Per capire il senso profondo dell'operazione di fusione proposta da FCA a Renault basta leggere le parole di Sibeth Ndiaye, portavoce del governo francese che ha definito l'operazione "utile alla sovranità economica dell'Europa" per la quale "abbiamo bisogno di giganti".
Sono lontani tempi in cui l'Unione Europea si presentava come garante della concorrenza e del libero mercato, con le sue autoritiesindipendenti, che avrebbero dovuto vigilare e contrastare la concentrazione monopolistica. Oggi le sue autorità plaudono apertamente alla costruzione di colossi in ogni settore dell'economia, in grado di far competere il grande capitale europeo a pari livello con le altre potenze, e reggere così la competizione americana e cinese. Nulla di nuovo in realtà, perché anche quando l'UE giocava a presentarsi come garante della concorrenza, le regole del mercato capitalistico lavoravano per conto proprio incrementando la concentrazione monopolistica senza che nessuna autority volesse (e potesse) contrastarlo. Anche quel velo di ipocrisia è caduto, e l'Unione Europea va alla guerra commerciale sul mercato internazionale agevolando apertamente la grande concentrazione monopolistica, i "giganti" capaci di competere sul mercato globale.
D'altronde, checché ne dicano gli alfieri del nuovismo, già Marx nell'ottocento rilevava come la tendenza ultima di ogni mercato capitalistico, o "libero mercato" come lo chiamano gli economisti, fosse quella di creare concentrazione e condizioni di monopolio, sulla base delle leggi stesse dello sviluppo capitalistico. Il libero mercato quindi tende al monopolio, e la sua proiezione su scala ormai globale rende i processi di concentrazione e centralizzazione del capitale irreversibili.
I capitalisti nostrani, insieme con le autorità europee sono ben coscienti di una contraddizione enorme, che è stata non a caso evocata come rischio epocale durante la campagna elettorale delle scorse europee. L'Unione Europea è il principale mercato mondiale, l'area economica complessivamente più ricca del mondo. Ma rischia, a causa delle divisioni e dei contrasti interni, legati a interessi nazionali, di non esprimere in ogni settore blocchi monopolistici in grado di affermarsi in posizione di vertice nella competizione internazionale. La conseguenza è perdere posizioni e diventare da conquistatore, terreno di conquista. Cosa che sta accadendo nel campo delle nuove tecnologie informatiche dove l'Europa è schiacciata nella competizione tra USA e Cina. Sul campo dell'industria tradizionale invece i colossi europei hanno ancora molto da dire, a patto però, che mettano da parte i particolarismi, smettano di farsi concorrenza tra loro e scendano a patti (cartelli, alleanze, fusioni) che ne mantengano i livelli di competitività sul mercato internazionale. Il tutto appunto per affermare quella "sovranità economica dell'Europa" per la quale le autorità della UE e i singoli stati sono pronti al pieno sostegno.
Non è un caso che oltre a quello del governo di Macron, al piano FCA sia arrivato il sostegno anche del ministro Salvini, che con toni entusiastici ha definito "brillante" l'operazione, dichiarandosi pronto al sostegno pubblico con partecipazione dello Stato nell'iniziativa, anche per controbilanciare il peso pubblico francese in Renault. Insomma europeisti e sovranisti, non insolitamente uniti quando si tratta di armarsi per la competizione di mercato e per la difesa dei propri capitalisti. Il matrimonio tra FCA e Renault è una strategia quasi obbligata, per competere anche dentro l'area europea con il predominio della Wolkswagen, consolidando così la posizione europea di vertice nel settore e creando ai tedeschi un rivale in grado di non essere assorbito nel mercato interno.
