www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 17-03-10 - n. 310

La Cina sfonda in Asia centrale
 
di Spartaco Puttini
 
Le recenti tensioni tra Pechino e Washington in merito alle forniture militari Usa a Taiwan, alla sicurezza e libertà di internet, all’incontro tra Obama ed il Dalai Lama hanno proiettato alle luci della ribalta lo stato delle tensioni che attraversano le relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti. Sbaglierebbe chi ritenesse che tali tensioni siano solamente legate ad alcuni episodi ben circoscritti. Questi elementi chiariscono che il rapporto tra la Cina e gli Usa è sostanzialmente antagonistico.
 
Per capire quali rapporti intercorrano tra due paesi non basta affidarsi al volume del loro interscambio commerciale ma occorre adottare una prospettiva più ampia, che prenda in esame il sistema internazionale nel suo complesso, il ruolo dei suddetti paesi, la loro interazione con altri soggetti e le loro reciprocità. Da questo punto di vista, se si toglie la patina di propaganda con cui i media vendono una determinata e falsa immagine del mondo, il quadro è sufficientemente chiaro: gli Stati Uniti stanno tentando di imporre al pianeta un ordine internazionale unipolare, vale a dire una sistemazione dove sia solamente Washington a decidere ed a dirigere quale centro inappellabile di autorità in funzione dei suoi interessi ed a discapito di quelli degli altri paesi. A questo tentativo egemonico si vanno opponendo sempre più decisamente da ormai un decennio quegli Stati nazionali che vogliono difendere la loro sovranità come garanzia della propria libertà e che si fanno promotori di un ordine multipolare, più armonioso, contro qualsiasi volontà egemonica. Questi paesi (tra i quali figura la Cina) concertano sempre più le loro politiche per parare i colpi portati dall’ambiziosa America.
 
Le ultime settimane del 2009 hanno visto un importante accelerazione della sfida internazionale per gli assetti di potere nel XXI secolo tra le forze che vogliono promuovere l’egemonia statunitense e le forze che sostengono l’ascesa di un nuovo ordine multipolare.
Un evento è in particolare destinato a proiettare sul 2010 la sua lunga ombra: lo sfondamento cinese in Asia centrale.
 
- Lo sfondamento cinese in Asia centrale
 
Già prima di natale Hu Jintao aveva partecipato all’inaugurazione di una pipeline che dai favolosi giacimenti del Turkmenistan trasporterà il gas fino in Cina, attraversando il territorio dell’Uzbekistan e del Kazakistan e sfociando nel Xinjiang. Il gasdotto si snoderà per più di 1800 km e la sua capacità di trasporto sarà di 40 miliardi di metri cubi l’anno ed è previsto che a questa fornitura di gas turkmeno si sommino lungo il percorso quelle uzbeke e kazake. L’importanza del contratto era sottolineata dalla presenza di tutti e 4 i capi di stato interessati.
Ciò che si è prodotto rappresenta un vero e proprio sisma nel sistema internazionale.
 
Vale la pena di ricordare come l’Asia centrale sia, nella presente fase, una delle scacchiere cruciali su cui si stanno giocando le sorti del pianeta e questo in virtù sia delle sue ricchezze energetiche sia della sua posizione geopolitica. Benché oscurato agli occhi del pubblico, distratto dai media con la caccia ai fantasmi di ineffabili superorganizzazioni criminali, il Grande gioco in corso da ormai due decenni per conquistare l’influenza su quest’area determinante è stato condotto con estrema caparbietà da tutte le amministrazioni che hanno guidato gli Stati Uniti dalla fine della Guerra fredda in poi. Nel corso degli ultimi anni Washington aveva però dovuto subire una lunga serie di scacchi a causa del ritorno sulle scene della Russia, dell’ascesa difficilmente circoscrivibile della Cina e dell’effetto prodotto dall’intesa strategica stabilitasi tra i due giganti eurasiatici in funzione antiegemonica.
 
Mentre ad uno ad uno i paesi ex sovietici dell’Asia centrale entravano in relazioni sempre più approfondite di partnership con Mosca e Pechino a Washington cresceva l’inquietudine per la piega presa dagli eventi. Le ricchezze del Turkmenistan, restato fino a quel momento in disparte, apparivano agli occhi degli strateghi statunitensi come un miraggio nel deserto. Il Turkmenistan appariva come la carta da giocare per rientrare nel Grande gioco a testa alta. Mettere le mani sui suoi favolosi giacimenti avrebbe consentito di ridare un soffio di vitalità al progetto Nabucco, la pipeline che dovrebbe attingere dal Mar Caspio le risorse da convogliare verso l’Europa avendo cura di evitare il territorio russo.
 
