www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 29-07-09 - n. 284

La filosofia per capire la crisi. Emanuele Severino solo nel suo dire
 
di Tiziano Tussi
 
Il 21 luglio il Corriere della Sera pubblicava un intervento di Emanuele Severino dal titolo Filosofia, la chiave per capire la crisi. Il filosofo, non nuovo a questi interventi sul Corsera, snocciola la sua tesi di fondo che sempre arricchisce e complica. In soldoni: solo la filosofia riesce a cogliere l’uno che sta dietro alle cose che sono. Già e poi cosa ce ne facciamo. Bisogna andare con calma. Tutto è serenità nell’essere e quindi disturbarlo con annotazioni scientifiche, perciò parziali, lo offende. Ma cerchiamo di capirci.
 
Alcune osservazioni le indirizzeremo alle modalità di analisi di Severino, ma qualcosa occorre anche dire sul significato di tale pubblicazione. Il testo è per l’uscita del suo nuovo libro, tanti ne ha scritti, per Morcelliana, che raccoglie, come spesso gli accade, interventi e scritti sparsi. Severino è una firma del Corriere da molti anni e sempre vi trova ospitalità. La sua storia personale è un po’ accidentata, non molto. Dopo un denso periodo di insegnamento alla Cattolica di Milano, viene allontanato per incompatibilità con il cristianesimo. Si trasferisce allora a Venezia ed insegna colà per decenni. Ora svolge attività di insegnamento, naturalmente, all’università del San Raffaele di Milano.
 
Questo breve riassunto al fine di mettere in luce la sua lontananza da un pensiero semplice e legato alla ritualità teorica, alle ripetizioni. Agli echi di ogni fase storica, Dio, patria e famiglia, che tanto prende molti dei nostri, diciamo così, intellettuali, da rotocalchi e giornali. Possiamo definirlo un ultra parmenideo. L’essere originario innanzi a tutto, nel senso più vero dello stare. Ho in mente un’intervista che fece scalpore nel 1982 a Lotta Continua, nella quale il maturo Severino già indicava la via: l’intervista a cura di, pensate, Ovidio Bompressi, era intitolata, Perché dominare significa disporre. Quindi poteva fare un piccolo tratto di strada con l‘anticapitalismo tout court dei lottacontinuisti. Ma Severino, anche in quella intervista andava più in là. Nel luogo/non luogo, dove ora lo ritroviamo, sempre là, in presenza dell’essere originario, che non domina e perciò non dispone, anche se lui vive ogni giorno, con scienza, tecnica e capitalismo.
 
Il suo discorso, mi pare, ora si fa sempre più complicato, complesso e perciò esposto ai problemi della contraddizione, che scientificamente, è sempre in agguato. Vediamo il resto senza però prima registrare che al Corriere ed alla cultura dominante, che Severino dichiari, come nello scritto, che il comunismo è morto e sepolto, assieme ad altri fenomeni storici, va bene. Ed infatti l’occhiello dell’articolo mette in luce un passaggio del testo, che poi così com’è indicato non corrisponde al suo pensiero e cioè: La tecnica non è nemico, aiuta a correggere il sistema. Vedremo perché tale richiamo non può essere suo. Ma insomma il motivo utile al Corriere è quello appena sopra indicato.
 
Un altro appunto: il discorso di Severino, anche se non si presenta come bigotto e retorico va in ogni caso verso una specie di sacralità, inamovibile sacralità, che piace ai padroni del vapore. Anche i mafiosi vanno in chiesa; anche i capitalisti, affamatori del mondo, fanno beneficienza, probabilmente allo scopo di dedurla dalle tasse, ma la fanno; anche chi guadagna con commerci e la finanza e si esibisce in pubblico piangendo per il Darfur, la Cambogia, ecc. ecc., si vogliono purificare l’anima. Quindi altro motivo per sponsorizzare Severino, che in fondo richiama ad un qualcosa – l’essere originario, la totalità - .che mai è stato, che mai sarà, che quindi mai è. Il tutto diventa utile per chi detiene ora le leve del potere economico e politico. Tutto fa gioco. Sia per la tecnica e per il sistema. Forse con gran disdoro di Severino.
 
