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- osservatorio - italia - politica e società - 26-01-17 - n. 618
Le leggi elettorali regionali: un'involuzione senza fine
Vincenzo De Robertis *
gennaio 2017
Pubblicato anche sulla rivista MarxVentuno n. 1-2/2017 - Il movimento operaio e la lotta per la Costituzione
Se condividiamo il presupposto che il tasso di democrazia di un sistema politico si misura dalla possibilità che viene offerta ai partiti nuovi, nati fuori dall'establishment delle forze politiche tradizionali, di affermarsi sulla scena politica, allora dobbiamo riconoscere ai sistemi elettorali una valenza enorme per la determinazione della democraticità di un sistema.
Inoltre, le leggi che regolano l'elezione delle assemblee periferiche, previste dalla nostra Costituzione (Regioni, Province e Comuni), assumono da questo punto di vista un'importanza particolare, perchè spesso un partito nuovo comincia a misurare il proprio consenso proprio in questi ambiti periferici. E fra di essi quello regionale è sicuramente il più importante.
Per cui, analizzare l'evoluzione o, per meglio dire, l'involuzione subita nel tempo dai sistemi elettorali regionali, aiuta a capire quale dovrà essere, al contrario, la direttiva su cui muoversi per ristabilire sistemi elettivi più democratici e partecipati.
Nell'articolo che segue sarà presa in esame la recente normativa della Regione Puglia in materia elettorale, Legge regionale 10 marzo 2015 n.7. Una legge approvata in tutta fretta alla fine dell'ultima Consigliatura Vendola, subito disconosciuta dagli stessi partiti che l'avevano approvata, ma che è tuttora vigente, nonostante le promesse di una sua rapida revisione, fatte dalla Giunta Emiliano all'atto del suo insediamento.
Questa legge è stata anche oggetto di un ricorso all'Autorità Giudiziaria locale, ancora pendente, dove sono stati evidenziati diversi profili di incostituzionalità.
Analoga disamina e denuncia potrebbe estendersi alla normativa elettorale delle altre regioni.
Il sistema elettorale per l'elezione dei Consigli Regionali nasce nel 1968 con una legge nazionale, la n. 108 del 1968, la quale al comma 2 dell'art. 1 certifica la natura rigorosamente proporzionale del sistema di attribuzione dei seggi. Essa fissa, inoltre, il numero dei consiglieri sulla base di criteri proporzionali connessi al numero di abitanti per regione (art.2, c.1). Alla Puglia, ad esempio, ne toccheranno sessanta, essendo il numero dei suoi abitanti compreso fra 4 e 6 milioni.
Ogni Regione viene divisa in Circoscrizioni, corrispondenti alle Province, all'interno delle quali viene fissato, in relazione al numero di abitanti, un numero prestabilito di Consiglieri Regionali da eleggere (art.2, c.2).
L'elettore esprime il proprio voto scegliendo una lista presente nella propria Circoscrizione ed indicando, all'interno di essa, una preferenza per uno o più candidati (art.13 ).
Per la proclamazione degli eletti il primo e più importante momento è costituito dall'attività degli Uffici Elettorali Circoscrizionali, i quali proclamano gli eletti sulla base dei voti conseguiti dalla lista e, all'interno di questa, dei più suffragati. Successivamente l'Ufficio Elettorale Regionale proclama gli ulteriori eletti, sommando i resti residuati per ciascuna lista dai conteggi circoscrizionali. (art.15) .
Il Presidente e la Giunta Regionale, secondo il dettato costituzionale, dovranno essere eletti dal Consiglio Regionale dopo il suo insediamento (Costituzione, art.122, comma 5).
Non sono presenti soglie di sbarramento.
La prima seria modifica al sistema elettorale delle Regioni si ha con un'altra legge nazionale, la legge n.43 del 1995, detta "legge Tatarella"
"Cambiate nel 1993 le leggi elettorali per i Comuni, le Province ed il Parlamento, le Regioni rimanevano l'unico organismo di governo ancora ancorato ad un meccanismo proporzionalistico ed assembleare. Differentemente dal caso degli enti locali, però, a fare da ostacolo a possibili riforme vi era il dettato della Costituzione del 1948, che imponeva la nomina del Presidente della Regione da parte del Consiglio Regionale. In più, le elezioni politiche anticipate del 1994 resero del tutto improbabile l'ipotesi di una riforma costituzionale in tempo per il previsto appuntamento elettorale regionale della primavera del 1995.
