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- osservatorio - lotta per la pace - 26-01-10 - n. 303
Crescono le adesioni alla Campagna BDS: un’ “altra comunità internazionale” è al fianco della Palestina
di Mila Pernice, Forum Palestina
22/01/10
A 5 anni dall’appello che la società civile palestinese ha lanciato al mondo chiedendo di intervenire sui gangli economici, culturali, politici che tengono lo Stato di Israele strettamente ancorato agli interessi del capitale internazionale, è evidente che si sta sviluppando e diffondendo un livello di pressione che, se sporadicamente e poco incisivamente coinvolge pochi rappresentanti istituzionali, che pure avrebbero la possibilità di applicare le sanzioni, si mostra ben più contagioso all’interno delle società, che hanno la possibilità di ricorrere al boicottaggio. Non è un caso se il documento finale della Gaza Freedom March, Cairo Declaration, stilato su iniziativa della delegazione sudafricana e sottoscritto da tutte le altre delegazioni internazionali che erano al Cairo tra il 27 dicembre 2009 e il 2 gennaio 2010, si preoccupi di rilanciare con convinzione la Campagna BDS per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni verso l’economia di guerra israeliana.
Un’economia “fortemente dipendente dal commercio con l’estero”[1], come l’ha definita il Wto nel 2006, con delle potenziali vulnerabilità rispetto alle quali è possibile attivare una serie di pressioni a tutti i livelli, capaci di mettere a nudo e contrastare i presupposti su cui si basa il sistema coloniale israeliano e con esso le sue politiche di genocidio e di aparteheid, di occupazione della terra palestinese e di sfruttamento delle sue risorse.
E’ su questo punto che dalla Palestina prosegue l’invito alla società civile internazionale di mantenere alta l’attenzione: lo ha fatto recentemente il Progressive Labor Action Front palestinese che ha invitato tutte le organizzazioni sindacali internazionali e arabe, le organizzazioni e le associazioni dei lavoratori, in particolare l'Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Confederazione Internazionale dei Sindacati Indipendenti, a boicottare l’Histadrut, l’organizzazione sindacale sionista. In una dichiarazione del 4 gennaio 2009, il PLAF ha sottolineato che “l'Histadrut non è un normale sindacato ma una parte integrante dello Stato di occupazione razzista e della sua macchina militare”[2].
Del resto negli ultimi anni il terreno sindacale è stato particolarmente fertile per la Campagna BDS, soprattutto in Sud Africa, in Irlanda e in Gran Bretagna, dove il TUC (Trade Unions Council), che riunisce i sindacati rappresentanti di 6 milioni e mezzo di lavoratori del Regno Unito, ha votato nel settembre 2009 per l’impegno a premere sul governo inglese per la fine di ogni commercio di armi con Israele e per sostenere le iniziative per la sospensione dell’accordo commerciale fra Israele e l’Unione Europea, incoraggiando a disinvestire dalle aziende che traggono profitto dall’“occupazione illegale israeliana di Gaza e della West Bank”[3]. Nel nostro paese, lo scorso 16 gennaio, anche i sindacati di base hanno promosso a Vicenza la mobilitazione contro la presenza delle aziende israeliane invitate alla Fiera First dell’oro e dei diamanti: un segnale importante, che lascia intendere che anche in Italia il settore sindacale potrà farsi concretamente promotore di un’efficace campagna di pressione sulle politiche filo-israeliane dei governi nostrani.
E’ proprio dal mondo del lavoro e della società civile che, anche nel nostro paese, viene promosso il boicottaggio delle merci e delle aziende israeliane o che hanno rapporti commerciali con aziende israeliane, come la Carmel-Agrexco, che trae profitto dalle coltivazioni dell’apartheid esportando frutta e verdura prodotti in Israele e nelle colonie israeliane in Cisgiordania, come le compagnie di trasporti Veolia e Alstom, i prodotti farmaceutici israeliani della Theva, i cosmetici L’Oreal, il caffè Lavazza.
Il boicottaggio - anche quello culturale, come contrasto sia al sistema della propaganda sionista sia ai rapporti di collaborazione nel settore culturale e della ricerca scientifica tra università e aziende - può essere, in quanto pratica non violenta e potenzialmente di massa, uno strumento efficace di pressione contro il sistema coloniale di oppressione della Palestina e contro chi ne è complice. Tale pratica comincia ad avere un peso anche sul livello della repressione contro il movimento di solidarietà internazionale con la Palestina, come dimostra il caso dell’attivista della rete francese Europalestine, Sakina Arnaud, che il 10 febbraio sarà processata a Bordeaux perché accusata di odio razziale per aver propagandato il boicottaggio delle merci israeliane in un supermercato della Carrefoir. Così come non è un caso, quantomeno paradossale, se persino il generale Avi Zamir, comandante del dipartimento Risorse Umane delle forze armate di Israele, ha proposto di promuovere una campagna di boicottaggio contro i prodotti reclamizzati da Bar Refaeli, top model israeliana famosa nel mondo, “colpevole”, dal punto di vista “etico” più che legale[4], di essersi sottratta al servizio militare obbligatorio in patria.
Di tutt’ altri contenuti l’adesione alla Campagna BDS contro Israele che i movimenti internazionali di solidarietà con la Palestina (in Italia ha appena aderito la Rete Eco degli Ebrei contro l’occupazione, in linea con l’European Jews for a Just Peace, di cui fa parte) pongono all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, dei governi e degli organismi internazionali e sovranazionali: come ha fatto la Cairo Declaration che non dimentica che l’oppressione della Palestina trova “fondamentalmente origine nell'ideologia sionista”, non dimentica che “i nostri governi hanno dato ad Israele diretto supporto economico, finanziario, militare e diplomatico, consentendogli di agire con impunità” e, infine, non dimentica la Dichiarazione ONU dei Diritti dei Popoli Indigeni del 2007.
In un passaggio fondamentale di quest’ultima si esprime la preoccupazione “per i popoli indigeni che hanno sofferto di ingiustizie storiche in seguito, fra gli altri eventi, alla colonizzazione e all'espropriazione delle loro terre, dei loro territori e delle loro risorse, impedendo così loro di esercitare, in particolare, il loro diritto allo sviluppo nel rispetto delle proprie esigenze e dei propri interessi”[5]. E’ la stessa preoccupazione che fonda l’impegno politico di migliaia di persone che nel mondo esprimono concretamente il sostegno alla lotta di liberazione del popolo palestinese, e lo dimostrano le crescenti adesioni alla Campagna BDS contro le politiche, l’economia e la propaganda di guerra israeliane.
Note
Da I Quaderni di Oltre Confine - “RIFLETTORI SU GAZA - Quale futuro per la Palestina?” del 22/1/2010.
[1] D. Carminati, A. Tradardi, “Boicottare Israele: Una pratica non violenta”, Ed. Derive Approdi, p. 56., Ed. re Israele: una pratica non violenta"
[2] www.pflp.ps.
[3] http://www.boicottaisraele.it/files/index.php?c3:o54:f0.
[4] http://www.forumpalestina.org/news/2010/Gennaio10/14-01-10GeneraleIsraelianoBoicottaggio.htm.
[5] http://www.ethnorema.it/pdf/numero%203/09.%20DOCUMENTI.pdf
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