipazione della donna dovrebbe recuperare le cose migliori delle lotte del passato. Una mobilitazione che ha bussato alle porte, ha raccolto firme, ha fermato altre donne per discutere con loro, ha organizzato scioperi e prodotto forme di conflittualità più o meno violente. Diverse pratiche di lotta del passato sono andate perdute ed è anche giusto, ma per far nascere nuove idee e forme materiali del cambiamento è necessario dialogare con il passato. E allora partiamo dalla storia, fondamento di ogni lotta per l'emancipazione e di ogni scienza.

La lotta per l'emancipazione della donna è stata un movimento sociale, politico e culturale con cui, in tempi diversi e in contesti diversi, delle donne hanno tentato di svincolarsi da una relazione di potere che non può essere del tutto assimilata ad altre forme. È vero che sono esistiti ed esistono uomini per così dire "femminilizzati" da una condizione di subalternità, ma è anche vero che spesso al fianco di un subalterno c'è una due volte subalterna. Come spiegava Engels, citando Flora Tristan: nella famiglia lui è il borghese, lei la proletaria.

Le donne hanno costituito un soggetto politico collettivo solo in alcune circostanze, ovvero quando l'appartenenza al sesso femminile è apparsa chiaramente la ragione della discriminazione, come nel caso della questione dei diritti politici o della liberazione sessuale. Finché anche altri erano esclusi dal voto, l'essere donna non era apparsa una discriminante sufficiente per dare avvio alle lotte. Quando l'evoluzione della cultura e dei costumi ha consentito che l'attenzione si concentrasse sulla sessualità, l'essere di sesso femminile ha costituito un elemento di identificazione.

Questo per dire che le donne non sono un soggetto politico permanente e la sorellanza universale è un mito. Già prima che nascesse il concetto di intersezionalità coniato da Kimberlè Crenshaw, le militanti socialiste del Novecento erano solidali con i loro compagni di lotta e non con il femminismo liberale e/o borghese. E lo stesso vale per le femministe afroamericane o per le appartenenti al movimento di emancipazione Lgbt. Ma ciò non ha impedito che in circostanze particolari ci siano state grandi alleanze trasversali femminili. Infine non bisogna dimenticare che vi sono stati uomini che si sono battuti per l'emancipazione della donna più della grande maggioranza delle stesse donne come Condorcet, Fourier, Saint-Simon, Enfantin, Stuart Mill, Engels e Bebel.

L'importanza di sentirsi uguali

la data di nascita del femminismo è oggetto di discussione. L'attacco più utile è iniziare il racconto dalla Rivoluzione francese del 1789. La borghesia dirige e ha elaborato le idee che accompagnano la Rivoluzione, ma la borghesia non è omogenea e c'è una parte di essa che si rende conto che non può vincere senza il popolo. Quindi deve cedere alle sue rivendicazioni e radicalizzare il proprio linguaggio. Dunque la Rivoluzione, oltre a contenere l'embrione del futuro movimento operaio, contiene anche in potenza il femminismo che non è ancora un movimento, ma sono donne in movimento. Ci sono femministe come Olympe de Gouges e Mary Wollestoncraft, ma c'è anche la sanculotteria femminile che nasce prima di quella maschile. Le donne sono le prime a marciare su Versailles, ma non hanno strutture organizzative e non sono autorizzate a decidere.

La nascita nel corpo della Rivoluzione, segnala che il femminismo è nato e rinato ogni volta a fianco di correnti rivoluzionarie, riformiste o democratiche, che hanno rielaborato i concetti di uguaglianza vs disuguaglianza, liberazione vs oppressione, libertà vs schiavitù, autodeterminazione vs assimilazione. Il femminismo si è identificato ora con il terzo stato rivoluzionario, ora con gli afroamericani, ora con il proletariato, ora con il mondo transgender. Ne ha ripreso le idee per costruire un discorso proprio.

Il primo femminismo si è concentrato sul tema dell'uguaglianza. Una scuola di pensiero femminista ha criticato l'adesione di altri femminismi al principio di uguaglianza con due argomenti: 1) rivendicare l'egalitè significherebbe aspirare a un'inclusione acritica e rinunciare alla propria alterità. Le è stato risposto che l'opposto di uguaglianza non è differenza, ma disuguaglianza e l'opposto di differenza non è uguaglianza, ma assimilazione. L'uguaglianza è il denominatore comune presente in ogni essere umano, a cui va resa giustizia; la differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell'essere umano e la peculiarità delle sue esperienze. La differenza si afferma allora nel suo significato di identità altra rispetto a coloro che ambiscono alla conquista. Il nazionalismo europeo della prima metà del XIX secolo si costituisce quindi come un atto di differenziazione, una presa di distanza in nome di un'identità diversa, non assimilabile e non disposta a lasciarsi assimilare. 2) l'uguaglianza viene considerata qualcosa di astratto. In realtà le rivendicazioni del primo femminismo in nome del principio di uguaglianza sono destinate a cambiare radicalmente l'esistenza della donna e sono, dunque, tutt'altro che astratte. La prova che l'uguaglianza non sia una trappola del potere funzionale all'assimilazione si ha con il fatto che tra il momento storico in cui viene rivendicata e quello in cui verrà realizzata passerà, nella migliore delle ipotesi, un secolo e nella peggiore quasi due.