Fu così che nel parlamento della XII legislatura maturò un'intesa bipartisan fondata sul comune accordo per non lasciare le Regioni in un contesto elettorale oramai avulso rispetto a quello degli altri livelli governativi. La nuova normativa risentì tuttavia dell'obbligata fretta con cui fu concepita, essendo stata emanata solo esattamente due mesi prima dell'appuntamento elettorale, e giocoforza non potendo prevedere esplicitamente l'elezione diretta del Presidente regionale, fu strutturata in maniera diversa e disorganica rispetto alla legge elettorale comunale e provinciale approvata due anni prima. La legge così non si presenta come una normativa elaborata ex novo, ma formalmente risulta una modifica della previgente ed originaria legge elettorale proporzionale, la n°108 del 17 febbraio 1968."
Il "Tatarellum", su di un impianto totalmente proporzionale, com'era quello della legge n.108/68, introduce un "timido" elemento maggioritario, limitato solo ad un quinto dei Consiglieri da eleggere (per la Puglia 12 su 60) all'interno di una lista regionale (cd "listino"), da presentare insieme con le liste circoscrizionali a cui deve collegarsi (art.1, c.3).
Il sistema elettorale del Tatarellum manteneva, quindi, l'impianto proporzionale nelle Circoscrizioni Provinciali ma, istituendo il listino regionale, assegnava a quello maggiormente suffragato il compito di garantire la "governabilità" attraverso l'assegnazione di un "premio" consistente sull'intero ammontare dei consiglieri (20% del totale), oppure limitato al solo 10 % di essi, nel caso in cui il listino avesse ottenuto già la maggioranza nel Consiglio attraverso gli eletti nelle liste circoscrizionali.
In quest'ultimo caso il restante 10 % sarebbe stato distribuito fra i perdenti (art.3, c.2, legge 43/95 che inserisce i commi 12, 13, 14 e 15 all'art.15 della legge n.108/68).
La creazione del listino regionale e l'indicazione sulla scheda del suo capolista (primo degli eletti nel caso in cui il listino avesse ottenuto almeno un seggio) rappresenta, a nostro avviso, il tentativo di introdurre surrettiziamente l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, non potendo procedere ad una modifica esplicita della Costituzione, che, invece, prescriveva, come detto sopra, l'elezione del Presidente Regionale da parte del Consiglio.
Il Tatarellum, inoltre, elimina la possibilità per l'elettore di esprimere una preferenza multipla ed introduce la preferenza unica (art. 1, c.10).
Infine il Tatarellum introduce per la prima volta a livello regionale la soglia di sbarramento (art.7), laddove sostiene che sono escluse dalla ripartizione dei seggi quelle liste circoscrizionali che in tutta la regione non abbiano conseguito almeno il 3% dei voti, a meno che non siano collegate ad un listino regionale che abbia ottenuto almeno il 5% dei voti.
La legge costituzionale n.1 del 1999, da un lato modifica l'art.122 della Costituzione ed impone l'elezione diretta del Presidente della Giunta Regionale, dall'altro lascia facoltà alla Regioni di auto-regolamentarsi attraverso l'elaborazione di Statuti che disciplinino regole elettorali, numero dei Consiglieri e quant'altro attinente il funzionamento dell'Istituzione (artt.2 e 3).
Dopo l'approvazione della legge costituzionale n.1/99 tutte le Regioni provvedono a dotarsi di leggi elettorali e Statuti in sintonia con il clima nazionale che butta nella direzione del presidenzialismo e di un bipolarismo forzato, ottenuto per il tramite di un meccanismo maggioritario e delle soglie di sbarramento.
Ciò non di meno, qualche anno più tardi un'altra legge nazionale, la n.165 del 2004, fissa, fra l'altro, i principi a cui i Consigli Regionali devono attenersi nell'elaborazione della normativa elettorale, raccomandando "l'individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze"
Inizia così una produzione differenziata, regione per regione, della normativa in materia elettorale. La Regione Puglia, ad esempio, si auto-regolamenta attraverso la legge regionale n.2 del 2005.