- Il gioco degli oleodotti ed il magnete cinese
 
Dietro il magnanimo slogan di voler ridurre la dipendenza europea dalle forniture energetiche della Russia, il Nabucco mira in realtà a recidere la collaborazione euro-russa onde evitare la nascita ed il consolidarsi di un’intesa che renderebbe più autonoma l’Europa dagli Usa e più forte la capacità di resistenza alle pretese americane. Del resto basta riflettere un attimo per rendersi conto che la dipendenza tra l’Ue e la Russia è reciproca: entrambe le parti hanno bisogno per completarsi l’una dell’altra. In realtà il Nabucco aumenterebbe l’influenza esercitata dagli Usa sull’area dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale ed aumenterebbe la dipendenza dell’Europa dalle fonti energetiche controllate (direttamente o indirettamente) dallo Zio Sam.
 
Ma la mossa cinese ha spiazzato gli Usa. A lungo convinti che la partita in Asia centrale si giocasse solo tra occidentali e russi a Washington in molti hanno probabilmente sottostimato le possibilità cinesi, moltiplicate dall’ultima crisi. Occorre infatti ricordare che i rapporti di forza sono per loro natura misurabili in valori relativi e se è vero che la crisi esplosa negli Usa si è propagata a tutto il mondo è parimenti acclarato che vi sono stati paesi che hanno pagato maggiormente dazio ed altri che, anche in virtù di tempestivi e lungimiranti interventi, ne hanno risentito assai meno. E’ il caso della Cina che, garantendo un importante tasso di crescita alla sua economia di fronte al collasso dei mercati occidentali (statunitense in primis), è diventata un vero e proprio magnete in grado di attrarre gran parte dell’Asia. Così appare ancor più allettante fare affari con i cinesi ed accettare i loro lauti investimenti. Ciò è particolarmente vero per i paesi produttori di idrocarburi, che hanno dovuto fare i conti con il calo della domanda da parte dei paesi europei. Si è così aperto uno spiraglio nel quale la Cina si è inserita con prontezza.
 
Per Pechino l’Asia centrale è una regione vitale. E’ lì che un tempo correva la mitica “Via della Seta”, che per secoli ha garantito il commercio tra la Cina ed il resto dell’Eurasia. E’ lì che ora possono snodarsi le vitali rotte del petrolio e del gas che possono rifornire il gigante risvegliato dal boom economico per rispondere alle proprie crescenti necessità. L’abile mossa cinese consolida la presenza di Pechino nella scacchiera e infligge un colpo che potenzialmente potrebbe risultare mortale alle ambizioni statunitensi. Alimentandosi dal cuore dell’Eurasia la Cina riuscirebbe inoltre a ridimensionare almeno un poco la sua dipendenza dagli approvvigionamenti via mare che dall’Africa e dal Golfo devono attraversare tutto l’Oceano indiano e passare dalla delicata strettoia di Singapore. Una tratta quest’ultima che, in caso di crisi con una Grande Potenza marittima (come gli Usa), potrebbe essere facile da strozzare con conseguenze nefaste per la Cina.
 
Gli americani hanno accusato il colpo e le loro prime reazioni sono assai indicative. Da un lato hanno evidenziato come queste tratte dipendano dalla stabilità della regione cinese del Xinjiang, il che per loro renderebbe la Cina altrettanto vulnerabile di quanto non lo sia a causa delle rotte marittime. E’ questa un’affermazione sibillina che, a quanti conoscono gli stretti legami tra il governo statunitense e gli ambienti del terrorismo secessionista uiguro, suona come un cupo avvertimento. E’ chiaro che gli Usa vogliono manifestare chiaramente la loro determinazione a lottare per la supremazia fino all’ultimo. Nel tentativo di invertire il vento della storia, che spinge il mondo verso nuovi equilibri, l’imperialismo americano utilizzerà tutte le armi che ha in dotazione (e sono parecchie).
 
- L’intesa tra Mosca e Pechino nella nuova fase
 
Più complesso risulta per certi versi rintuzzare l’ascesa dell’influenza cinese nella regione centrasiatica. Qui gli Usa cercano più prosaicamente di alimentare e sfruttare eventuali attriti tra Pechino ed altre Potenze. A nostro avviso va letta in questa chiave l’affermazione di alcuni funzionari statunitensi che hanno commentato come questa mossa cinese dovrebbe spazientire la Russia, che si ritrova i “gialli” nel cortile di casa, ventilando così l’idea di un antagonismo che si andrebbe profilando tra Mosca e Pechino per le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale.
 
