www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 15-04-20 - n. 746

Chi governerà la crisi sociale?

Alessandro Mustillo | lordinenuovo.it

11/04/2020

[I Parte]

Il messaggio di Giuseppe Conte rivolto ieri sera alla nazione non è stato un normale messaggio istituzionale, ma qualcosa di assai diverso. Lo spettro che da giorni aleggia su Palazzo Chigi si chiama Governo Draghi, ed è questo spettro che ieri con forza Giuseppe Conte ha voluto provare a scacciare via. Un'ipotesi complicata a dire il vero, perché la sostituzione di un Governo in piena emergenza pandemia non è una cosa semplice. Ma è una suggestione insistente agitata più volte da settori importanti di questo Paese, non lontani dalla stessa Confindustria. Quando pensiamo a quello che sta accadendo non dobbiamo mai dimenticare cosa rappresenta questa congiuntura storica per le classi dominanti e i governi.

La gestione della pandemia e delle sue conseguenze è un enorme terreno di scontro, che sta amplificando in un solo colpo tutti i fenomeni da tempo in atto, connaturati con le logiche capitalistiche proprie della fase di sviluppo odierna del capitalismo, tanto a livello nazionale che internazionale.

Dietro ogni dichiarazione, ogni provvedimento ci sono scontri tra interessi di classe, scontri interni alle stesse classi dominanti, conflitti di carattere capitalistico tra imprese e società concorrenti, proiezione internazionale di questo scontro internamente al mercato comune europeo e alle sue istituzioni, e sul sistema delle alleanze internazionali.

Solo due giorni fa  il politologo D'Alimonte, in un'intervista su Formiche.it rispondeva così ad una domanda sulla necessità di un governo di unità nazionale: «per far ripartire il Paese andranno prese decisioni difficili, dolorose e politicamente costose per l'assunzione delle quali sarebbe opportuna la condivisione dei rischi e delle relative responsabilità» D'Alimonte individua in Draghi la figura giusta a guidare il Paese: «ha competenze indiscutibili la cui autorevolezza e il cui prestigio sono riconosciuti ovunque, in Europa e nel mondo. E l'Italia in questo momento ha il disperato bisogno di accrescere la propria reputazione internazionale. Anche a Bruxelles ovviamente, dove i suoi rapporti e le sue capacità diplomatiche potrebbero risultare fondamentali nell'ottica di un pieno sostegno dell'Unione al rilancio dell'economia italiana». [1] Il politologo concludeva la sua intervista ringraziando Conte per il lavoro svolto, ma non ritenendolo la persona necessaria, né la sua maggioranza idonea, a guidare la fase futura.

Non è detto che lo scenario di un governo di unità nazionale si realizzerà: tutto dipenderà dalla capacità o meno di questo Governo di portare a casa i risultati che il capitale italiano pretende, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale.

D'altronde la situazione che si profila all'orizzonte non è ordinaria amministrazione. Le previsioni più recenti parlano di un PIL italiano a -8,5%, un tracollo ben superiore di quello registrato con la crisi del 2008/2009, dalla quale l'Italia non è mai realmente uscita e nella quale perse circa il 25% della produzione industriale, centinaia di migliaia di posti di lavoro mai più realmente assorbiti, con un cospicuo incremento del debito pubblico. Anche quel contesto, la cui portata fu ben minore, richiese un governo di unità nazionale con Monti alla testa, e ancora oggi paghiamo le conseguenze sociali di quelle scelte in tema di pensioni, lavoro, fiscalità, riforme strutturali e costituzionali. In un contesto del genere è naturale che le classi dominanti richiedano la maggiore condivisione politica delle scelte necessarie, specialmente se l'unità nazionale serve ad affrontare la gestione della futura crisi sociale.

La mossa di Conte è stata quella di attaccare Salvini e Meloni in diretta televisiva per la campagna condotta sul MES, approfittando delle grossolane imprecisioni della loro propaganda. Ma se il messaggio diretto che ha scaldato i cuori a sinistra è stato sbugiardare in prima serata la destra, il messaggio più insidioso è stato farsi portavoce diretto dell'interesse nazionale. Conte ha detto apertamente: chi attacca me e il Governo in questa fase delicata attacca l'Italia. Colpire la destra, con la stessa retorica della destra - quella dell'interesse nazionale e della necessità della direzione forte - atteggiandosi lui stesso e il suo esecutivo a difensore dell'interesse nazionale, sgombrando il campo dall'idea della compartecipazione nella cabina di regia dell'attuale opposizione, tacciata di agire contro l'interesse comune dell'Italia.

