www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 29-01-17 - n. 618

Dall'equo processo al processo utilizzato dal padrone

Enzo Pellegrin

29/01/2017

Come con i notav, l'arresto di Aldo Milani puzza di costruzione mediatica straordinariamente puntuale ed utile a delegittimare uno dei pochi sindacati conflittuali che in Italia fa il suo lavoro, opponendosi strenuamente e senza vendersi a un padrone schiavista.
Giunge notizia che esponenti di sindacatucoli concertativi e partiti di regime si siano subito buttati a convalidare le ricostruzioni di procure e questure, le quali - come è noto a tutti i proletari - sono il crisma dell'imparzialità della giustizia e della correttezza processuale...

Lo sanno bene i notav mandati a processo in massa per la loro resistenza, Marta, manifestante Notav sessualmente molestata dalle forze dell'ordine e offesa dal provvedimento di archiviazione del giudice che la giudicava non attendibile perchè politicamente impegnata dalla parte avversa allo stato borghese, lo sa chi prese botte alla diaz con alcuni questurini che fabbricarono prove false per giustificare la mattanza, lo sanno i torturati per waterboarding, quelli picchiati a morte come il povero Signor Uva, e molti altri.
Naturalmente nessuno di questi amici del regime si è accorto che una accusa non è una condanna e che nello stato borghese la condanna dovrebbe seguire ad un equo processo (sulla cui reale esistenza in Italia ci sarebbe peraltro quantomeno da discutere).

Nella ricostruzione accusatoria  della Questura di Modena, il sindacalista avrebbe estorto la somma di 90mila Euro come contropartita per calmierare le proteste e gli scioperi posti in essere dal sindacato contro l'azienda dei Fratelli Levoni, distributori di carne.

In realtà i picchetti e gli scioperi contro l'azienda, posti in essere in modo giusto ed  energico sin dallo scorso novembre avevano l'obiettivo di rivendicare la corretta applicazione delle leggi e del CCNL sulle retribuzioni, come precisato in un comunicato sindacale, "Nello specifico, dato che i 52 licenziati di Alcar Uno, all'atto di fare richiesta di accesso alla NASPI (assegno di disoccupazione erogato dall'INPS), avevano scoperto che le cooperativa Alcar Uno in appalto per Levoni non aveva versato i contributi INPS utili a maturare l'assegno di disoccupazione, Milani aveva chiesto che Levoni saldase quest'ammanco, ovviamente non certo consegnando del denaro liquido bensì versando le somme contributive mancanti attraverso le modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24!" (La Riscossa 30.1.2017).

Con un'azione del tutto discutibile che ha il sapore di delegittimazione costruita, la Questura aveva fatto trapelare alla stampa un video in cui non Milani, ma un altro soggetto, prendeva una busta dalle mani di un altra persona. A parte il fatto che nelle immagini chi prelevava la busta nulla ha a che fare con Milani ed il Sindacato Si Cobas, nel video fatto trapelare era stato escluso l'audio, con grave danno per la difesa e la reputazione di Milani.

Il personaggio in questione, tale Aldo Piccinini è infatti risultato essere nient'altro che un consulente del lavoro legato alle cooperative che forniscono lavoro alle aziende dei fratelli Levoni.

A confutazione del costrutto accusatorio posto in essere, in data di oggi, Aldo Milani è stato scacerato dal Giudice delle Indagini Preliminari.

Se questi Soloni dell'indignazione a comando di stampa avessero un'attimo di tempo per distrarsi da quei privilegi (in gran parte pure piccoli... ) che il sistema capitalista ha loro garantito in cambio di una utile compiacenza, praticata dall'epoca della marcia dei quarantamila per giungere all'accordo 10 gennaio sulla rappresentanza, dovrebbero chiedersi se attaccare il giusto sindacalismo conflittuale colla scusa della legalità borghese e degli agenti d'ordine della borghesia non sia un ennesima compiacenza o dimostrazione di patente utile idiotismo, nel senso che Lenin intendeva.

I patiti del processo sulla stampa di regime sicuramente vanno incontro spesso alle smentite della storia, anche se altrettanto spesso queste sono opportunamente nascoste.

In chi ha un minimo di coscienza proletaria è invece già passato in giudicato il disprezzo morale.

Qualunque sia la conclusione di questa sospetta vicenda, il sindacato conflittuale ha ragione da vendere e loro hanno avuto sempre torto: le condizioni schiavistiche del lavoro, la disoccupazione, quello statuto padronale che è diventato il diritto del lavoro sono le prove documentali alle quali sono inchiodati.


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