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- osservatorio - lotta per la pace - 06-11-09 - n. 294
da Claudia Cernigoi
7 Novembre: festeggiamo la rivoluzione, foriera di pace
La Rete “Disarmiamoli” (che tempo fa ha raccolto firme contro la presenza delle basi militari USA in Italia) ha lanciato un appello (che accogliamo) per scendere in piazza il 4 novembre (“Giornata delle forze armate”) contro il militarismo, contro le missioni di guerra, per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
La Guerra in Afghanistan costa in euro 3 milioni al giorno per mantenere in stato di occupazione militare circa 3000 uomini con gli strumenti di morte e distruzione tecnologicamente avanzati. In moneta afghana ciò che l’Italia ha speso dal 2001 per la guerra avrebbe potuto produrre 600 ospedali e 10.000 scuole – secondo i dati forniti da Gino Strada.
In Italia con 3 milioni di euro al giorno si potevano risolvere in tutte le regioni i problemi dei rischi idrogeologici e del riassetto territoriale.
Il piano di acquisto e assemblaggio – a Novara – dei cacciabombardieri atomici F35 prevede la spesa di 13 miliardi di euro a rate fino al 2026 per la coproduzione e l’acquisto di 131 aerei da guerra ribattezzati “dalle ali d’oro”.
Questo ci richiama alla memoria quanto sosteneva il nostro concittadino Diego de Henriquez, che aveva iniziato una collezione di materiale polemologico (ossia di tipo militare) allo scopo di istituire un “museo di guerra per la pace”. In una intervista rilasciata circa quarant’anni fa de Henriquez spiegava che lo scopo della sua raccolta di macchinari di guerra era volta a dimostrare quante risorse ed energie venissero sprecate dagli Stati nella ricerca di sempre più sofisticati e costosi apparecchi destinati a distruggere, invece di tendere allo sviluppo delle conoscenze per un progresso di pace, per far vivere meglio l’umanità.
De Henriquez, sulla cui morte misteriosa non è mai stata fatta chiarezza, è ancora oggi un personaggio considerato “scomodo” a Trieste; è una delle personalità cittadine a cui non è stata mai intitolata una via (evidentemente considerato dalle autorità meno meritevole del fascista volontario franchista in Spagna Mario Granbassi, o dello squadrista neofascista Almerigo Grilz, od anche del velista Agostino Straulino, cui è stata invece dedicata una via.
Ma ripensiamo anche alle parole del medico svedese (naturalizzato britannico) Axel Munthe, che nella sua “Storia di San Michele” scrisse, ottant’anni fa:
“Perché lo stato spende centinaia di volte più denaro nell’insegnare l’arte di uccidere che nell’insegnare l’arte di guarire?”.
Quindi scendiamo in piazza il 4 novembre per dimostrare la nostra contrarietà allo spreco di risorse finalizzato alla distruzione di altri popoli e nazioni, cioè le spese militari; ma siamo in piazza anche per dire che ci dissociamo da tutta la propaganda militarista e guerrafondaia che il ministro della guerra (o della difesa, ci confondiamo sempre…) e tutto il governo mettono in mostra in occasione della “giornata delle forze armate”; siamo in piazza per dire, parafrasando Moretti, “qualcosa di antimilitarista” mentre tutto attorno pare non esistere alcuna seria opposizione al governo ed alle sue scelte, sia quelle in politica internazionale ed interna, sia in economia e di tipo culturale.
E dato che in questi giorni aspettiamo a Trieste l’arrivo della marcia mondiale della pace, che culminerà in una manifestazione in piazza Unità il 7 novembre, che è anche l’anniversario della Rivoluzione bolscevica, noi ricordiamo che una delle prime iniziative del governo rivoluzionario, datata 8 novembre, fu il “Decreto sulla pace” (che pubblichiamo quasi integralmente nella pagina successiva e che vi invitiamo a leggere con attenzione per il suo contenuto ancora oggi condivisibile).
Troviamo estremamente significativo che uno dei primi pensieri dei rivoluzionari leninisti, non appena preso il potere, sia stato quello di cercare la pace, di uscire dalla guerra scatenata dall’imperialismo che in tre anni aveva provocato così tante tragedie, morti, fame, distruzione, e dalle cui conseguenze l’Europa non riuscì a liberarsi se non dopo avere vissuto il dramma del nazifascismo ed un’altra guerra ancora più feroce della precedente.
Così saremo in piazza anche il 7 novembre per la pace, ricordando che pace non è solo assenza di guerre, pace significa che devono esserci giustizia e libertà per i popoli, non esistere più fame e sfruttamento ma diritti civili e garanzie sociali per i cittadini: in una parola rivoluzione.
Decreto sulla pace.
26 ottobre (8 novembre). Pubblicato su Izvestia del CEC, n 208, 27 ottobre 1917 e Pravda, n. 171, 10 novembre (28 ottobre) 1917.
Il governo operaio e contadino, creato dalla rivoluzione il 24-25 ottobre e forte dell’appoggio dei soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, propone a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica.