Ma scorriamo il suo dire.
 
La tesi di fondo è che la filosofia, meglio di qualsiasi altro pensiero riesce a cogliere il senso della crisi che ora c’è, anche perché la filosofia chiude/coglie anche ogni altro momento, ogni altra crisi e la crisi di sé stessa. La scienza dice Severino cerca di costruire un modello del mondo e della verità che deve presupporre reale, anche quando smentisce la sua manifestazione. E porta come esempio il sistema copernicano dell’universo.
 
Primo intoppo. Il sistema copernicano non smentisce il manifestarsi del mondo ma caso mai la modalità di rilevazione dello stesso da parte dei nostri sensi. Non perché mi sento fermo sulla terra ciò corrisponde alla verità. Infatti anche “fermo” mi muovo almeno alla velocità in cui si sta muovendo la terra su se stessa e attorno al sole e, chissà verso dove, nell’universo. Quindi tale assolutizzazione del saper scientifico, per poi farlo apparire errato, non regge. La scienza soccorre gli uomini e gli uomini sono dotati di sensi. Ecco perciò ben presente un approdo dialettico tra il pensare al mondo e sentire il mondo, sensibilmente. Siccome, dice Severino, seguitando nel suo percorso, non si sa perché (?) il tramonto della concezione tradizionale di verità è inevitabile – ma perché? Ovviamente non lo dice, non è lui l’essere. A la Eraclito: non seguite me ma il logos, detto sempre da lui - occorre capire che il nesso casuale è solo una regolarità empirica - e siamo ancora a Locke.
 
Ma avanti: l’esempio che viene fatto da Severino è il rapporto tra cervello e mente. Dice Severino: si deve decidere che tra cervello e pensiero esista un nesso definibile come legge statistico-probabilistica. Si sobbalza. È impossibile che al nostro non sia balenato in mente cosa sarebbe il pensiero in assenza di cervello. Impossibile non lo capisca. Almeno riguardo al suo. Senza il suo cervello non ci sarebbe il suo pensiero. Inutile forse riferirsi a particolarità di rapporti tra i due livelli. Alcune menomazioni cerebrali impediscono al soggetto, ad esempio, di riconoscere persone a lui care, genitori e figli ed invece lo fanno essere certo dell’individuazione di ogni pecora in un gregge di pecore “tutte uguali fra loro”. Lui dice e potrebbe meglio specificare, che il pensiero ha una complessità, una costituzione che deriva dal cervello ma che tale derivazione è perlomeno complessa e non ancora spiegata in ogni sua parte. Che il livello del pensiero gode di una certa sua vita, paradossalmente, indipendente dal cervello dal quale scaturisce, dal quale in ogni caso scaturisce. Non c’è pensiero senza fosforo – Feuerbach, Moleschott.
 
L’indipendenza della mente per supportare la tesi che all’origine di ogni cosa c’è un indeterminabile, indefinibile, intramontabile essere che lui chiama mente originaria, naturalmente non è Dio, anche se non ha, logicamente nella sua ottica, corpo. Tale mente è la totalità che non può diventare oggetto della riflessione scientifica – e quindi l’occhiello è perlomeno sbavato rispetto alla tesi. Siamo arrivati al punto nel quale il nostro si addentra nella visione del piano inclinato. Severino dice che ogni cosa del mondo, della manifestazione del mondo, sta scivolando su un piano inclinato. A diversa velocità, con momenti di rallentamento, ma ogni cosa si sta dirigendo verso il fondo, marcisce. Però introduce un concetto difficile ad accettare, quando propone per il piano inclinato anche momentanee risalite. Su un piano inclinato? Ma da lì non si risale mai – gli esperimenti di Galileo. Da un piano inclinato si scivola solo verso il fondo dello stesso. E si scivola con diversa velocità a seconda della pesantezza del corpo, della sua vischiosità, dell’attrito e delle combinazioni di tali, ed altri, scientifici fattori. Ma non si risale.
 
