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Eritrei: a Bologna una festa di popolo

Mattia Gatti

13/07/2014

Dalla mattina di venerdì  5 alla tarda notte di domenica 6 luglio si è tenuto all'Arena Parco Nord di Bologna un Festival Internazionale che ha richiamato migliaia di eritrei provenienti da tutto il mondo. L'evento è stato preceduto da una polemica che ha investito direttamente il Comune di Bologna ed il sindaco colpevoli di aver concesso l'area ad un'iniziativa organizzata dai sostenitori del governo di Asmara, su questo  tornerò in seguito non prima però di aver provato a descrivere cos'è stato e cosa ha rappresentato il Festival.

Il Festival di Bologna. Un simbolo della  solidarietà internazionalista tra Italia ed Eritrea

Bologna non è stata scelta a caso: la città emiliana ha infatti ospitato dal 1974 al 1991 tutti gli incontri internazionali organizzati dagli eritrei esuli in appoggio alla lotta armata di liberazione allora in corso nel paese contro l'occupazione etiope ed il tema centrale di questo festival è  stata proprio la ricorrenza dei 40 anni dalla prima festa.
In quegli anni la città è stata anche il centro della solidarietà attiva di sindacati e partiti della sinistra che erano interessati a conoscere e sostenere un movimento rivoluzionario che progettava ed iniziava a costruire nelle zone liberate  un futuro indipendente e basato sull'eguaglianza sociale e sul rispetto delle diversità etniche  e religiose.
Questi festival hanno un grosso valore nella storia del Movimento di Liberazione Eritreo tanto che nella capitale Asmara l'unica via dedicata ad una città non eritrea è Godenà Bologna.
Non poteva mancare all'interno della festa  il "Museo Bologna" con una mostra fotografica ed una raccolta di "reperti" storici sulle mobilitazioni degli esuli in Europa negli anni '70 ed '80.

Tre giorni possono spazzare via molti stereotipi

Nessuna concessione alla "moda etnica" ad uso degli occidentali all'Arena Parco Nord: è stato un evento di eritrei per l'Eritrea fresco e genuino soprattutto se confrontato con l'immagine tanto primitiva quanto artefatta dell'Africa che passa in televisione ma anche in tante occasioni "culturali".
Non è stato solo un  evento  musicale  o ludico; certamente le esibizioni di cantanti ed artisti provenienti dall'Eritrea hanno coinvolto migliaia di persone ma nonostante il caldo ho visto riempirsi la grande tensostruttura all'ora di pranzo per  incontri letterari e politici  ed ho visto riunioni di piccoli gruppi che mi sono sembrate spontanee ed appassionate.
Nel festival era rappresentata l'intera comunità della diaspora eritrea nel mondo, ogni sezione gestiva lo stand del proprio paese di provenienza  (erano rappresentati quasi tutti i paesi europei e gli Stati Uniti) ed era comune sentire i partecipanti parlare tra loro non solo in tigrino, in arabo o nelle altre lingue eritree ma anche in inglese, francese, tedesco...
I volontari erano decine, la maggior parte giovani e davvero instancabili nel gestire un evento imponente e complesso.
L'uno accanto all'altro erano presenti cristiani, mussulmani,  ragazzi vestiti all'occidentale e donne più anziane con il tradizionale velo bianco (nezela), tantissimi bambini, giovani dalla capigliatura rasta e ragazze con i tacchi a spillo.
La diversità  d'altra parte è un carattere fondamentale della stessa nazione eritrea dove convivono pacificamente le tre maggiori religioni (cristiana ortodossa, islamica e cattolica), nove gruppi etnici e gli stessi annunci ufficiali come pure i telegiornali della televisione di stato sono trasmessi in più lingue.

Awet N'hafash! Vittoria alle masse!
 
