www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 17-05-06
da Sez Impastato PdCI Bologna
Il calcio e la politica
Lidia Triossi
Le recenti notizie che ci giungono dal pianeta calcio, descrivono la fase storica in cui versa il nostro Paese. La metafora calcistica, ideata da Berlusconi e presa a vero e proprio modello di comunicazione negli ultimi dieci anni, oggi in un mortificante gioco di specchi, mostra un’italietta meschina, corrotta e violenta.
Tutto l’arco politico, rovesciando l’egemonia gramsciana a favore della destra, rincorre la metafora calcistica. Mai come oggi possiamo sapere la fede calcistica dei leader politici, che si inseguono nei salotti televisivi per parlare di calcio, si inventano pure club bipartisan in parlamento per la squadra a cui tifono, ma ci sfugge la loro identità politica… E la polarizzazione comunicativa di questa ultima campagna elettorale, nascondeva una ben più pericolosa rincorsa bipartisan ai poteri forti (Confindustria, NATO, ecc…) trasversale agli schieramenti.
Il coinvolgimento di alti dirigenti di società sportive, arbitri e dirigenti della Lega calcio, è la metafora di quello che avviene in politica.
Vi è inoltre una connessione strettissima tra mondo politico, economico e telecomunicazioni, che hanno di fatto stravolto e strangolato il gioco del calcio.
Il calcio, l’azienda calcio, muove miliardi, e interessi altissimi. Indipendentemente dal valore delle grandi squadre esiste, oggi, una vera e proria lobby che decide l’andamento di questo gioco e si scrive le regole…
Ora si grida allo scandalo, e da una parte si cerca di isolare il fenomeno, riducendolo a singole persone, dall’altra parte, in modo altrettento giustificatorio, si invoca il sistema, per scagionare i singoli.
In questi anni pochissime voci si sono levate per denunciare questa degenerazione, un allenatore come Zeman e altri allenatori, arbitri e giornalisti minori che con coraggio avevano contrastato questo sfacelo, sono stati allontanati e irrisi, con sbrigative controaccuse di essere solo dei provocatori e dei rancorosi... Le numerose squadre penalizzate da questa situazione, tra cui il Bologna, non sono tuttavia al di fuori di questo mondo, che ha mercificato lo sport.
Oggi numerosi si erigono a censori e moralisti, ma in quel sistema ci sono cresciuti e si sono arricchiti, mettendo in forte imbarazzo l’arco politico che aveva in modo trasverale appoggiato questo sistema. Sono poi gli stessi che in modo sprezzante criminalizzavano chi attraverso le curve cercava di lanciare altri messaggi, la campagna denigratoria a cui è stata sottoposto la curva del Livorno ne è una prova. Anzi in modo ancor più meschino si paragonava fascisti e razzisti a quelle centinaia di persone di sinistra che attraverso gli stadi lanciavano messaggi di solidarietà verso i lavoratori, di pace e antirazzismo, dove erano tutti questi moralisti quando si metteva sullo stesso piano croci uncinate e falci martello? Perché, come durante il fascismo, “qui non si parla di politica”, come riportavano alcuni cartelli appesi nei caffè durante il ventennio. La cosa appare grottesca quando sono gli stessi politici a fare queste dichiarazioni.
Ancora una volta è attraverso la magistratura che viene scoperchiato questo malaffare, come una nuova tangentopoli del calcio.
E’ triste dover constatare come la cosidetta società civile, in questo caso nel mondo del calcio, non sia riuiscita attraverso propri anticorpi a fermare questo processo degenerativo. Questo dimostra che viviamo in una società anestetizzata, che non riesce in modo partecipativo ad autoregolarsi. La società civile, è un fantasma, la società è sana quando esiste una società attiva.
I parallelismi con la politica sono inquietanti se si considerano le analogie tra i due mondi. Chi oggi, invoca giustizia e sostiene la magistratura, giustamente in questa vicenda, ammette la sconfitta della società civile, e dimostra la debolezza della nostra democrazia. L’aver ridotto il calcio ad un mercato, cosi come la politica ad una questione di lobby, ha provocato la mariginalizzazione di ogni coinvolgimento popolare nelle decisioni e nell’organizzazione del Paese.
Potrà apparire pessimistico, ma questa vicenda dimostra come vi è ormai un pieno scollamento tra le istanze democratiche partecipative e di controllo popolari e il sistema stesso.
Mai come oggi si parla di calcio, con i mille programmi, con le oceaniche folle televisive per le partite, ma ormai quel mondo è lontano anni luce dall’essenza dello sport e del gusto sano del tifo.
Così come la politica si fa nei salotti televisivi e si riduce alle percentuali elettorali, e l’azione popolare è vista dalle lobby politiche come una noiosa se non irritante pratica del passato. Abbiamo vissuto una delle più noiose campagne elettorali, la popolazione in modo democratico è andata a votare, ma al di là della vittoria risicata del centro-sinistra, vi è una passività sociale che fa dire che morto Berlusconi, vive ancor più forte il berlusconismo.
E’ necessario che il mondo del calcio riparta da quello che è, un gioco, un potente vettore di comunizzazione sociale, che vive soprattutto nei campetti di quartire, negli oratori, nelle squadre non professioniste, nello sport come cultura del gioco, della disciplina e della salute fisica. L’esempio dello sport non professionista a Cuba dovrebbe essere studiato con maggiore attenzione, dove lo sport è prima di tutto una forma di istruzione popolare. Se questo non avverrà, di casi legati alla corruzione ne vederemo sempre di più. Finche non sarà lo stesso ambiente sportivo a dire basta, ogni coinvolgimento della magistratura, non riuscira a fermare nulla, anzi servirà unicamente a spostare su altri equilibri gli interessi di potere delle grandi lobby presenti nel mondo del calcio. Di Moggi è pieno il mondo…
E se il calcio è lo specchio della politica, essa stessa deve ritornare ad essere momento di partecipazione e non di mero comitato elettorale o lobby economica. Il paese attraversato da processi gravi di crisi economica, con una precarizzazione sociale di massa, avverte tutti i segni di una malattia pericolosissima, l’estinzione della dimensione collettiva e della sua relativa partecipazione popolare.
E’ realistico parlare da comunisti di sport in modo non professionista cosi come considerare la politica coinvolgimento popolare, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni.
Lidia Triossi