Sarebbe sbagliato continuare a vedere la FCA di oggi con la stessa ottica con cui per anni in Italia abbiamo guardato alla FIAT: la vecchia società torinese è una piccola autofficina in confronto all'attuale FCA. Oggi la FCA controlla 13 marchi, con 102 stabilimenti sparsi in 40 paesi del mondo e relazioni commerciali con 135 stati. Un colosso da duecentomila dipendenti, che vende 3,8 milioni di automobili all'anno e ha ricavi netti per 110 miliardi di euro (per avere un confronto è praticamente il pil del 55° paese al mondo). Fuori dalla FCA, ma controllata sempre dalla capogruppo Exor di proprietà della famiglia Agnelli, c'è anche la Ferrari. Tutto questo può sembrare enorme, ma nel mercato automobilistico mondiale si tratta "solo" dell'ottavo gruppo. Al vertice c'è la tedesca Wolkswagen, seguita da Toyota e dall'alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi. Se la fusione con Renault sarà completata la nuova società diventerà la terza produttrice mondiale di automobili, in caso di alleanza con Nissan e Mitsubishi la prima al mondo nel settore automobilistico, e complessivamente ottavo gruppo mondiale per fatturato nella classifica generale. Per capire l'ordine di grandezza di cui parliamo il fatturato di questa società sarebbe superiore al pil della Grecia.
La mossa frutterà agli Agnelli la quota maggiore di capitale della corporation. Secondo indiscrezioni trapelate la Exor dovrebbe essere al primo posto del gruppo con il 13% del capitale, davanti alla quota pubblica detenuta dallo Stato in Francia e a Nissan, che avranno il 7% ciascuna. A seguire i fondi Tiger al 3%, Harris, Blackrock e Vanguard con il 2%, quota che avrà la stessa Renault, mentre Daimler avrà l'1%. Il restante 53% sarà messo sul mercato per i piccoli risparmiatori. La Exor, si proietterà così ancora maggiormente come colosso globale.
Ma se le tasche degli Agnelli si riempiranno non altrettanto sarà per quelle dei lavoratori, sui quali invece ricadranno i costi sociali dell'operazione. Sono prive di valore le rassicurazioni della dirigenza FCA e delle analoghe precisazioni della Renault sui posti di lavoro, così come le postille ai comunicati dei governi. La riarticolazione del capitale e il suo efficentamento in termini di produttività richiedono strutturalmente la razionalizzazione dei processi produttivi, e quindi la riduzione dei posti di lavoro. L'Italia è già stata colpita in termini occupazionali ad ogni fuzione e lo sarà nuovamente. In un grande gruppo come quello che nascerà tra FCA e Renaut (eventualmente con la ulteriore partership di Nissan) la produzione italiana può avere spazio solo nel polo del lusso (Maserati-Alfa Romeo e Ferrari) dove il valore del marchio made in Italy è in grado di compensare il maggiore costo della forza lavoro, rivolgendosi per l'appunto a una fascia di mercato alta. La produzione FIAT sarà limitata al solo mercato italiano, dove il marchio ha una sua storia, o ai modelli legati alla tradizione italiana come la FIAT 500, brand che sempre più l'ex azienda del Lingotto sta promuovendo in autonomia. Al contrario tutti i modelli di utilitarie e vetture di medio basso livello sono perfettamente sovrapponibili a quelli francesi della Renault e della Nissan, così come la vera sfida futura, quella dello sviluppo dell'auto elettrica porterà a diminuire il numero di modelli di auto ibride e/o elettriche progettati. La proiezione sempre più globale del gruppo e la sua forza rispetto ai singoli paesi, non farà che mettere in competizione i lavoratori, le legislazioni nazionali, gli incentivi e le sovvenzioni in una gara al ribasso per garantire alla società maggiori quote di profitto allontanando lo spettro della chiusura degli stabilimenti e delle riduzioni occupazionali. Insomma in un modo o nell'altro loro ci guadagnano i lavoratori ci perdono.
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*) Ufficio Politico Partito Comunista
FCA, la necessità di rientrare in fretta nel mercato dell'auto elettrica
La FCA ha una esigenza vitale: rientrare il prima possibile nel mercato delle automobili elettriche. È su questo mercato che si gioca il futuro dell'automobile a livello mondiale, e soprattutto in Europa e Asia. Per farlo guarda alla Renault-Nissan che è il terzo produttore mondiale e primo europeo.