Quando acquisteranno la cittadinanza anche gli uomini subalterni le donne saranno ancora escluse. Ma di cosa hanno paura? Gli uomini temono di perdere il controllo sulla sessualità, la capacità di riproduzione, i servizi e le cure delle donne. Per la grandissima maggioranza degli uomini quello su una donna è l'unico potere che possano esercitare, e la sua perdita può comportare il rischio del venir meno dell'autostima e della propria identità maschile.

Per il primo femminismo la ragione è la misura dell'egalitè. Non basta l'appartenenza al comune genere umano senza la specificazione che le donne dispongono come gli uomini della ragione. Per Mary Wollstonecraft le donne hanno diritto all'uguaglianza perché sono essere razionali non meno degli uomini, e se spesso la loro razionalità viene messa in dubbio è perché non possono fruire di un'istruzione adeguata. Ecco perché la posta in gioco è l'istruzione, e attenzione: l'accesso senza discriminazioni alla cultura coincide con tutta la storia del femminismo e sbaglierebbe chi credesse oggi che il problema è risolto per il maggior numero di donne che oggi studia rispetto agli uomini.

Molti attribuiscono al primo femminismo l'errore di aver chiesto le stesse cose che chiedevano gli uomini e cos'altro potevano chiedere se non quello che chiesero? Chiedevano di non essere condannate a rimanere bambine e diventare maggiorenni alla stessa età degli uomini, di avere un'istruzione, di poter disporre dei soldi guadagnati o ereditati, di avere come madri la stessa possibilità di decisione dei padri, di essere cittadine, di poter disporre del proprio corpo così come ne disponevano gli uomini.

Olympe e Mary erano per i loro contemporanei delle prostitute, questo per aver preferito gli amanti ai mariti, per essersi esposte in pubblico per le proprie idee, per aver viaggiato sole o con uomini con cui non avevano vincoli matrimoniali. Con il femminismo dell'uguaglianza comincia la lotta contro la doppia morale sessuale e la famiglia patriarcale, per il diritto a decidere del proprio corpo, la lotta per l'autodeterminazione.

Il socialismo utopistico

I socialisti non ignorano le donne. Fourier, considerato l'inventore della parola femminismo, è l'erede legittimo delle rivendicazioni più radicali del movimento per l'emancipazione delle donne del 1789. Scrisse contro famiglia e matrimonio, affermò che la libertà delle donne è la misura di ogni progresso sociale, teorizzò la liberazione dai lavori domestici attraverso servizi collettivi, contro il mito della verginità scrisse che le ragazze dovevano fare esperienze sessuali prima del matrimonio, che bisognava introdurre l'educazione sessuale nelle scuole e che l'omosessualità è una delle espressioni della fondamentale libertà del nostro corpo.

Le sansimoniane, appellativo con cui si definiva il movimento per l'emancipazione della donna ispirato al socialismo (utopista), si dedicarono ai problemi concreti delle donne reali. In particolare Flora Tristan considerava il corporativismo un'assurdità e si batté per migliorare le condizioni di vita del lavoratore salariato e, in particolare, della lavoratrice, puntando a unificare la classe. A lei si deve l'affermazione, ripresa da Engels, secondo cui la donna è la proletaria dell'uomo. Le sansimoniane si batterono anche nel 1848, erano proletarie o si schierarono dalla parte del proletariato e, perciò, diedero grande importanza al salario - rivendicando la parità con quello percepito dai maschi - e all'indipendenza economica. Al contempo, però, come le femministe dell'89 rivendicano i diritti, in particolare all'istruzione e a uscire dallo stato di minorità in cui erano tenute, i diritti politici di cittadinanza e di autodeterminazione della propria vita affettiva e sessuale.

Le sansimoniane preferirono battersi per la riforma dell'istituzione matrimoniale, per il riconoscimento dei figli illegittimi, per la libera scelta del partner e il cognome della madre da dare alla prole, piuttosto che per il libero amore. In tal modo, non assunsero una posizione avanguardista dinanzi alle masse, ma portarono avanti delle fondamentali rivendicazioni con quasi un secolo e mezzo di anticipo dal momento in cui cominciarono a divenire senso comune.


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