www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 19-12-11 - n. 390

Monti e l’uomo del banco dei pegni
 
di Michele Michelino *
 
19/12/2011
 
Nei periodi di crisi l’uomo del banco dei pegni e l’usuraio, sono figure odiate e temute nello stesso tempo.
Odiate perché si appropriano, approfittando delle disgrazie altrui, dei pochi gioielli di famiglia, dei beni o degli oggetti cari a prezzi irrisori che spesso rimangano di proprietà del banco.
Temute perché possono anche rifiutarsi di ritirare gli oggetti o i prestiti nel momento in cui si ha più bisogno, col rischio di vedersi sprofondare sempre di più.
 
Il capitalismo portando all’estremo questo processo, ha instaurato una società in cui tutto è trasformato in merce.
Il lavoro, la salute, la scuola, la vita e la morte sono diventate merce con un loro mercato e fonte di profitto per gli speculatori e gli sfruttatori che lucrano sulle disgrazie umane.
 
Nel capitalismo moderno la "globalizzazione", parola nuova coniata per ammorbidire e rendere più digeribile il significato di imperialismo, ha scatenato da anni una campagna ideologica e politica contro il socialismo e il comunismo rappresentandolo come l’impero del male.
Un "impero del male" dove tutti però, nonostante i giudizi anche più critici, non possono nascondere la verità storica che tutti avevano un posto di lavoro, una casa, l’università e la sanità gratuita.
 
Oggi qualunque lotta operaia contro il sistema capitalista, il governo e le sue istituzioni che cancellano i diritti dei lavoratori, ogni operaio che lotta per difendere i suoi interessi ostacolando la pacifica accumulazione del capitale, è immediatamente considerato un nemico e come tale il sistema lo criminalizza. Le regole in cui si deve svolgere il conflitto operaio e sociale oggi sono riscritte a favore degli interessi del grande capitale e si riscrivono insieme al concetto di legalità e illegalità.
 
Come è successo con il falso in bilancio sotto il governo Berlusconi, anche oggi con il governo Monti - nuovo comitato d’affari della grande finanza, delle banche e degli industriali - ciò che ieri era illegale diventa norma. Si rimettono in discussione e si cambiano le leggi e le regole (ad esempio le pensioni, i contratti nazionali e l’art. 18) riscrivendole perché siano più funzionali alle mutate esigenze del grande capitale.
 
Rappresentare il sistema capitalista come il migliore dei mondi possibili, un sistema senza alternativa, da salvare ad ogni costo proprio oggi che si sta sgretolando sotto i colpi della crisi economico-finanziaria e politica è sempre più arduo. Per ritardare la resa dei conti e allontanare il pericolo del crollo si cambiano il lessico e le parole.
 
Gli apologeti del capitalismo, dopo aver teorizzato e sostenuto per anni la scomparsa della classe operaia, sono arrivati a cambiare i nomi e le categorie. Gli operai sono diventati "risorse umane" o "capitale umano"; i padroni, "datori di lavoro"; gli omicidi e gli assassinii dei lavoratori sui posti di lavoro "morti bianche", la rapina imperialista delle risorse e le invasioni di paesi sovrani le hanno chiamate "guerre preventive". I massacri e i crimini contro l’umanità sono diventati "aiuti umanitari".
 
Sulla stessa scia, oggi il governo Monti - sostenuto da tutti i partiti presenti negli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, (salvo poche eccezioni) e dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano -chiamano "salvare l’Italia" la macelleria sociale che colpisce gli strati bassi della popolazione a vantaggio del salvataggio delle banche e della finanza, degli speculatori e dei grandi capitalisti responsabili del disastro.
 
I sacrifici di ieri imposti da Berlusconi, passati senza alcuna opposizione hanno portato a quelli attuali.
 
Oggi senza un’opposizione di piazza e scioperi reali, (non rappresentazioni virtuali) nei luoghi di lavoro e nel territorio, in mancanza di un’opposizione nei singoli paesi a livello nazionale e internazionale, non c’è alcun argine e non possiamo che aspettarci altro che sacrifici e ancora più guerre.
 
Nella crisi internazionale, la concorrenza si fa sempre più agguerrita e in ogni paese i padroni cambiano le leggi e le costituzioni (ad esempio con l’inserimento della clausola del pareggio di bilancio) per rendere lo sfruttamento degli operai più intensivo. Oggi si sfrutta la crisi per smantellare lo stato sociale, dare un duro colpo al welfare e con le privatizzazioni di beni dello stato il governo lascia via libera al capitale privato anche nei servizi, gonfiando le tasche degli industriali e dei banchieri.
 