Questo storico slogan della lotta di liberazione era la frase più comune nei grandi cartelli che decoravano l'ingresso e l'interno dell'area feste. Il festival era  infatti permeato da un forte impegno politico che schematicamente potremmo riassumere in un concetto: difendere l'Eritrea, la sua indipendenza, la sua rivoluzione.
Questo perché gli eritrei ritengono che il proprio paese sia sotto attacco dall'imperialismo.
E con qualche ragione.  
Un'importante porzione del loro territorio nazionale è stata invasa dall'esercito etiope (sostenuto e finanziato dagli Usa) tra il 1998 ed il 2000 nel corso di una guerra mai del tutto conclusa dato che i confini stabiliti dai trattati di pace non sono stati rispettati dall'Etiopia e che ancora nel 2012 gli etiopi hanno effettuato alcuni raid. L'Eritrea inoltre è sottoposta a sanzioni economiche da parte dell'Onu a causa di un suo presunto e mai provato sostegno ai ribelli somali.
Gli eritrei sono fieri della propria indipendenza frutto della trentennale lotta di liberazione, sono orgogliosi dell'aver rifiutato la presenza di basi militari straniere sul proprio territorio e della scelta di non far dipendere la propria economia dagli aiuti di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale per non "farsi sviluppare" in base agli interessi delle grandi multinazionali occidentali.

Schiavi vs Liberi: i migranti visti dai nostri salotti

Anche se probabilmente alcuni eritrei avranno rispolverato un vecchio proverbio nato negli anni del colonialismo che tradotto recita "Non essere felice se l'italiano ti vuole bene e non essere triste se ti odia. Non cambia nulla" vale comunque la pena affrontare il tema delle polemiche che hanno accompagnato il festival anche perché chi le ha seguite sulla carta stampata o in alcuni blog anche "alternativi" o "di sinistra" non ha avuto la possibilità di ascoltare un punto di vista diverso. D'altra parte si sa: la par condicio vale solo per le nostre questioni interne mentre si possono criminalizzare stati indipendenti senza concedere nessun diritto di replica.
Stando al punto di vista dei grandi giornali italiani e a quanto pare della giunta comunale di Bologna e del suo sindaco dato che questi ultimi hanno ritirato il patrocinio al festival e solidarizzato con chi lo contestava, i migranti dell'Arena Parco Nord sarebbero "schiavi" del regime o "sgherri" come ha scritto qualcuno mossi a seconda delle interpretazioni dalla paura o dalla bramosia di divertirsi a tutti i costi ("ballando sui morti di Lampedusa") a questi sono stati contrapposti gli oppositori che lo hanno contestato in nome di un'Eritrea "democratica".
A prescindere dai numeri che hanno visto confrontarsi alcune decine di contestatori alle migliaia di eritrei che hanno riempito oltre al campeggio interno all'Arena anche molti alberghi tra Bologna e l'hinterland a nord della città è opportuno fare due considerazioni perché dalla visione descritta sopra emerge una lettura dei rapporti internazionali e dell'immigrazione tremendamente eurocentrica e neocoloniale.
La prima. Sembrerebbe che i migranti scappino per colpa dei regimi autoritari al potere nei paesi d'origine in definitiva  dunque sarebbe colpa loro e non come pure si è giustamente denunciato da sinistra sino a qualche anno fa dell'enorme squilibrio nella distribuzione delle risorse mondiali tra "nord" e "sud" del mondo e delle politiche degli stati occidentali che creano guerre nei più lontani angoli del pianeta pur di mantenere il proprio dominio.
La seconda. Viene accettato implicitamente il  teorema neocon dell'esportazione della democrazia (la "nostra", ovviamente) seppure nella nuova versione di un appoggio a elementi interni ai paesi da "democratizzare". Abbiamo visto i risultati in Libia e in Siria ma in pochi si sono fatti problemi a "ballare" sulle migliaia di morti e sui milioni di profughi causati dalle aggressioni a questi paesi.

"Via Stalingrado. Un indirizzo appropriato dove festeggiare Afeworky e i suoi sgherri."

La frase non è mia ma è una citazione tratta da un articolo molto ostile nei confronti del Festival e dello stesso stato eritreo apparso su L'Espresso on line. Naturalmente dal punto di vista di ogni antifascista e di ogni democratico il paragone non può che essere considerato un onore (e non un insulto come nelle intenzioni del giornalista) dato che la vittoria di Stalingrado ha determinato la sconfitta del nazifascismo. Per ora penso si possa trattare di un auspicio e di un impegno: che mille Stalingrado fioriscano rompendo l'assedio di un imperialismo che sembra essere divenuto cultura egemone anche in settori che per storia e per sensibilità dovrebbero avversarlo.

«Italia! Italia!»

Per concludere una nota di patriottismo che come si sa noi italiani rispolveriamo quando si parla di calcio: la squadra "italiana" ha vinto il torneo  del Festival ed è  salita sul palco gridando «Italia! Italia!».
Forse questi ragazzi meriterebbero più rispetto e attenzione o almeno meno insulti.   


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