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- osservatorio - mondo multipolare - 25-07-09 - n. 284
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura di F.R. del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Le sfide di tre paesi andini di fronte alla Restaurazione Conservatrice in America Latina
Venezuela, Ecuador e Bolivia: Neoliberalismo contro Neosocialismo
Diego Ghersi
APM
22/07/2009
Il golpe che in Honduras ha deposto il legittimo presidente Manuel Zelaya, è suonato come un campanello d’allarme regionale, in particolare per quei paesi di cui i governi si riconoscono nel cosiddetto “Socialismo del XXI secolo”.
A fronte della controffensiva neoliberale, il governo bolivariano del Venezuela può contare su un considerevole sostegno popolare, le rendite petrolifere e un marcato appoggio delle sue forze armate.
Il consenso popolare lo si evince dal plebiscito del 15 febbraio 2009, quello voluto da Chavez per la modifica della Costituzione che ha ottenuto il favore del 54,36 contro il 45,63 per cento dell’opposizione.
Quel sostegno elettorale ha reso possibile al presidente, ai governatori e ai sindaci la possibilità di rielezione indefinita e continua. Il fatto che questo risultato sia giunto dopo 10 anni di governo di Chavez, la dice lunga sulla fiducia degli elettori.
Chavez ha dichiarato che quella vittoria apre il "terzo ciclo storico della Rivoluzione Bolivariana, dal 2009 al 2019", che si differenzia dai due cicli precedenti, collocati rispettivamente dal '99 al fallito golpe del 2002 (primo ciclo) e da quel momento al febbraio 2009 (secondo ciclo). In questa nuova fase, il governo bolivariano dovrà affrontare la caduta del prezzo del petrolio, quindi la diminuzione della capacità di manovra del potere presidenziale.
L’opposizione, che cerca di rifarsi dalla sconfitta elettorale, il 6 giugno ha annunciato la creazione del Tavolo d’Unità Democratica, rappresentato in tutte le città del paese, con l’obiettivo di scalzare il governo in carica.
Il lider democristiano Ignacio Planas, del partito d’opposizione Comitato di Organizzazione Politica Elettorale Indipendente (COPEI) ha riconosciuto che l’unità è nata da un grande sforzo di consenso, dialogo e discussione, alla ricerca di un’istanza permanente che affronti il governo vigente.
L’alleanza cercherà di approfondire le sue critiche sulle presunte violazioni dei diritti umani e la distruzione del sistema produttivo, la politica carceraria, la corruzione governativa, l’inflazione, "la conflittualità che impedisce il dialogo politico", la dipendenza dal potere giudiziario e aspetti importanti della politica estera.
Il governo affronta la lotta per il potere esibendo i risultati positivi in merito all’alfabetizzazione, la riduzione della povertà, la sanità, la sicurezza sociale, lo sviluppo economico, la sovranità alimentare, la diminuzione del debito pubblico, l’investimento in scienza e tecnologia, la quadruplicazione delle riserve monetarie.
L’arco dell’opposizione, in cui troviamo anche la Chiesa Cattolica venezuelana, fa leva sui media privati, denunciati dal governo come media di disinformazione e contro i quali, in questa terza fase, il presidente Hugo Chávez continuerà la politica di cancellazione delle licenze di emissione, di cui il caso più risonante fu quello della televisione privata RCTV, molto critica sul governo, che nel 2007 vide negarsi il rinnovo della licenza.
Il Parlamento venezuelano ha approvato il resoconto del responsabile della Commissione Nazionale di Telecomunicazioni (Conatel), Diosdado Cabello, in cui si affermava: "27 famiglie posseggono più del 32% dello spettro radiotelevisivo, il che dimostra l’esistenza di un'oligarchia mediatica".
L’importanza della decisione parlamentare sta nel consenso alle misure volute dal governo nazionale per "garantire la democratizzazione radiotelesiviva, la pace, la tranquillità e la salute mentale del popolo venezuelano".
In Ecuador, il panorama sembra più chiaramente favorevole al presidente Rafael Correa, che il 26 aprile ha ottenuto la rielezione col 51% dei voti, superando del 14% l'avversario più forte.
La netta vittoria del partito Alleanza Patria Sovrana (Pais) ha reso possibile la disarticolazione dell’opposizione politica e ha prodotto il controllo dell’Assemblea Legislativa composta da 124 seggi. E’ evidente che tale potenza facilita la governabilità della gestione di Correa.
La stabilità raggiunta è un dato non meno importante, in un paese che da un decennio si caratterizza come la democrazia più instabile dell’America Latina (dal 1996 ha avuto 8 presidenti) da cui consegue la stabilità a medio termine del processo economico del paese, le cui sfide future esulano dalla sola opposizione interna e riguardano la caduta del prezzo del petrolio, la riduzione delle rimesse degli emigrati e l’assenza di credito esterno.