In questa legge viene aumentato a 70 il numero dei Consiglieri Regionali , cinquantasei eletti con il sistema proporzionale nelle circoscrizioni e tredici fra le liste che hanno sponsorizzato il candidato presidente che risulterà vincente (art.3, c.1).
La legge prescrive l'elezione diretta del Presidente della Regione, che non è più il capolista del listino regionale, come previsto dal Tatarellum . Egli polarizza su di sé l'apparentamento delle liste circoscrizionali (art.2) e, in caso di vittoria, ottiene per loro tutta la quota maggioritaria dei 13 consiglieri (art.9).
In tal modo la legge regionale n.2/2005 peggiora il meccanismo maggioritario già previsto dal Tatarellum perché elimina ogni possibilità alle liste e/o coalizioni perdenti di poter beneficiare di quel 10 % pur previsto da quella legge nazionale.
Inoltre, vengono frapposti ostacoli ulteriori a quelli già presenti nel "Tatarellum" per la libera presentazione di liste nelle circoscrizioni provinciali e per la ripartizione dei seggi anche a liste minoritarie attraverso il peggioramento delle soglie di sbarramento.
Infatti, possono concorrere alla elezione di un Presidente solo quelle liste che siano riuscite ad essere presenti in almeno tre Circoscrizioni (art.3, c.2). Mentre possono godere della ripartizione proporzionale dei seggi nella quota riservata alle Circoscrizioni (56 Consiglieri) solo quelle liste che ottengono il 5% dei consensi su tutto il territorio regionale, o come liste autonome, o all'interno di coalizioni (art.11, c.1, lett.j).
Analogamente a quanto descritto per la Regione Puglia, anche nelle altre Regioni la normativa elettorale viene modellata sulla base di sistemi maggioritari con soglie di sbarramento.
Questa normativa, differenziata regione per regione, ma omogenea per quanto riguarda le linee di fondo, subirà modificazioni successive.
Così avviene per la Puglia con la legge approvata nella primavera del 2015, che, nonostante le promesse di cambiamento, è tuttora vigente.
Innanzi tutto è necessario dire che con Deliberazione del 4 dicembre 2012, n. 125 il Consiglio Regionale pugliese, sulla spinta emotiva provocata nell'opinione pubblica dagli scandali nella gestione dei fondi pubblici assegnati ai Consiglieri della Regione Lazio, decideva, invece di eliminare del tutto i privilegi di cui godono attualmente i Consiglieri, di limitarsi a ridurne il numero, da settanta a cinquanta.
Riducendo, così, del 30% il numero degli eleggibili, si è dato un ulteriore colpo alla possibilità di dare rappresentatività nel Consiglio a forze politiche minori, agenti fuori dagli schieramenti precostituiti, perché, rispetto a prima, esse avranno ora bisogno di un numero maggiore di voti per mandare in Consiglio un proprio rappresentante.
Inoltre, con sentenza n.188 del 2011 la Corte Costituzionale, investita dal TAR Puglia della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge regionale n.2 del 2005, ne ha decretato l'illegittimità, costringendo il Consiglio a riordinare la normativa elettorale.
Da tutto ciò è scaturito che con Decreto del Presidente del Consiglio Regionale n.708/2012 è stata istituita una Commissione composta da quattro alti funzionari prefettizi, a cui è stato affidato il compito di predisporre una bozza di riforma della legge elettorale regionale, certificando, in tal modo, la totale incompetenza in materia e, quindi, inutilità del più alto organo legislativo regionale, il Consiglio, appunto, incapace, evidentemente, di elaborare autonomamente una proposta di legge che regolamentasse la propria elezione.
La Commissione suddetta, dopo aver elaborato una prima proposta, respinta, però, dalla Commissione Affari Istituzionali (l'organo che sarebbe istituzionalmente preposto ad elaborare proposte per il Consiglio Regionale), ha predisposto una seconda bozza, che, ha costituito il modello su cui è stata, poi, approvata dal Consiglio la legge elettorale attuale.
La legge approvata si colloca nell'alveo della normativa finora vigente, che integra e modifica, proponendosi, secondo quanto esplicitamente dichiarato nella relazione di accompagnamento alla proposta dei quattro "saggi" prefettizi, di "assicurare la "governabilità" alla coalizione di maggioranza" e di "scongiurare lo "spostamento di seggi", assegnati con criterio demografico-territoriale, da una circoscrizione all'altra".
