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- osservatorio - italia - politica e società - 02-07-09 - n. 281
Berlusconi, Prodi ed il nodo delle tasse
di Domenico Moro
Le tasse sono il chiodo fisso degli imprenditori italiani, dei grandi, dei medi, dei piccoli e della pletora dei piccolissimi che affolla la struttura produttiva italiana. Ma le tasse ed il loro peso sono sentite anche dagli oltre diciassette milioni di lavoratori dipendenti e dagli otto milioni di partite Iva.
Spesso, specie ultimamente, si è parlato di come il governo Prodi sia caduto a causa di Mastella e delle dichiarazioni di Veltroni sulla necessità per il Pd di andare da solo alle elezioni venture. Tutto questo ha giocato un ruolo importante, come lo ha avuto l’atteggiamento ostile nei confronti del governo tenuto, in più occasioni, da Confindustria, Vaticano e Usa. Però, si dovrebbe anche ricordare che, se il governo Prodi è caduto, è stato perché vinse alle elezioni politiche del 2006 con soli 24mila voti di scarto, perdendo negli ultimi giorni quasi tutto il vantaggio di cui tutti i sondaggi lo accreditavano.
Quale ne fu la ragione? Proprio sul filo di lana delle ultime apparizioni Tv, ci furono le improvvide dichiarazioni di Prodi su possibili aumenti delle tasse, cui, invece, corrispose l’abile proposta di Berlusconi di taglio dell’Ici. La maggioranza che uscì dalle elezioni fu così troppo risicata per permettere a Prodi di resistere alle pressioni che successivamente vennero esercitate dall’esterno e dall’interno della sua compagine.
La questione, però, è più complessa e va al di là di singole dichiarazioni o “errori di comunicazione”. Del resto, come lo stesso Prodi ha ammesso, intervistato da Fazio, per la seconda volta gli fu fatto fare il “lavoro sporco” di riequilibrio dei conti pubblici, per poi liquidarlo nel momento in cui si accingeva alla “redistribuzione”. Errare è umano, ma perseverare …
Ad ogni modo, se Berlusconi vince non è soltanto perché è a capo di un impero televisivo (su cui peraltro per due volte il centro-sinistra al governo non ha fatto la legge sul conflitto d’interessi) ed è l’uomo più ricco d’Italia. Le televisioni da sole non bastano, ci vuole la capacità di realizzare alleanze sociali, ovvero di costruire quello che con una categoria gramsciana si definirebbe “blocco sociale”. Al cavaliere va senz’altro riconosciuta la capacità di aver saputo realizzare un blocco sociale di cui la questione delle tasse è uno dei collanti principali.
La base di massa di questo blocco sociale sono le oltre mezzo milione di piccole e piccolissime imprese, che nella struttura produttiva italiana hanno un peso molto superiore rispetto agli altri Paesi a capitalismo avanzato. Una parte consistente di tali imprese non ha le dimensioni per reggere sul mercato, specie internazionale, ed è prosperata fino ad ora solo perché il sistema politico (dalla Dc e dal Psi fino a Berlusconi, che di quei partiti ereditò la gran parte del sistema di potere) si è sempre dimostrato tollerante verso le loro irregolarità, verso il lavoro nero e specialmente verso l’evasione fiscale, che raggiunge nel nostro Paese la cifra astronomica di 100 miliardi di euro e che contribuisce a determinare l’alto debito e deficit pubblico.
La questione paradossale è che se, da una parte, la tolleranza verso le irregolarità di una parte consistente dell’imprenditoria, provoca un aumento generale dell’imposizione fiscale che si scarica su quelli che non possono evadere, principalmente i lavoratori dipendenti, dall’altra, i lavoratori dipendenti delle piccole imprese, in mancanza di una fattiva solidarietà di classe e di una alternativa a sinistra, si sentono legati alla sorte dei loro padroni e padroncini. Il risultato è che, anche i lavoratori dipendenti, specie quelli del nord-est ma non solo, per i quali l’impatto delle tasse sulla busta paga è più visibile delle perdite per l’aumento dello sfruttamento e dei profitti, hanno subito l’egemonia del blocco sociale berlusconiano.
La gravità della crisi attuale, però, rende insufficienti i soliti metodi basati su evasione fiscale, lavoro nero, bassi salari. Migliaia sono stati i fallimenti tra le microimprese nel 2008, e centinaia di migliaia di aziende scontano pregressi indebitamenti, mentre le banche concedono finanziamenti solo alle grandi imprese, negandoli a quelle piccole. Inoltre, la pressione fiscale non si è alleggerita, tantomeno quella sui redditi da lavoro dipendente, ed in generale è aumentata recentemente dello 0,7%.
Di fronte alla crisi e alla ristrettezza dei margini di intervento statale, data l’entità del debito pubblico esistente, si è scatenata la lotta per ottenere i finanziamenti statali e la contestazione del governo da parte delle associazioni imprenditoriali. Il blocco sociale berlusconiano ne è risultato così abbastanza scosso, come del resto si è visto alle ultime elezioni europee, nelle quali il Pdl ha perso 2,8 milioni di voti. A trarre vantaggio dalle “scosse”, è stata la Lega, che si sta facendo interprete di un nuovo “blocco dei produttori”, composto non solo dalla sua tradizionale base sociale, l’imprenditoria piccola e piccolissima e l’artigianato, ma anche dai salariati, fino ad arrivare a esponenti della media impresa.
Al contrario, nessun vantaggio è stato tratto dal Pd, dal cui dibattito è assente una vera riflessione sulla struttura sociale italiana, e che anzi vede la Lega penetrare nei territori (Emilia-Romagna, Toscana), dove da decenni è sedimentato il suo “patto tra produttori”. Gli ultimi provvedimenti del governo Berlusconi, contenuti nella manovra d’estate, mirano a tacitare le critiche della grande impresa e di Confindustria. Centrale, non a caso, è la decisione di tagliare le tasse del 50% sugli investimenti in macchinari. Una misura che non avrà effetti positivi sulle piccole imprese, soprattutto commerciali e del terziario, e neanche su quelle industriali, che non sono in grado di effettuare nuovi investimenti, permettendo invece alle grandi imprese di cogliere l’occasione della crisi per ristrutturarsi. Gli effetti sui lavoratori non saranno positivi, in quanto le nuove tecnologie e i nuovi macchinari permetteranno di sostituire forza lavoro e dovranno essere finanziate prendendo i soldi da qualche altra parte.
Come ha ricordato lo stesso Epifani, dovrebbero essere invece le spese dei lavoratori dipendenti ad essere detassate. Il nodo delle tasse è centrale in Italia e troppo spesso la sinistra è apparsa come il partito dell’aumento indiscriminato delle tasse. Per staccare gli operai dal blocco sociale berlusconiano e leghista, oltre a rilanciare una battaglia a favore del salario e degli ammortizzatori sociali, bisogna affrontare di petto il problema fisco, mettendo insieme lotta all’evasione e riduzione delle tasse per i redditi dei lavoratori dipendenti e di quell’”esercito delle partite iva”, che, in non piccola parte, rappresenta lavoro dipendente mascherato.