In questa direzione gli strumenti di comunicazione utilizzati appaiono essi stessi una prova di forza: un intervento fatto slittare intelligentemente in prima serata, privo di contraddittorio, in un misto di comunicazione istituzionale e comunicazione politica che ha tutta l'autorevolezza della prima categoria, per sfociare in tutta la sua forza nella seconda finalità.

Chi pagherà i costi sociali della crisi

Come ha giustamente spiegato in modo tecnico Domenico Moro in un articolo da poco pubblicato, il compromesso raggiunto all'Eurogruppo è sostanzialmente un nulla di fatto nell'immediato e un rimandare lo scontro alla fase futura. Un MES a condizioni ridotte per le sole spese sanitarie; il Recovery Fund un sistema di partite di giro in cui in sostanza gli stati nazionali versano e ricevono con poche variazioni sulle quote proporzionali. Un insieme di misure inoltre più dichiarate che realmente scritte nero su bianco, e che bisognerà attendere chiaramente per vedere.

Ma un altro passaggio della dichiarazione di Conte merita un'analisi attenta. Il Premier assicura che l'Italia non ricorrerà al MES perché non ne ha bisogno. Questa assicurazione solo apparentemente elide il problema.

L'enorme mobilitazione di risorse a sostegno delle imprese e le misure dichiarate dal Governo che sommate tra loro arrivano a circa 750 miliardi di euro (il 40% del PIL italiano), in un modo o nell'altro saranno spalmate sulle spalle delle classi popolari, forse non nell'immediato ma certamente nelle successive misure di rientro del debito, che l'impianto europeo prevede.  

I tentativi più blandi di settori del PD riscopertisi un po' "di sinistra" almeno per propaganda, che avevano proposto un contributo di solidarietà sui redditi sopra gli 80.000 euro sono stati per il momento bloccati. Una misura che in realtà andrebbe ad intaccare solo in parte i veri ricchi, perché ragionare sul reddito esclude tutti i grandi capitalisti da tempo residenti all'estero proprio per ragioni di convenienza fiscale, e soprattutto non intaccherebbe come necessario la consistenza dei grandi patrimoni. Nessun prelievo sui grandi patrimoni, nessun incremento di tassazione per i monopoli dell'e-commerce o della distribuzione che in queste settimane stanno facendo incassi d'oro. Nessuna misura contro il grande capitale in un momento in cui si chiedono grandi sacrifici per tutti. Nulla.

Su questo destra e sinistra si sono dimostrate del tutto d'accordo. Nelle famose proposte portate dal centrodestra a Palazzo Chigi, oltre la sbandierata misura del contributo di 1000 euro a cittadino della Meloni, la sostanza prevedeva: nessuna patrimoniale sui grandi patrimoni, zone economiche speciali per far ripartire le imprese delle regioni del nord on regime di esenzione fiscale. Un programma da sogno per i grandi capitalisti. Un'ulteriore prova del fatto che la polarizzazione sul livello europeo e internazionale dello scontro da sola significa poco e maschera il livello dello scontro di classe in atto.

Qui si arriva al centro del problema. La straordinarietà di questa fase rende necessarie misure di contenimento e rende comprensibile - persino auspicato - da settori delle classi popolari, il ricorso ad una guida forte.

La necessità di contrastare la pandemia non elude il carattere di classe delle misure in atto. La delega a gestire l'emergenza data a governi borghesi sarà sempre utilizzata prima di tutto per rappresentare gli interessi delle classi dominanti nell'emergenza. La salvaguardia di quelli collettivi è subordinata alla corrispondenza di questi alle necessità del capitale.

È ormai provato che le pressioni degli industriali sul Governo nazionale e sugli enti locali abbiano rimandato l'adozione di provvedimenti di contenimento della diffusione dell'epidemia, garantendo al virus un prezioso lasso di tempo per diffondersi in cambio di mantenere aperte le aziende e non rinunciare agli ordini già ricevuti.

Siamo divenuti in questi giorni tutti a nostro modo esperti di grafici e statistiche e sappiamo bene che tanto più è alto il punto di partenza della discesa della curva epidemica, tanto più questa sarà lunga nel tempo. Le proroghe continue alle misure contenitive di questi giorni sono il prodotto diretto della lentezza con cui si è agito all'inizio, lentezza determinata dalla necessità di tutelare gli interessi dei capitalisti. Quello che viviamo oggi è già una parte del costo sociale scaricato sulle classi popolari.