Per ottenere questi risultati viene confermata la "tagliola", già presente nella legge regionale n.2/2005, che impedisce ad un raggruppamento politico di partecipare alla competizione elettorale regionale se non si presenta con lo stesso contrassegno in almeno tre Circoscrizioni.
Viene peggiorato il sistema maggioritario, prevedendo tre livelli di attribuzione del premio di "governabilità", esteso ora al 54 % dei Consiglieri, 27 su 50, in base ai consensi ottenuti in tutta la regione dalla lista o coalizione più suffragata.
Il meccanismo prevede che l'Ufficio Elettorale Circoscrizionale debba limitarsi solo al conteggio dei voti e che l'Ufficio centrale regionale, ricevuti i dati dalle varie circoscrizioni,
escluda preliminarmente dal riparto dei seggi le liste o coalizioni che non hanno superato le soglie di sbarramento;
assegni in modo proporzionale i 23 seggi (su 50), secondo i voti ottenuti dalle diverse liste nelle varie circoscrizioni;
assegni gli altri 27 seggi, costituenti il premio di "governabilità", secondo i consensi ottenuti dalla coalizione "vincente", talchè:
se essa avrà ottenuto in tutta la regione un numero di voti pari o superiore al 40% dei voti validi, si vedrà assegnare un numero di consiglieri che, aggiunti a quelli già eletti nelle circoscrizioni, le consentiranno di governare contando complessivamente su di un numero di 29 consiglieri su 50;
se essa avrà ottenuto in tutta la regione un numero di voti compreso fra il 40% ed il 33% dei validi, si vedrà assegnare un numero di consiglieri che, aggiunti a quelli eletti nelle circoscrizioni, le consentiranno di governare contando complessivamente su di un numero di 28 consiglieri su 50;
e se essa avrà ottenuto in tutta la regione un numero di voti inferiore al 33% dei validi, si vedrà assegnare un numero di consiglieri che, aggiunti a quelli eletti nelle circoscrizioni, le consentiranno di governare contando complessivamente su di un numero di 27 consiglieri su 50.
E proprio quest'ultima ipotesi, che è la più probabile, presenta i maggiori profili di incostituzionalità, a nostro avviso, laddove non vincola l'assegnazione del premio di "governabilità" ad una soglia minima. Ma profili di incostituzionalità, per il numero di Consiglieri da assegnare (maggiore di 26), si possono individuare anche nelle altre due ipotesi.
Infine, in aggiunta al peggioramento della soglia di sbarramento "naturale", derivante dalla riduzione del numero di Consiglieri da 70 a 50, la legge fissa altre due distinte soglie di sbarramento "legali", il cui superamento diventerà indispensabile per partecipare alla ripartizione dei seggi. Si tratta della soglia relativa alle liste singole e/o alle coalizioni, fissata all'8 %, e di quella relativa alle liste all'interno delle coalizioni, fissata al 4 %.
L'illogicità della presenza di una soglia di sbarramento, per giunta molto alta (8%), all'interno di un sistema fortemente maggioritario, che garantisce, comunque, alla coalizione che ottiene più consensi di conseguire, nell'ipotesi per lei peggiore, la maggioranza dei Consiglieri (27 su 50), è evidente a tutti.
Ma ugualmente illogica è la norma che fissa due distinte soglie di sbarramento, una valida per le forze politiche unite in coalizione (4%), e l'altra per le forze e/o coalizioni che partecipano alla competizione elettorale fuori dagli schieramenti più consistenti (8%), talchè i voti raccolti da queste ultime, laddove si fermassero al 7,9%, peserebbero zero rispetto a quelli di chi, unito, invece, in una coalizione vincente, ottiene appena il 4% dei consensi !!!
Il candidato Presidente più suffragato otterrà, infine, uno scranno nel Consiglio in aggiunta a quelli assegnati alla coalizione che lo ha sostenuto, mentre il più suffragato fra i perdenti lo sottrarrà a quella a lui collegata. In tal modo si riduce di fatto a 49 e non a 50 il numero complessivo dei Consiglieri da ripartire fra le liste concorrenti.
