www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 26-07-23 - n. 873

La memoria del G8 tra processi e troppi punti interrogativi

Mario Di Vito | ilmanifesto.it

23/07/2023

Il filone principale contro i manifestanti è stato il cosiddetto «processo ai 25». L'indagine, cominciata già nell'estate del 2001, mirava a identificare quanti più manifestanti da mettere insieme in un calderone giudiziario protetto dalle insegne del reato di devastazione e saccheggio, eredità del diritto penale fascista senza eguali nei codici dei paesi democratici. È che per un'indagine su tafferugli e scontri calza a pennello: per essere accusati di una cosa del genere, infatti, non occorre necessariamente aver devastato o saccheggiato, ma basta essere stati presenti mentre altri lo facevano. Fu così che venne dato mandato alle polizia di tutta l'Italia di identificare il maggior numero possibile di volti dai video e dalle foto a disposizione. Per la procura di Genova, c'era un grande disegno alla base dei disordini avvenuti per le strade del capoluogo ligure: una parte dei manifestanti, infatti, avrebbe approfittato delle violenze commesse da altri e, dunque, andava considerata corresponsabile davanti alla legge.

In un anno e mezzo di lavoro si arrivò così a quaranta nomi e, il 4 dicembre del 2002, si riuscì a procedere con 23 arresti. L'indagine però non era ancora finita e agli atti vennero messe diverse intercettazioni effettuate in carcere, con la chiusura del fascicolo che arriverà solo nel giugno del 2003. Il processo di primo grado comincerà poi il 2 marzo del 2004 e tirerà avanti fino al dicembre del 2007. In questo arco di tempo le udienze si sono consumate per lo più a colpi di testimonianze delle forze dell'ordine presenti all'epoca dei fatti e tanti tanti video. Il conto alla fine fa 110 anni di carcere per 24 imputati (su 25 richieste di condanna): dieci persone condannate per devastazione e saccheggio, tredici per danneggiamento e uno per lesioni. Gli atti di alcune testimonianze di poliziotti e carabinieri vengono inoltre trasmessi ai pm perché valutino un'accusa di falsa testimonianza, ma non ne seguirà niente.

Il processo d'appello va in scena nell'ottobre del 2009 e in quindici vengono prosciolti, un po' per intervenuta prescrizione e un po' perché una carica dei carabinieri (quella famosa di via Tolemaide) viene giudicata illegittima e, di conseguenza, la reazione della piazza fu legittima difesa. Per i dieci condannati residui, però, le pene vengono aumentate: 98 anni e 9 mesi in totale. Nell'estate del 2012, infine, la Cassazione conferma il reato di devastazione e saccheggio per tutti gli imputati, conferma due delle condanne dell'Appello, sconta qualche mese ad altre tre, ne annulla senza rinvio una e ne rimanda cinque alla Corte di Genova perché rivaluti l'attenuante di aver agito «per suggestione di una folla in tumulto», con l'entità della pena che verrà poi rivista al ribasso.

Così comincia la caccia ai condannati: nel 2013 Francesco Puglisi viene arrestato in Spagna ed estradato, nel 2017 c'è l'arresto in Svizzera di Luca Finotti, l'8 agosto del 2019, in Francia, è la volta di Vincenzo Vecchi, che però vince tutti i ricorsi contro la sua consegna all'Italia.
C'è poi un altro processo di certo meno famoso di quello ai 25 ma non meno importante: l'inchiesta contro il «Sud Ribelle», cominciata nel 2000 e poi fiorita dopo i tafferugli avvenuti prima al global forum di Napoli del marzo 2001 e poi al G8 di Genova qualche mese dopo. Le accuse, tutte a base di associazione sovversiva e associazione terroristica, portarono all'arresto di 20 persone il 15 novembre del 2002. A processo ci andranno in tredici: tutti assolti in primo grado nel 2008, in Appello nel 2010 e in Cassazione nel 2012.

Per quello che riguarda l'operato delle forze dell'ordine, definito ben oltre i limiti della legalità e dell'uso legittimo della forza da Amnesty International e pure dal parlamento europeo, i procedimenti giudiziari sono stati molto meno tortuosi di quelli contro i manifestanti. Poche condanne, nessuna di queste da considerare pesante o esemplare, e tanta gente che ha fatto carriera, come se a Genova non fosse successo nulla. Anzi, come se a Genova fosse andato tutto bene, talmente tanto da distribuire premi per l'eccellente condotta.

