Gravi provvedimenti contro il movimento operaio e studentesco in lotta. E leggi razziste
Parlare di sicurezza, di diritto alla sicurezza in termini generali, potrebbe sembrare l'affermazione del principio che ci si deve cautelare contro qualche evenienza spiacevole per metterci in una condizione oggettiva esente da pericoli o, comunque, tutelata, garantita per preservarci dai pericoli.
Cosa si potrebbe volere di più da uno Stato se non il sostegno ad un tale principio o diritto? Nel caso di sicurezza pubblica, di tutti, dovremmo trovarci nella condizione oggettiva di uno Stato che garantisce ai singoli lo svolgimento delle proprie attività, per mezzo dell'autorità di pubblica sicurezza che sta ad indicare la polizia, in quanto organismo preposto alla sicurezza pubblica. L'inconsistenza su cui si regge tutto l'impianto dovrebbe saltare subito all'occhio: chi assicura, difende, tutela chi? Nella società divisa in classi, sempre più antagoniste tra loro, chi sostiene tale principio non può che appartenere alla classe dominante, la borghesia, tesa ad assicurarsi le condizioni ideali di sfruttamento della forza lavoro e valorizzazione dei capitali, per il massimo profitto. Per noi sicurezza significa invece la nostra tutela in quanto lavoratori, sul posto di lavoro e fuori. Dovremmo cambiare i termini quando si parla di sicurezza, che non consiste in uno strumento contro il pericoloso immigrato, ma che deve significare invece tutele ai lavoratori. Parlare di sicurezza per poterci permettere le cure sanitarie o la mobilità, la tutela dagli infortuni sul lavoro o dalle malattie professionali.
Tuttavia i loro argomenti così vaghi e senza corpo vengono mantenuti e riproposti insistentemente dai governi borghesi di ogni ordine e grado, che continuano a propinarci la manfrina della nostra difesa (interna ed esterna, si badi bene) da o, meglio, contro qualcuno. La logica dell'emergenza, che la classe dirigente del nostro paese ha ripetutamente usato (e abusato), ogni qualvolta lo richiedeva, è figlia del concetto borghese di pubblica sicurezza, cioè degli organi di polizia. Ma figlia ne è anche la politica internazionale contro il terrorismo, la deterrenza, la guerra preventiva, le sanzioni, su, su di questo passo fino al first strike nucleare. Nella realtà gli eserciti delle grandi potenze assicurano lo sfruttamento dei popoli oppressi così come la polizia assicura lo sfruttamento dei lavoratori. Chi ne beneficia, in un caso o nell'altro, sono i padroni.
I popoli oppressi vengono sistematicamente rapinati delle loro risorse (oro, rame, cotone, uranio, ferro, petrolio, caffè, thè, grano, diamanti…) e delle loro "risorse umane", la loro forza- lavoro che, espulsa per condizioni di ovvia invivibilità, è catapultata a sostenere di lavoro vivo il capitale internazionale in endemica crisi. Essa si rappresenta come una classe operaia giovane, comprata al ribasso nel mercato globale della forza lavoro e dislocata nei luoghi preposti dalla divisione internazionale del lavoro. Sfruttata ulteriormente, e tuttavia libera da condizionamenti, senza remore o sconfitte sindacali e politiche alle spalle, meno scettica sulle proprie possibilità, più esposta e più disposta a lottare. Consapevole.
Noi, forza lavoro interna, abbiamo offerto tutti i fianchi possibili all'attacco del nemico, con politiche di deterrenza e resa sindacale e politica. Sembriamo una classe operaia vecchia e sconfitta, il confronto in fabbrica, tra noi, sempre più difficile, i riferimenti caduti. Una classe che esiste comunque, che non è mai sparita, ma che ha perso la sua centralità politica.
Due condizioni complementari, che nascono da una comune appartenenza, destinate ad una naturale unità, come già nel nostro passato: la prima a fare da traino a una riconquista della dignità perduta. Un'unità però più teorica che concreta. Perché si concretizzi ha bisogno di episodi, di vissuto, di pratica ricca di indicazioni e di pensiero politico (da Marx in poi), ricca di lotte.
Razzismo, arma di distrazione di massa
Da qui emerge il ruolo del razzismo come arma di distrazione di massa, come guerra preventiva del capitale, che scatena sentimenti o risentimenti che sfociano il più delle volte, in vere e proprie forme di odio verso il basso, utili al capitale per il frazionamento e la stratificazione della classe, il tentativo di annientamento della coscienza sociale condivisa della classe operaia. Per evitare che emerga e si consolidi la consapevolezza che il conflitto vive all'interno dei rapporti di classe, tra sfruttatori e sfruttati.
In questa cornice il decreto Salvini si smaschera da sé: anzitutto non c'è alcuna reale invasione del nostro paese da parte di spaventose orde di immigrati, anzi, siamo ai minimi storici degli ultimi vent'anni per effetto dei decreti precedenti (da Turco-Napolitano a Minniti); in secondo luogo le misure sembrano più indirizzate al ricatto nei confronti degli operai immigrati, per costringerli ad accettare condizioni di lavoro, di casa, di vita del tutto indegne.
Infatti il decreto prevede l'abolizione del permesso per protezione umanitaria (che tutelava chi fuggiva da zone devastate da guerre, da persecuzioni politiche o da disastri naturali, sostituito da un generico permesso "per casi speciali"; l'inasprimento delle misure restrittive contro richiedenti asilo ed immigrati (portando il periodo di detenzione nei Cpr a 180 giorni invece di 90); reintroduzione del reato di blocco stradale, che era stato depenalizzato, con pene da 1 a 6 anni; indurimento delle pene per gli occupanti di case (reclusione fino a 4 anni, il doppio di quanto previsto dal codice fascista Rocco); dotazione ai vigili urbani delle nuove pistole taser (armi in grado di uccidere) per l'ordine pubblico.
Con questo decreto aumentano gli immigrati costretti a restare in Italia senza permesso di soggiorno e condannati alla clandestinità. In generale è evidente che queste misure sono tese a sostenere l'attacco a tutta la classe operaia e alle sue lotte da parte del governo Conte-Di Maio-Salvini, nuovo governo dei padroni.
Noi lavoratori e proletari dobbiamo unirci e organizzarci nella più grande opposizione politica e sociale possibile e i segnali non mancano, proprio a partire da quel proletariato immigrato oggi al centro delle lotte della logistica e a partire dalla doppia scadenza del 26/27 ottobre, sciopero e manifestazione indetti dal Si Cobas.
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