Ma è una tesi che non pare assolutamente fondata. Se mai ve ne fosse bisogno “Il Quotidiano del Popolo” ha ricordato che la collaborazione tra la Cina e l’Asia centrale non lede gli interessi russi. Del resto la stessa pipeline che dal Turkmenistan trasporta il gas attraverso Uzbekistan e Kazakistan potrebbe benissimo essere integrata con un braccio per pescare risorse dai giacimenti russi della Siberia occidentale, facendo così fluire verso la Cina più idrocarburi, in aggiunta a quelli trasportati dalla rete Siberia orientale-Pacifico.
 
In realtà pare difficile che Pechino abbia sfoderato questo affondo senza prima consultarsi con i vertici del Cremlino, tra Russia e Cina vi è una relazione che si colloca solamente di un gradino al di sotto di un’alleanza vera e propria. La relazione tra i due paesi è strategicamente troppo rilevante per entrambi perché si corrano certi rischi. Inoltre lo sfondamento cinese consente di estromettere l’influenza occidentale dalla regione. Come ha notato Bhadrakumar, se vi è un gioco a somma zero in Asia centrale non è quello in cui il guadagno cinese equivale ad una perdita russa ma quello in cui il successo della Cina è anche un successo della Russia e si tramuta in uno scacco dell’Occidente a guida Usa perché ora, con le ricchezze turkmene in rotta verso oriente, sarà più difficile ridurre il peso delle forniture russe all’Unione europea[1]. L’unica alternativa concreta sarebbe l’Iran! La Russia vede così rafforzato il suo ruolo di partner vitale dell’Europa ed i suoi ambiziosi progetti per rifornirla con nuove reti distributive che taglino fuori i paesi di transito (come l’Ucraina): il South Stream ed il North Stream prendono quota. Il progetto Usa del Nabucco viceversa la perde.
 
Questo spiegherebbe come mai Putin abbia accolto il successo cinese con un largo sorriso, smentendo quanti vanno sostenendo che i cinesi hanno buttato gambe all’aria i progetti russi. Il premier russo ha avuto modo di ricordare che mantiene “stretti e regolari contatti” con i partner cinesi.
 
Se non bastassero queste considerazioni si può sempre osservare quali effetti il contratto sino-turkmeno abbia avuto sulle relazioni russo-turkmene. Il paese centrasiatico ha infatti garantito a Mosca la fornitura di ben 30 miliardi di metri cubi di gas alla Russia a prezzo di mercato. Ciò dimostra più delle parole che il successo cinese non emargina affatto il ruolo di Gazprom, e quindi della Russia, nella regione. Anzi, durante una visita di Medvedev nella capitale turkmena Aschgabad, il padrone di casa Berdymukhammedov ha sottolineato che condividono la stessa visione dei problemi della sicurezza regionale e che hanno deciso di lavorare alla costruzione di una rete di pipeline per pompare il gas da tutti i pozzi in corso di sfruttamento onde avviare gli idrocarburi verso Russia, Cina e Iran. Grazie a queste tre direttrici il costoso progetto Nabucco diviene assolutamente superfluo per i paesi centrsiatici e pressoché insostenibile per i suoi sponsor. Perché senza idrocarburi a disposizione diviene un opera inutile e costosa, una pura perdita.
 
Dal punto di vista più complessivamente strategico pare che la capacità di russi e cinesi di sincronizzare le proprie mosse sulla scacchiera sia persino in fase di aumento. Lo suggerirebbero le dichiarazioni provenienti da fonti militari russe in merito al possibile aumento della produzione cinese di armi termonucleari onde far fronte agli scudi antimissile che l’amministrazione Obama sta disseminando in giro per il mondo (dalla Romania alla Polonia, all’Estremo oriente)[2].
 
Sempre nello stesso senso deve essere accolto anche l’accordo stabilito da Putin con Wen Jiabao in merito allo scambio di informazioni sui sensibilissimi dati contenuti nelle valigette che comandano gli arsenali deterrenti dei due paesi. Cina e Russia hanno infatti deciso di informarsi reciprocamente circa i rispettivi piani di puntamento e lancio dei loro missili balistici[3], quasi volessero prepararsi a mettere in comune le loro risorse in caso si trovassero di fronte ad un attacco immediato portato da una Grande Potenza. Una scelta, quest’ultima, di grande rilevanza.
 