La green economy è la sfida del futuro, al pari all'innovazione informatica - oggi specialmente quella del 5G- destinata a compiere una vera e propria rivoluzione nella produzione. Lo sviluppo capitalistico è giunto in una fase di rapida evoluzione che comporta una grande volatilità al vertice. La presenza di una azienda può essere rapidamente scalzata se non in grado di adeguarsi alle innovazioni tecnologiche, sia in termine di prodotto che di processo produttivo. Chi si ferma e non coglie le innovazioni per tempo è semplicemente perduto. Non che ci sia nulla di nuovo rispetto alla natura stessa del capitalismo, ciò che è aumentato è la velocità di questo processo, chiaramente connesso con una maggiore velocità degli scambi di mercato e con una sua proiezione sempre più globale. Per capirlo basta guardare al settore della telefonia mobile e della tecnologia. La rivoluzione degli smart-phone ha spiazzato colossi della telefonia come la Nokia e ridotto le quote di produzione di giganti tecnologici come la Sony. Se la Apple è oggi la seconda società mondiale per utili, la Samsung la nona, quelle società una volta ai vertici mondiali sono piombate in basso.
La Cina ha colto appieno la sfida dell'elettrico nel settore automobilistico, e non solo, lanciandosi sul mercato mondiale come leader della tecnologia green. I cinesi sono consapevoli di aver raggiunto un livello di sviluppo tecnologico che consente loro di poter bruciare le tappe, passando in molti settori dell'economia direttamente da condizioni arretrate a livelli avanzatissimi, senza dover ripercorrere forzosamente tutte le tappe dello sviluppo avvenuto in decenni nei paesi occidentali. Sono lontanissimi i tempi della Cina che accoglieva le società occidentali e le fabbriche inquinanti dismesse per acquisire capitali e know how: oggi la Cina esprime in ogni settore posizioni al vertice mondiale. La sfida lanciata è sul mercato interno certamente, dove già le auto elettriche avanzano con forza, ma anche su quello internazionale. Di circa due milioni di auto elettriche vendute nel 2018 più della metà sono in Cina, seguita da USA e UE con circa 300.000 vetture a testa.
Così la classifica dei produttori automobilistici tradizionali è perfettamente rovesciata in quella delle auto elettriche, con i cinesi che scalzano velocemente le prime posizioni. Tra i principali dieci produttori mondiali di auto elettriche ben cinque sono cinesi, tra cui la Byp che è seconda. Al vertice c'è l'americana Tesla, ma insieme le cinque cinesi producono più del doppio delle sue automobili. E anche Tesla non può fare a meno della Cina: aprirà uno stabilimento da 500.000 vetture all'anno proprio nel paese asiatico (ironia della sorte con quote versate dalla FCA).
Alla base dello sviluppo cinese c'è il dominio sulla componentistica. L'auto elettrica è relativamente più semplice da realizzare perché richiede meno componenti delle automobili tradizionali, su cui la Cina non vanta una tradizione autonoma di costruzione. Il cuore dello sviluppo dell'automobile elettrica sono le batterie, campo nel quale la Cina è in una posizione di dominio assoluto a livello mondiale: la sua produzione è tre volte quella del resto del mondo (130,4 GWh contro 42,4 GWh). Il massimo sviluppo raggiunto dai cinesi in campo elettronico e informatico può essere così trasferito nella produzione automobilistica colmando velocemente il gap con le economie del G7. Sono dati che preoccupano i produttori di automobili e anche i governi USA e UE consapevoli che a queste condizioni, la perdita di posizione sarebbe totale.
La strategia americana con Trump è stata quella di ridare fiato alle imprese tradizionali allentando i vincoli ecologici, e aprendo una guerra commerciale di dazi con la Cina. Una strategia che nel lungo periodo è destinata a fallire. L'Unione Europea invece si è mossa in un'altra direzione, anche per la pressione di importanti società che sulla riconversione hanno investito pesantemente. In ogni caso la vicenda dell'ambiente è per i capitalisti e i governi borghesi nient'altro che un terreno di scontro sulla riconversione e sulla riarticolazione nelle posizioni di vertice. Dietro questa maschera si disegneranno i rapporti economici globali del prossimo futuro.