Abbiamo assistito direttamente alle pressioni di Confindustria per evitare la chiusura delle aziende. Dapprima protocolli inutili tra le parti sociali, pieni di "buone pratiche" sottoscritte anche dalle dirigenze confederali, ma nessuna misura vincolante. Poi interventi diretti per bloccare, posticipare l'entrata in vigore di provvedimenti, a dichiarazione pubblica già avvenuta (l'unico provvedimento non a sorpresa è stato quello sulla chiusura dei luoghi di lavoro non necessari). Poi misure per mettere mano alle liste per allargare le maglie dei settori "necessari".

Ma anche quando le misure sono arrivate per le imprese, è partito il balletto delle deroghe con decine di migliaia di richieste ricevute. Abbiamo largamente documentato, insieme all'attività dei lavoratori e di importanti settori sindacali, che molte più imprese rispetto a quante dovrebbero sono in attività in questo momento. Anche questo significa già da oggi scaricare i costi sociali sui lavoratori e sulle classi popolari. Mentre si punta il dito sulle passeggiate sotto casa, additate come responsabili di ogni male, si continua a produrre beni non necessari per la collettività, ma indispensabili per garantire i profitti del grande capitale. Anche questi sono già costi sociali delle crisi.

Note:

[1] https://formiche.net/2020/04/governo-draghi-ricostruzione-dalimonte/


[II parte]

Il lento scivolamento reazionario prepara il contrasto al conflitto sociale

Il secondo grande problema della delega al Governo è avallare nei fatti quel lento scivolamento reazionario della società italiana, che dietro la pretesa di rappresentare l'interesse comune nazionale, sta già mettendo in atto le misure per fronteggiare il dopo. Nulla di tutto ciò che stiamo vedendo in questi giorni è neutrale, nulla scomparirà da un giorno all'altro senza lasciare tracce e abitudini.

Nessuno di noi si sconvolge più per la presenza dei militari nelle stazioni, che da anni sono presenti per la lotta al terrorismo. Eppure solo qualche anno fa una cosa del genere non sarebbe passata inosservata, così come non lo è per cittadini di altri Paesi dove queste misure non sono previste.

Per spiegare le scelte del Governo in tempi di pandemia basta citare alcuni dati di questi giorni. Da Fine febbraio al 9 aprile sono stati effettuati complessivamente 853.369 tamponi per il Covid-19[1]. Dall'11 marzo al 10 aprile il Viminale ha dichiarato che le forze di Polizia hanno controllato complessivamente 6.482.041 persone, 2.680.801 attività commerciali, elevando 238.903 sanzioni personali[2]. Dati in continua crescita quelli dei controlli, stabili quelli dei tamponi. In Italia ci sono circa 60,36 milioni di abitanti. Il peso in percentuale è presto fatto.

La scelta su criteri di prevenzione scelti dice molto. Ad oggi solo l'1,38% della popolazione è stata sottoposta a tampone, mentre circa il 10,7% della popolazione è stato fermato dalle forze di polizia, e meno dello 0,4% è stato sanzionato. Eppure nella visione imperante il problema non è la carenza di tamponi o le misure che costringono milioni di lavoratori impiegati in settori non necessari a continuare ad uscire di casa, ma le violazioni da parte dei cittadini.

Sarebbe anche utile, ma purtroppo impossibile, fare un conto di quante di quelle violazioni siano dovute a lavoratori in nero impossibilitati a fornire giustificativi ma costretti a continuare a lavorare perché esclusi da ogni forma di misura assistenziale del Governo.

In ogni caso la macchina repressiva messa in campo in Italia si sta rodando efficientemente, ed è pronta ad affrontare la vera fase dell'emergenza per le classi dominanti che sarà quella di combattere il conflitto sociale nascente.

Già oggi la carenza di adeguate misure del Governo insieme con il prolungamento delle misure di contenimento sta portando a fenomeni spontanei di rivolte. Nelle fabbriche la mobilitazione dei lavoratori e gli scioperi mettono quotidianamente in discussione le richieste delle aziende, seppure ancora in modo parziale e non legato a livello nazionale e spesso episodico. Nelle periferie si alza la voce di interi settori esclusi da misure assistenziali prive di mezzi di sostentamento adeguato. Ma siamo solo all'inizio, ed è ancora forte l'idea che a prevalere debba essere il contrasto del virus, ma fino a quando?