- Le altre Potenze sulla scacchiera centrasiatica
 
Della partita è anche l’Iran, in barba alla propaganda che vorrebbe dipingere il regime degli ayatollah come sempre più isolato sulla scena internazionale a causa del suo programma nucleare. Teheran ed Aschgabad hanno infatti convenuto di costruire un gasdotto tra la regione iraniana del Caspio (nel nord-est del paese) ed i campi turkmeni all’altro capo della frontiera. Così l’Iran si candida come snodo del mercato mondiale dell’energia, in chiara partnership con la Turchia (sempre più indipendente dall’asse Washington-Londra-Tel Aviv) e con il Turkmenistan, che si è fatto beffa della mania americana di stendere continuamente liste di “stati canaglia”.
 
Dall’Iran il gas turkmeno potrebbe arrivare all’Occidente passando per la Turchia: in ogni caso svanirebbe comunque il sogno di Washington di gestire l’affluire delle ricchezze energetiche centrasiatiche tagliando fuori sia Teheran che Mosca. Ora gli Usa si troveranno a trattare con entrambi i rivali e, a meno di improbabili cambiamenti di regime in quei paesi, non certo da posizioni di forza.
 
La stessa Turchia, che doveva essere lo sbocco del Nabucco, ha cominciato a fare il suo gioco muovendosi con disinvoltura nel nuovo equilibrio multipolare in gestazione. Ankara ha infatti compreso che il suo ruolo di rubinetto energetico dell’Europa poteva essere conquistato più facilmente se, oltre ai progetti patrocinati dagli occidentali, avesse aderito anche alle reti di oleodotti e gasdotti proposte dai russi. Così è stato. Con il risultato che il governo turco ha favorito l’avanzare del South Stream a valle della rete di distribuzione mentre a monte della stessa le possibilità occidentali di attingere direttamente al gas centrasiatico e caspico stavano franando. Ciò finisce con il rafforzare la posizione della Turchia e la sua linea di condotta indipendente nei confronti di Washington nella regione mediorientale: un grattacapo in più per la Casa Bianca.
 
Coma ha notato l’ex diplomatico indiano Bhadrakumar, nell’aria si possono intendere le note di una sinfonia russo-sino-iraniana[4]. Una sinfonia che conquista vieppiù altri paesi.
 
La partita non può tuttavia darsi per conclusa ma le posizioni raggiunte dalla Cina non paiono così facili da scalzare. La Cina opera nella regione da tempo ed ha costruito le sue relazioni in modo paziente ed abile. Pechino si rifornisce ai giacimenti centrasiatici in modo significativo, quando non ha comprato persino quote di società locali che operano nel settore degli idrocarburi. Non va dimenticato che questi paesi (ad esclusione del Turkmenistan) sono tutti membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai. Nel corso del 2009 la Cina aveva già versato 3 miliardi di dollari di prestito al Turkmenistan per avviare lo sfruttamento del giacimento gasifero Sud-Yolotan, stimato uno dei più grandi al mondo., le cui riserve si aggirerebbero tra i 4 mila ed i 14 mila miliardi di metri cubi di gas[5].
 
Pechino sta sfruttando abilmente le sue possibilità di liquidi. Ora già si possono scorgere all’orizzonte gli effetti complessivi di questo sisma geopolitico. In primo luogo i paesi dell’Asia centrale (giusto per limitarsi a questa regione) d’ora in poi avranno presente che possono trattare con le multinazionali dell’Occidente e con il governo statunitense con meno soggezione, perché nel mondo vi è chi può comprare le loro risorse e le loro merci con formule contrattuali molto competitive. Questo può rappresentare un importante stimolo, un potenziale volano per lo sviluppo di questi paesi. D’ora in poi, come ha detto il presidente kazako Nazarbaiev, si faranno affari con coloro che promuoveranno progetti improntati allo sviluppo del paese ed alla diversificazione della sua economia.
 
Probabilmente, anche in questo senso, un passo avanti sulla strada di un nuovo mondo multipolare è stato fatto.
 


[1] Si veda: MK Bhadrakumar, China resets terms of engagement in Central Asia; in “Asia Times Online” 29/12/2009
[2] RIA Novosti, 24 febbraio 2010 ore 21:13
[3] Reuters, 13 ottobre 2009
[4] MK Bhadrakumar, Russia, China, Iran redraw energy map; in “Asia Times Online” 1271/2010
[5] MK Bhadrakumar, China resets terms; op. cit.

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