La grande capacità di Correa è stata il mantenere la coesione delle diverse frazioni e movimenti che compongono il suo governo, nonostante le logiche tensioni derivanti dalle diversità ideologiche.
Il progetto politico del presidente rieletto – la "rivoluzione cittadina" – affronta i nodi storici equadoregni: la banca, i media, l’elite economica di Guayaquil, i partiti politici tradizionali e la lotta contro la corruzione statale. Costituisce, comunque, una spaccatura col neoliberasismo economico.
Il sostegno popolare, garantisce a Rafael Correa di proseguire il suo lavoro politico fino al 2013 con relativa tranquillità rispetto all’opposizione, ma sono già presenti alcuni segnali di malcontento negli alti comandi militari a causa dell’eliminazione del servizio di leva obbligatorio e per la volontà governativa di inserire le forze armate in compiti amministrativi in Petro Ecuador e nella ricostruzione stradale.
Il conflitto tra governo e Chiesa Cattolica è latente dal 2008, quando la Chiesa si è dichiarata contraria al progetto abortista, sottoposto a referendum nel settembre, e favorevole al presidente precedente. Si noti che la Chiesa si era già dimostrata contraria alla prima candidatura di Rafael Correa, definendolo “comunista e abortista”.
Quanto al ruolo dei media, la battaglia è aperta. Nel discorso della vittoria, il presidente rieletto ha dichiarato che in questa fase avrebbe lottato contro il potere corrotto della stampa, definendola mafiosa. Il presidente il 30 maggio si è scagliato contro il quotidiano El Universo e il canale Teleamazonas: "Non siamo più disposti ad essere le vittime di una stampa corrotta. Ora faremo i passi legali necessari per risolvere questo problema".
Il ministro del Coordinamento Politico, Ricardo Patiño Aroca, sostiene che la perdita di credibilità dei dirigenti tradizionali ha permesso ai media in mano a banchieri e gruppi dominanti, di privilegiare le politiche neoliberali e di consolidarsi come il principale partito dell’opposizione al presidente Rafael Correa.
In Bolivia, nonostante le continue vittorie elettorali, la battaglia di Evo Morales contro le forze d’opposizione è quotidiana e costante.
"Se mi capiterà qualcosa, sarà colpa della destra" aveva dichiarato durante lo sciopero della fame a sostegno della Legge Transitoria del Regime Elettorale che gli aveva fatto saltare la Conferenza delle Americhe a Trinidad e Tobago.
Gli sforzi dell’opposizione si concentrano nella ricerca di un lider che possa raccogliere voti il prossimo 6 dicembre.
La “rifondazione della Bolivia” voluta da Morales ha vinto le ultime quattro elezioni con percentuali che, secondo gli analisti, saranno difficili da eguagliare nel prossimo appuntamento elettorale.
L’ex vicepresidente della Repubblica, Víctor Hugo Cárdenas è certo lo sfidante più accreditato. "Dobbiamo fare tutto il possibile per consolidare una sola candidatura" ha dichiarato Cardeans, ora alla ricerca della creazione di un Nuovo Progetto Politico Cittadino.
Como nel caso venezuelano, l’opposizione punta il dito contro la corruzione, la negazione della proprietà privata e la violazione dei diritti umani.
Il governo di Morales ha ottenuto l’appoggio dai settori indigeni più poveri, che l’hanno sostenuto ogni volta che è stato più necessario con grandi manifestazioni pubbliche. Quelle manifestazioni popolari hanno contribuito al soffocamento della sollevazione della “Mezza Luna” con intenti secessionisti delle regioni più ricche della Bolivia, nel settembre del 2008.
Morales ora può contare su di un sostengo militare, che durante il conflitto autonomista ha dimostrato lealtà nei confronti del presidente. Il capo dell’Esercito, il Generale Luis Trigo, allora aveva dichiarato che le forze armate "appoggiano l’impegno del capitano generale (Evo Morales) nella ricerca di soluzioni ai conflitti politici, sociali, economici che dominano il paese, per imporre la pace, l’unità e la concordia fra tutti i boliviani".
Certo è che dalla presa del potere di Morles, le forze armate hanno avuto un comportamento d’esemplare subordinazione al potere politico.
Come nel caso di Venezuela ed Ecuador, il governo boliviano ha rapporti molto tesi con la stampa locale. L’astio del presidente nei confronti di critiche fuori tono e manifestamente parziali, è tale che è arrivato al punto di escludere la stampa locale dalle conferenze a Palacio Quemado.
Anche Evo Morales deve affrontare l’opposizione della Chiesa Cattolica, che lui stesso ha definito "sindacato d’opposizione".
Sembra che la Chiesa Cattolica nei paesi andini abbia dimenticato il monito "date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", trasformandosi in un attore sempre più lontano dai più poveri.
dghersi@prensamercosur.com.ar
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