L’abolizione dei contratti nazionali, la riduzione e cancellazione dei diritti costituzionali è legalizzata e propagandata come modernità (vedi la Fiat di Marchionne e Agnelli).
 
Il profitto è ormai l’unico diritto riconosciuto e tutti gli altri"diritti" sono concessi solo se non ostacolano l’accumulazione capitalista e se sono compatibili con essa. Il profitto, il dio denaro, è l’unico riconosciuto universalmente dagli sfruttatori di tutto il mondo, siano essi credenti, atei, o agnostici.
 
Da sempre le lobbies cercano di imporre i loro interessi particolari, corporativi, come generali, ma oggi siamo al massimo. Tutti i partiti politici in parlamento e le istituzioni, a cominciare dal capo dello stato, parlano della necessità e inevitabilità dei sacrifici per tutti, a cominciare dalle "classi meno abbienti", raccomandando però di farli purché EQUI.
 
Il governo dei banchieri e del grande capitale, il governo tecnico di Monti, dopo aver salvato gli interessi delle finanziarie delle multinazionali ha fatto, con una prima manovra, il "lavoro sporco", sostenuto dai partiti di centrodestra e centrosinistra. Dopo aver rinunciato alla patrimoniale, alle tasse sui grandi patrimoni privati (il clero, le sedi sindacali e bancarie sono esenti dal pagamento dell’IMU), il governo colpisce i soliti con una manovra di lacrime e sangue contro proletari (operai, lavoratori, precari, pensionati, disoccupati).
 
Ora una parte di questi partiti - dopo averla votata in parlamento perche "salvava l’Italia" - criticano la manovra perché ancora troppo "iniqua". Le varie frazioni della classe borghese organizzata in tutti i partiti politici e organizzazioni cercano di difendere gli interessi del loro elettorato di riferimento. Da destra rivendicano più risorse per la "crescita", cioè meno tasse e più agevolazioni o aiuti per i capitalisti e i loro reggicoda.
 
La "sinistra" (il P.D. ?), sventolando la bandiera dei sacrifici necessari purché equi, è completamente impotente, come anche i sindacati concertativi.
 
Che oggi i lavoratori degli strati bassi, i proletari siano anche senza una rappresentanza sindacale oltre che politica è dimostrato dal fatto che gli stessi sindacati confederali CGIL-CISL-UIL-UGL hanno organizzato scioperi non contro la manovra antioperaia del governo, ma solo per rendere i sacrifici più equi, per scaglionare o plasmare in modo più graduale tali sacrifici a cominciare dall’aumento dell’età pensionabile.
 
Per noi proletari il problema non è quello di rivendicare sacrifici equi, e non ci basta più neanche che anche i "ricchi paghino" (cosa che, in questo paese, sarebbe già una novità). E’ arrivato il momento di mettere in discussione un sistema sociale basato sullo sfruttamento che, dopo aver incassato migliaia di miliardi di interessi, ha creato una voragine, un debito pubblico che oggi addebita e fa pagare a noi e alle prossime generazioni di proletari.
 
Ormai anacronistico non è che i ricchi non pagano.
 
Anacronistico è che esistano i ricchi che diventano sempre più ricchi mentre gli operai, i lavoratori occupati e licenziati, i pensionati, siano ridotti all’indigenza e in molti casi alla fame.
 
Noi dichiariamo apertamente che siamo contro un modello sociale che privatizza i profitti e socializza le perdite scaricandole sui più poveri.
 
Noi siamo per un altro modello di società in cui si socializzino le ricchezze e il benessere, non la miseria.
 
Noi siamo contro la società capitalista che produce guerre fame miseria e lutti.
 
Oggi la nostra opposizione al governo Monti sostenuto da Berlusconi - Bersani - Casini - Fini - Rutelli non è uguale a quella dei sindacati confederali. La nostra lotta oggi non si accontenta dei sacrifici equi, mantenendo inalterato il sistema responsabile di questa crisi. Non ci basta che i sacrifici siano spalmati meglio o resi più equi.
 
La nostra lotta vuole eliminare alla radice le cause dello sfruttamento. Noi lottiamo per una società in cui si produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani, che elimini la fame, la sete, la schiavitù, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Una società, che non saccheggi la natura ma che viva in sintonia con essa, cominciando a riparare i danni che i capitalisti hanno finora provocato in centocinquant’anni di sfruttamento bestiale. Un paese dove tutti lavorano, una società che dia pala e piccone in mano anche agli ex capitalisti dandogli la possibilità di riparare almeno in parte i danni che hanno creato.
 
*Centro di Iniziativa Proletaria "G.Tagarelli"
Via Magenta 88, Sesto San Giovanni (Mi)
Mail: cip.mi@tiscali.it
 
Anteprima dell’articolo di "nuova unità"
 

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