Avanti: il comunismo è tramontato, anche le forme dittatoriali di stato lo sono – forse Severino è poco attento alla storia universale. Molte forme dittatoriali sono presenti in molti parti del mondo, Africa ed Asia ad esempio. Certo assolutismo dilettantistico rispetto a quello di Hitler e soci, ma sempre assolutismo. E se si ha la pretesa di parlare come specchio dell’assoluto occorre tenerlo presente almeno lo scenario planetario. Pure le religioni se ne stanno andando, anche se adesso stanno risalendo, sempre momentaneamente (?). Insomma ogni cosa precipita. Cosa la fa precipitare: la tecnica. La tecnica potenzia il capitalismo, e lo salva pure dagli elementi che lo indeboliscono, come la mafia ad esempio, gli dà una connotazione di potenza che è auspicabile. Un capitalismo potente è un vero capitalismo. Pronto a scivolare ancora di più. Questo non lo dice espressamente, lascia il discorso un po’ sospeso, si capisce, e non si capisce. E questo basta al Corriere per inneggiare alla tecnica ed al capitalismo, ma non è il pensiero di Severino. Qui è un po’ celato, altrove molto più palese. In ogni caso con una buona dose di logica si può capire anche in questo scritto. Ma qui vi sono altri problemi.
 
Il buon Severino non sa o non vuole confessarsi che la delinquenza mafiosa, come qualsiasi altra delinquenza ad ampio raggio, è il cuore stesso del capitalismo, che vive dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e non di altro. La tecnica è perciò un suo strumento per raggiungere sempre più importanti profitti. Anche i mafiosi vestono Armani e usano computer e sono interessati in attività finanziarie e commerciali di altissimo livello.
 
Sono padroni di immobili, di beni vari, terreni, accendono attività di ogni tipo. Sono mafiosi capitalisti e i capitalisti spesso si comportano da mafiosi. Il tutto si intreccia. Interi paesi vivono su una continua relazione di mafia ed affari. Chissà cosa sarà mai stata allora l’inchiesta mani pulite e altre similari? Ma Severino ignora tutto questo. Per lui la tecnica fa forte il capitalismo, che non si sa in fondo cosa sia, e poi così forte anch’esso tramonterà. Ma quando? ad un certo punto, evidentemente. Però, senza nessuna connotazione storica, che procura solo increspature al puro essere, anche al suo essere pensato. Solo una sottolineatura ontologica, anche per chi dell’ontologia non sa che farsene e tutt’al più usa alcuni scimmiottamenti filosofici come fanno, tutto da ridere, alcuni sarti d’oggi, chiamati stilisti, quando cercano parole d’impatto, per descrivere il loro lavoro da proporre, corsa al profitto sempre, alle povere masse anelanti i loro scarti, i loro cascami a livello di popolo.
 
Perciò tra piani inclinati che permettono risalite, capitalisti virtuosi, scienza che non capisce e tecnica che fortifica prima dell’esito finale, solo la filosofia resta intatta in sé. Ma quale è il suo compito. E qui viene il bello, la ciliegina finale: deve “guardare al di là dell’opposizione tra tradizione filosofica e distruzione filosofica di tale tradizione e anzi al di là dell’opposizione tra passato e presente della civiltà occidentale”.
 
Punto fisso e finale. Ma il lettore del quotidiano che capisce? Si rifugia così speranzoso verso l’occhiello del titolo “La tecnica non è un nemico ecc. “.
 
Noi invece ricorriamo al materialismo storico. Sempre un buon lenitivo per queste interessanti, per carità, ma inutili argomentazioni, vantaggiose solo per coloro che intenderebbero, diciamo così, combattere. Ed è proprio per questa falsa contrapposizione, alla fine, che Severino resta solo nel suo dire, certo usato da altri, per altri scopi, ma non poteva che essere così.
 
Una solitudine eraclitea. Un riferimento sublime. E questo gli va riconosciuto come merito. Se ci si dimentica della socialità dell’uomo storico.
 
Tiziano Tussi