Mentre il mondo si muoveva la FCA è restata indietro sullo sviluppo dell'auto elettrica, e oggi deve bruciare le tappe per poter continuare a mantenere la posizione che ha nel mercato automobilistico. Nel 2019 ha dovuto comprare da Tesla le quote per compensare le emissioni di CO2 e rispettare così i limiti green stabiliti dall'Unione Europea, sborsando 1,8 miliardi di euro. Le previsioni della FCA sulla propria capacità autonoma di colmare il gap e portarsi entro il 2021 al livello richiesto apparivano del tutto irrealistiche. Romano Prodi - ex presidente della Commissione europea e uomo di peso nelle relazioni con la Cina - all'indomani della vendita di Magneti Marelli e del mega dividendo per gli azionisti, a danno degli investimenti promessi sull'elettrico, aveva pesantemente criticato la FCA ricordando che i suoi investimenti per la riconversione elettrica erano nettamente inferiori a quelli delle concorrenti, e bollando la divisione degli utili come atto legittimo "ma certo non il segnale di una strategia dedicata a fare assumere alla Fiat Chrysler un ruolo di leadership nella produzione dell'auto del futuro".
Ma in realtà la FCA era ben consapevole che solo con un'alleanza sarebbe stato possibile colmare questo gap. Nella sua relazione l'Amministratore Delegato Manley aveva dichiarato candidamente: "Credo che onestamente nei prossimi 2 o 3 anni ci saranno significative opportunità di partnership e alleanze nell'auto a livello globale e Fca avrà un ruolo costruttivo, attivo e proattivo nel proprio settore". Quindi la scelta della FCA era già chiara, e l'alleanza con Renault-Nissan, terzo produttore mondiale dell'elettrico, l'unica in grado di far rientrare casa Agnelli e i suoi partner nel mercato del futuro e saldare un polo europeo in grado di competere a livello globale. FCA colma il gap sull'auto elettrica, e Renault-Nissan si aggancia al mercato americano dove il gruppo dell'ex Lingotto ha spostato una gran parte del proprio asse. Nell'area europea inoltre il colosso italo-francese-statunitense potrà competere con le società tedesche (la BMW è la terza produttrice mondiale per auto-elettriche) che si sono dimostrate in questi anni molto inclini ad utilizzare l'area europea come proprio mercato di esportazione, e molto meno a concepire il mercato comune come terreno di alleanze. Per questo l'alleanza FCA-Renault piace a tutti. Esclusi ovviamente i lavoratori, su cui le conseguenze ricadranno.
Sarebbe stata possibile una differente politica aziendale e strategia della Fiat -FCA? Forse, ma molto tempo fa. Mentre tutti si concentravano nel lodare le straordinarie capacità manageriali di Marchionne, e prima ancora degli Agnelli, sulla base di operazioni tradizionali di acquisizione, il difetto dell'economia italiana si manifestava chiaramente nella scarsa propensione alla ricerca e agli investimenti. FCA è divenuto un colosso mondiale attraverso operazioni di concentrazione di capitale: acquisizioni, fusioni, alleanze e di riduzione sistematica del personale. Ma è un gigante dai piedi d'argilla perché scoperto sul fronte tecnologico su cui si gioca il futuro, destinato senza rapidi interventi, a mantenere le proprie quote di mercato solo nella nicchia del mercato di lusso (l'unica in cui tra l'altro la produzione è destinata a restare legata all'Italia), perdendole sul resto. La FCA non ha più tempo per mettersi al pari della concorrenza e propone l'unica cosa che è capace di fare: una fusione. Mettere insieme le conoscenze per competere, a costo della riduzione dei modelli e soprattutto della componentistica. Sarà questo a pesare sull'occupazione: una base comune di sviluppo dell'auto elettrica a cui si darà solamente la carrozzeria e il marchio di modelli diversi, secondo le esigenze di profitto di un gruppo globale. Più efficienza capitalistica con meno risorse e meno lavoratori.
La Exor sarà così al vertice della nuova alleanza mondiale e allo steso tempo otterrà la benedizione delle istituzioni europee e dei governi nazionali perché sarà un'arma potente nella competizione con la Cina. Capitalisti "lungimiranti" europei, privi di ogni legame nazionale e proiettati su scala globale, spregiudicati al livello giusto per compiere l'operazione.
Capire il proprio nemico è condizione necessaria per pianificare una strategia di lotta da parte dei lavoratori.
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*) Ufficio Politico Partito Comunista
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