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Renzi e la seconda invasione della Libia

Domenico Moro

03/03/2016

È notizia recente che gli Usa appoggiano la candidatura italiana alla guida della missione militare occidentale in Libia, che gli stati maggiori delle maggiori potenze europee e degli Usa stanno pianificando. Si tratta di un ulteriore e forse decisivo passo verso l'intervento militare, che Renzi e il ministro della difesa Pinotti prospettarono già sull'onda dell'attacco a Charlie Hebdo un anno fa. Si parla, da parte dell'Italia, di un impegno notevole, tra i mille e i tremila uomini.

Corre l'obbligo di evidenziare come sia stato proprio l'intervento militare occidentale contro Gheddafi a creare l'attuale situazione di instabilità non solo in Libia ma, a cascata, anche in Tunisia e nell'Africa Sub-sahariana. È sempre l'intervento militare occidentale a disgregare gli stati laici preesistenti e ad aprire la strada ai signori della guerra e alle formazioni jihadiste in Libia, come così come in Siria e prima ancora in Iraq. La Libia è oggi un paese di nessuno, terreno di lotta tra varie milizie che sono sostenute direttamente da alleati degli occidentali, alcune da Turchia e Qatar, altre da Egitto, Sauditi e Emirati arabi uniti.

Nel 2011 furono i francesi a iniziare i bombardamenti senza l'autorizzazione dell'Onu, con l'ambizione, eliminando Gheddafi, di soppiantare l'Italia e le sue multinazionali (Eni, Finmeccanica, ecc.) nel controllo economico della Libia. Del resto, la concorrenza tra Francia e Italia nell'area ha una lunga storia, che si è rinnovata negli ultimi decenni. Il governo Berlusconi, che aveva un trattato di alleanza con Gheddafi risalente al 2008 e che aveva accolto a Roma il leader libico in pompa magna appena pochi mesi prima, finì per partecipare ai bombardamenti francesi insieme a Gran Bretagna e Usa, con l'intenzione di non farsi estromettere dalla spartizione successiva. Nel portare l'Italia all'interno della coalizione contro Gheddafi fu decisivo il ruolo del Pd e soprattutto quello dell'allora capo dello Stato, Napolitano.

Inoltre, vale la pena di ricordare, a più di cento anni di distanza dall'invasione giolittiana della Libia e a 90 anni dalla riconquista fascista, che l'Italia, potenza coloniale, diede luogo in Libia a una repressione sanguinosa contro la popolazione civile con la costruzione di veri e propri campi di concentramento e l'uso dell'arma aerea. Oggi, dietro la solita scusa della stabilizzazione e della lotta al terrorismo islamico riemergono anche in Italia chiare tendenze neocolonialiste. Al centro c'è sempre la spartizione imperialista tra le potenze occidentali delle ricchezze energetiche e dei mercati di investimento del Nord Africa, che viene sollecitata e accentuata dalla sovraccumulazione capitale che affligge le economie avanzate ed europee in particolare.

A pagare saranno soprattutto le popolazioni dell'area, come sempre. Ma anche la maggioranza degli italiani pagherà un prezzo. Infatti, in tempi di tagli alla spesa sociale, il finanziamento di un apparato militare sempre più oneroso e delle missioni militari sembra non incontrare alcuna difficoltà. È da rilevare soprattutto il potenziamento della flotta (due portaerei e navi da sbarco, compreso un incrociatore di grandi dimensioni in costruzione), coerente con una tendenza interventista oltremare ormai  consolidata. Senza contare le questioni inerenti alla sicurezza dei militari impegnati  – in un'area dove proliferano milizie armate incontrollabili - e soprattutto i pericoli per la sicurezza del nostro territorio nazionale che un intervento di questo tipo pone. Inoltre, la presenza sul terreno di soldati europei e soprattutto della ex potenza coloniale italiana aggraverà le tensioni già esistenti fra le popolazioni arabe e le potenze Occidentali e tra le fazioni politiche presenti sul terreno, fornendo ulteriori argomenti alle correnti jihadiste che stanno cercando di egemonizzare il mondo arabo.

In questo quadro appare, quindi, sempre più importante sostenere e sviluppare, nel modo più ampio possibile, le mobilitazioni per la pace e contro la guerra. Per farlo, però, è necessario andare oltre la condanna morale della guerra, pur necessaria e importante. È necessario evidenziare che quanto accade sta all'interno di una ripresa dell'imperialismo, cioè di una sistema di rapporti internazionali improntati alla subalternità economica e politica dei Paesi della periferia nei confronti di quelli del centro del sistema capitalistico (Usa e Europa occidentale), facendo chiarezza sugli interessi economici e strategici in gioco e sulle responsabilità europee e italiane nel determinare la situazione in atto.


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