Giolitti, il presidente del Consiglio corrotto, autoritario e liberista dei primi anni del Novecento, fu definito dal riformista Salvemini "il ministro della malavita" per aver mantenuto il Meridione in una condizione di grande arretratezza e aver usato i malavitosi come i mazzieri nelle campagne del sud.
Se a quei tempi era un solo primo ministro a venire bollato con il marchio della delinquenza, oggi è un intero governo e la sua politica che meriterebbero tale definizione.
Osserviamo i fatti.
Il governo Meloni si regge con i voti di un partito il cui capo indiscusso è stato per decenni al centro di inchieste sulla mafia.
I partiti di maggioranza che lo sostengono hanno fra le loro file decine e decine di indagati e condannati per corruzione, finanziamenti illeciti, truffe, frodi, riciclaggio, peculato, etc. Molti di questi sono parlamentari.
Uno dei primi biglietti da visita del governo in carica è stato l'annunciato aumento del tetto al contante, a favore del lavoro nero e della economia sommersa in gran parte gestita dalle organizzazioni criminali.
La legge finanziaria è stata un preciso segnale a chi evade le tasse e a chi vorrebbe farlo, a chi si "dimentica" di pagare le cartelle, a chi non vuole accettare pagamenti con il Pos...
L'attricetta di Palazzo Chigi ha definito "tregua fiscale" questa politica, per evitare di parlare di condoni per padroni e padroncini. Ma la sostanza non cambia.
Poi è venuta la liberalizzazione dei subappalti, che senza dubbio favorisce la mafia presente nella catena dei subappalti di interi settori (cantieristica, edilizia, etc.) Anche gli stolti possono capire a cosa porta l'aumento fino a 500 mila euro del tetto per gli affidamenti diretti, senza gara.
Con la deregulation imposta dal governo Meloni e il depotenziamento delle autorità anticorruzione, le grandi aziende prenderanno lavori pubblici in subappalto, per poi subappaltare ad altre aziende che a loro volta subappalteranno con il criterio del ribasso, aumentando lo sfruttamento, gli infortuni sul lavoro e l'infiltrazione delle organizzazioni criminali.
Si espanderà anche la c.d. collusione partecipata, fenomeno che coinvolge le più grandi imprese italiane, soprattutto quelle impegnate nel settore dei lavori pubblici.
Questi monopoli scendono a patti con le mafie nei territori dove operano, concedendo appalti e pagando una sorta di "assicurazione" per continuare a fare profitti indisturbati.
Non ci vuole molto a capire che l'approvazione governativa del decreto sul Ponte di Messina rischia seriamente di attivare la rete di interessi mafiosi che si concentrano sulle grandi opere inutili e dannose, per arraffare miliardi.
La stessa volontà governativa di spendere ad ogni costo tutti i fondi del PNRR comporta un "magna-magna finché c'è trippa" con appalti senza controlli, con grandi opportunità di inserimento per la criminalità organizzata.
Non è finita qui. L'abolizione della protezione speciale dei migranti porterà inevitabilmente all'aumento dei cosiddetti clandestini senza tutele e senza contratti di lavoro regolari.
Questa prosecuzione in peggio dei famigerati decreti Minniti e Salvini chi favorirà? Senza dubbio il caporalato e la mafia.
Anche l'abolizione delle misure di contrasto alla povertà e di sostegno ai consumi interni (reddito di cittadinanza) servirà a mettere nelle mani delle organizzazioni criminali un esercito di disoccupati e poveri arruolabili con "bonus" di poche decine di euro al giorno.
A ciò si accompagna l'autonomia differenziata che darà maggiori spazi al "welfare sociale" mafioso nelle regioni meridionali, finalizzato ad ottenere consenso sociale e fagocitare aziende di diversi settori.
Dunque il governo Meloni non è solo il governo dei "cinque monopoli di stato" (Eni, Enel, Leonardo, Terna e Poste) che beneficiano di gran parte dei fondi del PNRR e delle misure antioperaie e guerrafondaie adottate a Palazzo Chigi.
Con la politica di questo governo un sesto monopolio, la Mafia S.p.a., troverà condizioni più favorevoli per i suoi traffici.
Il patto osceno presente da sempre fra potere politico e mafia si rinnova con la complicità della UE. È un rapporto organico, indissolubile, intangibile in regime borghese, come dimostra per ultimo la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha calato il sipario su una disputa tra fazioni borghesi (la c.d. trattativa Stato-mafia).
La classe dominante non vuole la sconfitta della mafia, ma vive in simbiosi con essa, al tempo stesso che militarizza la società col pretesto di combatterla. Ha bisogno della mafia come mezzo per accumulare e iniettare capitale nei circuiti dell'economia, come agenzia che fornisce "servizi" a costi stracciati e come forza controrivoluzionaria.
Così come i governi borghesi fanno comodo alla malavita, la malavita ha sempre fatto comodo alla borghesia e ai suoi governi.
Il sistema mafioso è funzionale al capitalismo monopolistico caratterizzato da parassitismo e putrescenza. La crescente implicazione della mafia nell'economia e nella politica, la sua aumentata capacità di penetrazione e potenza finanziaria sono una manifestazione del rafforzamento del carattere parassitario della proprietà capitalistica e dell'aumento della ricchezza delle classi proprietarie e della miseria del proletariato.
Con le misure adottate il governo di estrema destra guidato dalla Meloni aumenterà il già alto livello di compenetrazione fra Stato, mafia ed economia capitalistica.
La lotta per sconfiggere nelle piazze e nelle fabbriche questo governo di malfattori politici è allo stesso tempo lotta contro le organizzazioni criminali, lotta per una società in grado di assicurare lavoro, casa, servizi sociali, pensioni dignitose, eliminando disoccupazione e povertà, attuando una profonda e radicale trasformazione economica, sociale, politica, culturale e morale che relegherà i padroni e i mafiosi nel museo degli orrori della società basata sullo sfruttamento dell'essere umano sull'essere umano
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