www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 16-03-20 - n. 742

Che idea morire di marzo

Tiziano Tussi

15/03/2020

Che idea morire di marzo. Mi è venuto in mente questo titolo di libro, pubblicato nel 1978 appena dopo la morte di Fausto e Jaio, due compagni del centro Leoncavallo, uccisi per questioni attinenti alla controinformazione relativa allo spaccio di droga in una zona di Milano.

Ora il marzo della nostra morte è immensamente più vasto, ma la morte che ci attornia in queste settimane non ha senso. Ed uccide il senso della vita. Così come venne uccisa la vita, e logicamente i suoi sensi, di questi due lontani ragazzi.

Una pandemia dovuta ad un virus che non ha per ora medicine che lo abbattano, mette in gioco il senso profondo della nostra esistenza. Certo in primis per la morte reale, ma forse ancora più potente, per la morte possibile, annunciata dai numeri di contagiati, intubati e poi morti che continua ad essere, a volte a salire qua e diminuire là, ma senza una fine visibile. I paragoni con pestilenze ed altre pandemie poco ci lasciano soddisfatti. Certo, tra un po' di tempo finirà. Non sappiamo quando. Certo riprenderemo a vivere secondo schemi usuali. Ancora quelli di ieri? Parrebbe di sì.

Dopo la pandemia definita spagnola, perché ne parlarono per i primi i giornali spagnoli, ma non è ancora certo dove fosse stato il focolaio iniziale della stessa, dopo la pandemia che fece 50 milioni di morti in tutto il mondo, l'influenza durò due anni circa 1918-1920, gli umani dell'epoca, dopo un po' di anni fecero… la seconda guerra mondiale.

Alla faccia di chi ora dice che "questa malattia cambierà il nostro modo di vivere", che "saremo necessariamente diversi dopo", ecc. ecc. Inutile citare i buonisti che ne parlano. Così come i canti, i battimani, i concertini sui balconi vorrebbero dimostrare, una solidarietà umana, tutta umana, se non si troverà velocemente una medicina, un vaccino contro il corona-virus davvero, serviranno a poco, a niente. Sono segnali di un'umanità repressa, che si sfoga, sul balcone di casa, che canta alla finestra, altro non può fare, ma che è e sarà incapace di mettere in atto cambiamenti di vita sociale apprezzabili.

Sarebbe anche il caso di avere, da parte di chi può, e mi riferisco alle maggiori sigle sindacali, uno studio, una elaborazione di interventi sul campo, per quanto riguarda il mondo del lavoro, che è ancora attivo. Ma pare che il tutto si fermi alla sicurezza sul posto di lavoro. Che è molto, ma non basta.

Questa pandemia, così come ogni altra, mette a nudo le nostre debolezze sociali e politiche. Non siamo soli nel mondo a subirne i contraccolpi. Le classi politiche attuali hanno tra le loro file una grande quantità di incapaci. Ma il cittadino medio, in tempi di normalità, non fa nient'altro che seguire questi incapaci, nelle simpatie personali e culturali, nei voti alle varie elezioni, nell'attenzione che dedica loro. Ben poco saranno capaci di trarre lezione da questo periodo. Noi stessi, individualmente, poco possiamo fare.

Quello che ci atterrisce poi è la mancanza di senso del progetto di vita. La malattia reale o presunta, o paurosamente attesa, ci toglie ogni possibilità di pensare al domani. E quindi di fare progetti di vita. Ma non è neppure un vivere alla giornata, perché la vita si nutre di incontri, scontri ed azioni reali, anche in quel caso. Impossibile ora a farsi dato l'isolamento a cui veniamo chiamati. E ciò ci lascia disarmati.

Veniamo a sapere che è possibile vivere con meno, con poco. Veniamo a respirare meglio l'aria delle grandi città, basti pensare all'inquinamento nella Val Padana, diminuito di molto, e all'acqua dei canali di Venezia, riornata limpida, come da decenni non era. Veniamo a prendere coscienza che a poco servono le sciocchezze della rete, i tweet, WhatsApp, ed i messaggini con faccine che ci mandiamo, sperando siano un sollievo all'ansia collettiva. Possiamo fare a meno di aperitivi ed eventi di passeggero spessore. Vediamo che la pubblicità, alla televisione, ci parla di un mondo che ora non c'è e che forse non c'era, sostanzialmente, nemmeno prima: l'automobile che va veloce, ma per andare dove? Un investimento finanziario, ma da spendere dove? Sgolarsi e distruggersi, buttare ogni energia per la nostra squadra del cuore, che non gioca più. Trasmissioni e programma televisivi di influencer che non hanno più nessuno da influenzare, dato che c'è chi fa meglio di loro. Un virus!

Insomma, una vita sincopata, senza svolgimento, senza elaborazione.

Aggiungiamo pure che tutti questi miliardi, ora messi lì dal nostro governo, come comunque anche dagli altri governi, da spendere per non fare mancare un minimo di stipendio per avere la spesa sul pianerottolo, per comprare mascherine, disinfettanti, come letti e ventilatori, per ripagare chi perde denari ora, perché non lavora, saranno resi, con gli interessi, dalle solite buste paga e pensioni, dopo il diluvio. Non c'è all'orizzonte nessuna seria democratica partecipazione ai disastri economici odierni e neppure a quelli in prospettiva che ci saranno dopo, da chi ha accumulato miliardi nel corso del tempo. I cosiddetti mercati continuano a speculare.

Quindi pensiamo almeno a tenere in noi un minimo di normalità, facendo piccole cose che non siano rivolte solo alla malattia ed alla situazione attuale. Attrezziamoci socialmente, in prospettiva, personalmente da ora, politicamente agguerriti, perché la ripresa sarà pesante, ma non per tutti, ovviamente. Ripeto l'esempio di prima: prima guerra mondiale - pandemia spagnola - seconda guerra mondiale. Certo, tra il secondo stadio ed il terzo sono passati quasi vent'anni, ma vent'anni pesanti a livello popolare,

Anche se sembra ora un anacronismo parlarne, anche se sembra, in questa umanità che lotta e che soffre tutta assieme - bisogna stare uniti è il refrain che politici e medici ripetono in continuazione - una forzatura ricordarlo, quando pare non vi siano più, scomparse dietro al virus, abbattute dal virus, la divisione in classi per l'umanità del dopo virus ritornerà prepotentemente alla superficie sociale passata la tempesta virale.

Ed occorrerà che qualcuno riesca ad organizzare il ricordo, il ricordo di quando eravamo spenti nel senso vitale, ora perciò. Da quando l'umanità che ci pervade chiedeva solo un po' di decenza ad ognuno. Da quando la stessa umanità rispondeva con canti, battimani e striscioni di bambini ai balconi.
In fondo, la ricerca della decenza sociale, dalla quale siamo stati allontanati da decenni di imbecillità politiche ed economiche. Il sistema della cultura borghese e dell'economia capitalistica non funziona a livello popolare. Lo abbiamo capito ora forse più di prima dovremmo ricordarcelo dopo.


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