E se alcuni stati processati (e anche condannati) per il massacro della scuola Diaz e le torture della caserma di Bolzaneto, quanto accaduto il pomeriggio del 20 luglio in piazza Alimonda a Genova non è mai arrivato in un'aula di giustizia. Un'inchiesta, per la verità, c'è stata pure, ma, dopo aver tirato in ballo tre manifestanti per tentato omicidio, i due carabinieri presenti nel Defender da cui partì il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani sono stati archiviati il 5 maggio del 2003. Mario Placanica, l'ausiliario che sparò il colpo mortale, verrà chiamato a testimoniare al processo contro i 25. Ma non risponderà mai ad alcuna domanda.


Heidi Giuliani: «I movimenti che erano a Genova non sono morti»

Mario Di Vito

23/07/2023

Ogni anno, il 20 luglio, Haidi Giuliani continua ad andare in piazza Alimonda, dove suo figlio Carlo è stato ucciso dal proiettile sparato dalla pistola di un carabiniere. Non è sola. Con lei ci sono sempre il marito Giuliano e la figlia Elena. E le centinaia di persone che continuano a non voler dimenticare.

Heidi Giuliani, questo è il primo anniversario del G8 senza manifestanti in carcere o sotto processo.

È incredibile. Chi in quei giorni scese in piazza era gente che semplicemente voleva esprimere un'opinione diversa rispetto a quella del potere. Per me questo è un argomento difficile e doloroso, ma voglio dire che Genova non è mai finita. C'è stata una persecuzione continua che va avanti ancora adesso per altri che magari non c'erano a quelle manifestazioni ma ne hanno fatte altre. Mi impressiona che tante persone, assolutamente non colpevoli di reati gravi, vengano inseguite per anni e anni, mentre chi uccide, devasta e opprime continua a farlo senza essere disturbato. Tanti in effetti hanno fatto carriera, e non parlo solo dei poliziotti.

Ventidue anni dopo come vede lo stato del dibattito pubblico sui fatti di Genova?

Proprio in questi giorni sto leggendo un libro uscito da poco, di Lisa Riccetti, s'intitola Il linguaggio della tensione. La manipolazione mediatica del G8 di Genova. Ecco, io penso che questa manipolazione vada avanti ancora oggi contro tutti quelli che provano a ribellarsi. Penso alla Val di Susa, agli operai della Gkn. Mi sembra che si faccia di tutto per negare il diritto al dissenso. E mi viene da dire povera la nostra costituzione, stracciata prima ancora di essere applicata.

L'eredità di Genova però non è solo nei processi e nelle inchieste giudiziarie.

Certo, i movimenti che erano a Genova non sono di certo morti. C'è chi salva i migranti in mare, prima dicevamo della Val di Susa e della Gkn, e ci sono tanti altri esempi possibili. Lo abbiamo detto l'altro giorno in piazza Alimonda: c'è bisogno di resistere e mi pare che tanti movimenti nati dopo il G8 lo stiano facendo.

In certi ambienti, per così dire, liberali si traccia una linea di continuità tra i manifestanti di Genova e i sovranisti dei giorni nostri. La tesi è che entrambi sono contro la globalizzazione e dunque sono assimilabili. Cosa ne pensa?

È anche questa manipolazione mediatica. Intanto vorrei dire che «no global» mi è sempre parso un termine sbagliato. Cioè a me sembra che chi ha manifestato del G8 fosse molto globale, diciamo. Certe idee fanno parte del linguaggio costruito contro i movimenti, una falsità utile per chi vuole cambiare il significato di quello che è successo.

Cosa resta, dunque, di quelle giornate?

Molti giovani non sanno nulla di quello che è accaduto durante il G8 del 2001. Mi spiace dirlo ma i giornali e le televisioni non ne parlano. C'è di sicuro chi si informa, ma noto molto disordine. Sarebbe interessante sapere perché c'è questa volontà di non informare. Qualche giorno fa ascoltavo Fahrenheit su Radio3 e Loredana Lipperini credo abbia fatto la domanda giusta: perché non se ne vuole parlare? Forse perché è stato un punto di svolta.


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