La possibilità del "voto disgiunto", di un voto, cioè, espresso dall'elettore per un candidato Presidente, ma non per la coalizione che lo appoggia, rischia di rendere tutto il sistema traballante, a dispetto degli obbiettivi di stabilità e governabilità che si vorrebbero raggiungere.
Infatti, essendo i seggi del "pacchetto maggioritario" (27-29) assegnati sulla base dei consensi ottenuti dalla coalizione e non dal candidato presidente, non è peregrina l'ipotesi che un candidato presidente vincente, perchè dotato di forte carisma, possa ottenere consensi in numero maggiore di quelli di tutta la coalizione che lo ha sostenuto, con l'effetto di avere un Consiglio a maggioranza ostile alla politica del Presidente eletto.
Per ultimo, non certo per importanza, il Consiglio Regionale uscente approva la legge rifiutandosi, per la seconda volta, di recepire nel testo le istanze provenienti dalla cd. società civile, che rivendicavano una "parità di genere" (inesistente nella Consigliatura, dove la presenza femminile era irrilevante - 3 su 70), con norme che prevedessero nelle liste una presenza di genere al 50 % e la possibilità, per gli elettori che lo volessero, di esprimere una doppia preferenza, ovviamente differenziata per genere.
In conclusione, se si osserva l'evoluzione, o meglio, l'involuzione, che la normativa elettorale regionale ha conosciuto negli ultimi anni, partendo da un sistema totalmente proporzionale per arrivare ad un sistema presidenzialistico, maggioritario, con alte soglie di sbarramento, si ha la dimensione della progressiva riduzione degli spazi democratici che sta subendo la partecipazione popolare alla vita politica, non solo nazionale, ma anche periferica.
Ai valori costituzionali della "rappresentanza politica" e della "partecipazione" si è andato sostituendo nel tempo il concetto di "governabilità", estraneo alla nostra Costituzione, che ha finito per limitare progressivamente gli altri due. Non deve perciò meravigliare che non sentendosi più adeguatamente rappresentato, un numero crescente di cittadini non si rechi più alle urne.
Chi oggi sbraita contro la "frammentazione politica", "i piccoli partiti che condizionano le grandi scelte politiche" e via dicendo, non potrà mai occultare il fatto che i piccoli partiti clientelari continuano ad entrare nei Parlamenti nazionali o nei Consigli Regionali "sbarrati", aggregandosi ai Partiti più grossi, che li accolgono volentieri per la "dote" di voti che si portano appresso; salvo, poi, ad uscirne fuori e dar vita a gruppi autonomi, una volta che risultano eletti.
Eppoi, non dimentichino mai i sostenitori della governabilità a discapito della partecipazione che il massimo livello di governabilità il nostro Paese l'ha conosciuto durante il fascismo, con le conseguenze tragiche che ciò ha comportato.
A questa riduzione di democrazia fa il paio un aumento dei privilegi che si attribuisce e si perpetua quella che da più parti viene ormai etichettata come "casta", spesso non esente da fenomeni di corruzione, che, in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, sempre più contribuisce a far allontanare la gente dalla politica.
Anzi, a voler essere malpensanti, sembra quasi che la riduzione degli spazi democratici sia funzionale a restringere ad una piccola cerchia di privilegiati la possibilità di sfruttare quei vantaggi di cui gode il ceto politico attuale.
Come ricordato all'inizio di questo articolo, la partecipazione popolare al voto degli organismi decisionali periferici (Comuni, Province e Regioni) non riveste importanza solo come fatto in sé, ma la rafforza anche in relazione alle trasformazioni istituzionali e costituzionali che si è tentato di imporre e che il referendum del 4 dicembre ha spazzato via, impedendo che si istituisse un nuovo Senato, non più eletto dal popolo, ma nominato dai Consigli Regionali sulla base di accordi fra partiti, in analogia a quanto già accade con le Province.
Anche se sonoramente sconfitte, non è detto che queste trasformazioni non vengano riproposte in futuro e che un "Senato delle Autonomie locali" non venga nuovamente discusso.
Difendere, quindi, la partecipazione al voto e la più varia rappresentanza politica non è cosa importante solo localmente, ma anche nazionalmente.
*) Coordinatore del Comitato per la Costituzione di Terra di Bari.
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