Sono già diversi i segnali di allarme. Due giorni fa il Ministro dell'Interno Lamorgese ha inviato una circolare ai prefetti nella quale afferma che alle difficoltà delle imprese «potrebbero accompagnarsi gravi tensioni a cui possono fare eco, da un lato, la recrudescenza di tipologie di delittuosità comune e il manifestarsi di focolai di espressione estremistica, dall'altro, il rischio che nelle pieghe dei nuovi bisogni si annidino perniciose opportunità per le organizzazioni criminali»[3]

Singolare, ma non troppo, che il pericolo politico e sindacale venga equiparato dal Ministro dell'Interno a quello delle infiltrazioni della criminalità mafiosa e organizzata, ma assai indicativo sulle modalità con cui l'esecutivo intende liquidare le tensioni sociali.

Da questa crisi usciranno rafforzati gli elementi reazionari e ogni forma di contrasto in chiave repressiva, perché è in gioco la sopravvivenza stessa degli attuali rapporti sociali, con le classi dominanti costrette a richiedere "sacrifici" enormi ai lavoratori.

L'esempio esplicito dell'Ungheria con i pieni poteri ad Orban dimostra che l'Unione Europea, che a parole si fa paladina della democrazia e della libertà, è in realtà terreno privilegiato di coltura di istanze reazionarie, a cui - specialmente nell'Est -  ne ha costruito le premesse. Che ciò prenda forme esplicite - come in Ungheria - o si esaurisca in un rafforzamento degli attuali esecutivi, o nella forma di esecutivi di unità nazionale la scelta è solamente nell'individuazione dello strumento più utile che le classi dominanti sceglieranno di utilizzare.

In Italia al momento il consenso di cui gode l'esecutivo nella gestione della crisi non rende utile una prospettiva del genere. L'accentramento di poteri nelle mani del Governo - dai provvedimenti normativi, alla comunicazione diretta - si sposa con un consenso generale. Ma sarà così anche nelle prossime fasi, quando cioè all'emergenza del virus si paleserà in modo sempre maggiore l'emergenza della crisi sociale?

Il disegno del Governo di unità nazionale, con al vertice una personalità riconosciuta internazionalmente come Draghi potrebbe essere la strategia per affrontare la "fase 4", quella dell'emergenza sociale, quando il conto della salvezza delle classi dominanti sarà presentato ai lavoratori e agli strati popolari.

In questo scenario un esecutivo che abbia al proprio interno il più vasto schieramento di forze parlamentari, impedirebbe le scene di questi giorni, dando quella compattezza esterna per chiedere con maggior forza misure europee di copertura che oggi appaiono negate, e interna per applicare le conseguenze di quelle misure e reprimere il dissenso e la sua organizzazione.

Il potenziale calo di popolarità di un governo costretto a prolungare misure emergenziali e privo di adeguati strumenti per prevenire la rabbia sociale con provvedimenti di sostegno, sarebbe così compensato dalla compattezza del fronte politico istituzionale. Le classi dominanti attueranno questo piano solo se la crisi assumerà proporzioni tali da non poter essere riassorbita nella dialettica tra maggioranze e opposizioni omogenee.

In ogni caso il lento scivolamento reazionario di questi giorni sarà pronto e ben servito per chiunque dovrà utilizzarlo: che siano esecutivi di parte come oggi lo è quello guidato da Conte, che siano governi di unità nazionale come lo sarebbe quello futuro guidato da Draghi o da altra personalità di rilievo internazionale.

Chi governerà la crisi? È questo quindi il tema caldo che pone interi pezzi di potere italiano a spostarsi e premere nella direzione più consona ai loro interessi. Repubblica, Corriere della Sera, Sole 24 Ore, l'intero gruppo Cairo da giorni attraverso i loro mezzi trovano spazio per un soft power in favore dell'unità nazionale. Disegno che spinge a acuire la polemica sull'utilizzo dei media, sulla legittimità dei provvedimenti d'urgenza adottati dal Governo, ma che in realtà non ha nulla a che vedere con i temi presentati, ma solo con la legittimità che tale utilizzo sia fatto da un Governo parziale piuttosto che dal Governo invocato di unità nazionale.

La necessità di organizzare un blocco di classe per affrontare la crisi

Quanto a noi, avere l'ambizione storica di incidere realmente in questa fase, significa trovare il modo di superare velocemente divisioni organizzative e delineare una strategia definita per affrontare la crisi. Una strategia che con alcuni punti fermi, orientati al rovesciamento di questo sistema e facendo leva su contraddizioni materiali immediate, possa unire nel modo più vasto e coerente possibile settori sindacali e politici che oggi sono portatori parziali di questo obiettivo comune.