Il governo considera come pace giusta e democratica, alla quale aspira la schiacciante maggioranza degli operai e delle classi lavoratrici di tutti i paesi belligeranti, sfinite, estenuate e martoriate dalla guerra, la pace che gli operai e i contadini russi esigevano nel modo più deciso e tenace dopo l’abbattimento della monarchia zarista, una pace immediata senza annessioni (cioè senza la conquista di terre straniere, senza l’annessione forzata di altri popoli) e senza indennità. Questa è la pace che il governo della Russia propone a tutti i popoli belligeranti di concludere immediatamente, dichiarandosi pronto a compiere senza il minimo indugio, subito, tutti i passi decisivi fino a quando tutte le proposte di pace verranno definitivamente ratificate dalle conferenze, investite di pieni poteri, dei rappresentanti del popolo di tutti i paesi e di tutte le nazioni.
Per annessione o conquista di terre straniere, il governo intende - conformemente alla concezione giuridica della democrazia in generale e delle classi lavoratrici in particolare - qualsiasi annessione di un popolo piccolo o debole ad uno Stato grande o potente senza che quel popolo ne abbia espresso chiaramente, nettamente e volontariamente il consenso e il desiderio, indipendentemente dal momento in cui quest’annessione forzata è stata compiuta, indipendentemente anche dal grado di progresso o di arretratezza della nazione annessa forzatamente o forzatamente tenuta entro i confini di quello Stato e, infine, indipendentemente dal fatto che questa nazione risieda in Europa o nei lontani paesi transoceanici.
Se una nazione qualunque è mantenuta con la violenza entro i confini di un dato Stato, se, nonostante il suo espresso desiderio, - poco importa se espresso nella stampa, nelle assemblee popolari, nelle decisioni dei partiti o attraverso sommosse e insurrezioni contro il giogo straniero - non le viene conferito il diritto di votare liberamente, dopo la completa evacuazione delle truppe della nazione dominante o, in generale, di ogni altra nazione più potente, e di scegliere, senza la minima costrizione, il suo tipo di ordinamento statale, la sua incorporazione è un’annessione, cioè una conquista e una violenza.
Il governo ritiene che continuare questa guerra per decidere come le nazioni potenti e ricche devono spartirsi le nazioni deboli da esse conquistate sia il più grande delitto contro l’umanità e proclama solennemente la sua decisione di firmare subito le condizioni di una pace che metta fine a questa guerra in conformità delle condizioni sopraindicate, parimenti giuste per tutti i popoli senza eccezione.
Nello stesso tempo il governo dichiara di non dare affatto il carattere di un ultimatum alle condizioni di pace sopra indicate, di consentire cioè ad esaminare tutte le altre condizioni di pace, insistendo soltanto perché esse siano presentate il più rapidamente possibile da un qualsiasi paese belligerante, con la più completa chiarezza e con l’assoluta esclusione di ogni ambiguità e di ogni segretezza.
Il governo abolisce la diplomazia segreta ed esprime, da parte sua, la ferma intenzione di condurre tutte le trattative in modo assolutamente pubblico, davanti a tutto il popolo (…).
Il governo provvisorio, operaio e contadino della Russia, indirizzando queste proposte di pace ai governi e ai popoli di tutti i paesi belligeranti, si rivolge anche e specialmente agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell’umanità, dei più potenti fra gli Stati che partecipano alla guerra attuale: Inghilterra, Francia e Germania. Gli operai di questi paesi hanno reso i più grandi servigi alla causa del progresso e del socialismo con i grandi esempi del movimento cartista in Inghilterra, delle numerose rivoluzioni di importanza storica mondiale compiute dal proletariato francese e, in-fine, della lotta eroica contro le leggi eccezionali in Germania e del lavoro, lungo, ostinato, disciplinato, per la creazione di organizzazioni proletarie di massa in Germania, che è un modello per gli operai di tutto il mondo. Tutti questi esempi di eroismo proletario e di creazione storica ci danno la garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno i compiti che stanno ora davanti a loro per la liberazione dell'umanità dagli orrori della guerra e dalle sue conseguenze, giacché questi operai, con la loro attività molteplice, risoluta, devota, energica, ci aiuteranno a far trionfare la causa della pace e, ad un tempo, la causa della liberazione delle masse lavoratrici e sfruttate da ogni schiavitù e da ogni sfruttamento.
(…)
Il nostro appello deve essere rivolto tanto ai governi quanto ai popoli. Noi non possiamo ignorare i governi perché altrimenti si ritarderebbe la possibilità di concludere la pace, e un governo popolare non può far questo. Ma non abbiamo nessun diritto di non rivolgerci contemporaneamente anche ai popoli. Dappertutto i governi e i popoli sono in disaccordo, e perciò noi dobbiamo aiutare i popoli a intervenire nelle questioni della guerra e della pace. (…)
I governi e la borghesia faranno di tutto per unirsi e soffocare nel sangue la rivoluzione operaia e contadina. Ma tre anni di guerra hanno sufficientemente istruito le masse. C’è un movimento sovietico anche in altri paesi, c’è l’insurrezione nella flotta tedesca, soffocata dagli ufficiali del carnefice Guglielmo. Infine bisogna ricordare che non viviamo nel cuore dell’Africa ma in Europa, dove si viene a saper tutto rapidamente.
Il movimento operaio avrà il sopravvento e aprirà la via della pace e del socialismo.