Si tratta quindi di contrapporre al blocco delle classi dominanti, che governerà la crisi in difesa degli interessi capitalistici, un blocco dei lavoratori e delle classi popolari che sappia collegare le azioni di resistenza inizialmente parziali e anche spontanee, in una direzione che dalla primitiva e semplice opposizione/negazione delle politiche dei governi capitalistici, giunga a mano a mano delineare un proprio programma e una propria visione autonoma di società.

Un obiettivo non da declamare ma da praticare facendolo camminare concretamente, conquistando a questa prospettiva i settori più combattivi delle lotte parziali e le posizioni necessarie nei luoghi di lavoro e in ogni settore della società per darle concretezza e attuabilità. Un piano unitario d'azione tra forze rivoluzionarie e sindacali di classe che possa dare a questo progetto massa fisica e critica, di cui oggi nessuno da solo dispone realmente, che non ha la pretesa di superare d'un colpo questioni teoriche e politiche aperte, ma di mettere quelle non necessarie e attuali in secondo piano rimandandone la discussione a momenti e fasi più avanzate nelle quali queste abbiano una effettiva e determinante importanza, concentrandosi unitariamente sugli obiettivi attuali immediati, pena la condanna all'incapacità totale di incidere in un fase chiave della storia. Un piano d'azione comune, non nuove organizzazioni, perché le questioni esistenti non si annullano, ma si fanno camminare parallelamente alla definizione di un quadro comune nei cui limiti colpire uniti, lavorando nella stessa direzione: utilizzare la crisi per acuire le contraddizioni capitalistiche, organizzare e unire i lavoratori e le classi popolari, controbattere alla propaganda e resistere alla repressione delle classi dominanti, far avanzare nelle lotte parziali una prospettiva anticapitalistica e la necessità della costruzione della società socialista-comunista.

Solo costruendo un blocco popolare coeso e organizzato sarà possibile parlare anche alle classi intermedie, agli strati precipitati verso il basso dalla crisi impedendone la saldatura reazionaria con le classi dominanti. Ma se la classe operaia e gli strati popolari non avranno massa percepibile e visibile, se i loro soggetti politici di riferimento non saranno considerati come autorevoli e capaci in concreto di attuare una trasformazione generale della società, quella saldatura reazionaria sarà inevitabile. Ogni tentativo di evitarla semplicemente modificando le proprie parole d'ordine in un contesto di rapporti di forza sfavorevoli, cedendo sui principi e sulla prospettiva, otterrà l'esito opposto di aiutare a portare consensi tra le classi popolari alle ipotesi reazionarie, prima fra tutte quella che nella difesa esplicita o implicita dell'interesse nazionale, della patria -  non in una colonia da liberare, ma in un paese imperialista! -  trova da sempre il terreno migliore per allineare i lavoratori dietro false bandiere e spingerli a sposare il disegno delle classi dominanti.

Forse tutto questo non sarà in grado di conquistare quel cambiamento di sistema necessario, perché i rapporti di forza e in particolare l'ememento soggettivo politico-organizzativo, sono del tutto sfavorevoli. Ma potrà comunque avere l'effetto non trascurabile in termini storici, di riaprire nei fatti un'opzione che oggi appare impraticabile. Cosa non accaduta nella crisi del 2008/09 che anzi ha visto morire i residuati della sinistra radicale, sotto il peso delle loro contraddizioni e del loro opportunismo, sprecando un'occasione altrettanto storica.

Tutti gli economisti e gli analisti concordano che l'attuale crisi sarà molto maggiore di quella precedente. Le crisi negli ultimi anni si susseguono e il tratto determinante è che ogni "ripresa" nel nostro Paese non riesce per ragioni strutturali a tornare al punto di partenza della crisi, attestandosi ben più in basso. Le contraddizioni internazionali si amplificano, in lotte che stanno rivolgendo gli equilibri mondiali, con l'egemonia economica, politica e culturale degli Stati Uniti che si riduce.

È tempo di ergersi sopra le questioni di cortile, per vestire appieno i panni del ruolo storico che ci compete.

Note:

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-italia-news-ultime-notizie-aggiornamenti-9-aprile-AD2tHIJ

[2] https://www.interno.gov.it/it/coronavirus-i-dati-dei-servizi-controllo

[3] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Lamorgese-circolare-ai-prefetti-rischio-gravi-tensioni-presidiare-legalita-possibili-focolai-estremisti-ministra-interno-d2746959-572a-4ae3-81ab-5568dfbf307e.html


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.