www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 12-06-09 - n. 278

da http://zeitun.ning.com/page/documenti-1
 
Apartheid e occupazione dal punto di vista del Diritto Internazionale
 
Una conferenza, tenuta al Palestine Center di Washington, il 26 marzo 2009, dal prof. John Dugard, ex-Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati
 
Riportiamo la traduzione di gran parte della trascrizione di una conferenza di John Dugard per The Jerusalem Fund il 26 marzo scorso; sul sito, ne esiste anche il video . Abbiamo omesso alcuni paragrafi iniziali introduttivi, che si riferivano al viaggio di Dugard a Gaza e di cui uscirà un report ancora non completo. Temi della conferenza erano l'occupazione, il colonialismo e l'apartheid. È un testo molto importante, complementare alla monumentale ricerca sullo stesso argomento del team di Virginia Tilley, anche lei sudafricana. Entrambi affermano in modo inequivocabile che Israele applica nei Territori Occupati un regime di apartheid più feroce di quello praticato dal Sud Africa .
 
http://www.thejerusalemfund.org/ht/display/ContentDetails/i/5240/pid/897
 
Parlerò di occupazione e apartheid. Lasciatemi iniziare dall'occupazione. Il territorio palestinese è chiaramente occupato. A proposito della Cisgiordania, su questo non c'è discussione, per quanto riguarda la comunità internazionale. Israele ha sostenuto che Gaza ha cessato di essere territorio occupato sin dal 2005 – da quando, cioè, ha ritirato coloni e forze militari dalla Striscia; ma è una tesi che il Comitato Internazionale della Croce Rossa e, credo, tutta la comunità internazionale, con la possibile eccezione degli Stati Uniti, rifiuta. Si ritiene che Gaza sia nei fatti occupata da Israele, perché questo ne controlla i confini, lo spazio marittimo e aereo, e vi compie abbastanza regolarmente incursioni militari. Penso che la posizione degli Stati Uniti, definita da Condoleeza Rice, ex Segretario di Stato, fosse quella di considerare la Striscia come un'entità abbastanza ostile. Non si capisce cosa significhi. Ma si spera che l'amministrazione Obama metta in chiaro che considera Gaza e la Cisgiordania come territori occupati.
 
L'occupazione militare è un regime tollerato dal diritto internazionale. Non è approvata. La Quarta Convenzione di Ginevra, che regola la condotta del potere occupante, stabilisce che lo stato che occupa ha l'obbligo di prendersi cura dell'assistenza alla popolazione occupata e, in particolare, di assicurare che le strutture sanitarie ed educative siano rispettate e promosse. Ma naturalmente, tutti sappiamo che Israele per l'appunto ignora tale obbligo, dato che la comunità dei donatori internazionali è in larga parte responsabile dell'assistenza al popolo palestinese. È abbastanza chiaro che il diritto internazionale non contempla un lungo periodo di occupazione, un'occupazione prolungata, che in questo caso si protrae da più di 40 anni. Il governo israeliano tende a considerare che, quanto più questa si protrae, tanto minori sono gli obblighi. Penso però che l'opinione generalmente accettata sia che valga esattamente l'opposto.
 
Così Israele occupa. Ma negli ultimi 40 anni abbiamo visto aggiungersi due altri elementi: il colonialismo e l'apartheid. E questo tende a rendere più gravi le condizioni nei territori palestinesi. Non credo che ci sia da discutere sul colonialismo in Palestina, ed in particolare in Cisgiordania, da quando i coloni si sono ritirati da Gaza, nel 2005. In Cisgiordania i coloni ebrei sono quasi mezzo milione. Il loro numero è in aumento, benché una successione di governi israeliani abbia promesso di fermare le colonie. È interessante notare che si sta costruendo in circa 88 dei 149 insediamenti cisgiordani. Il tasso di crescita negli insediamenti è del 4,5%; in Israele è pari allo 1,5%. È importante prendere in considerazione non solo gli insediamenti, ma anche il territorio cisgiordano assegnato a scopi militari ed a riserve naturali. Così si può dire che circa il 38% della Cisgiordania è interdetto ai palestinesi. Allora in Cisgiordania c'è una forma di colonialismo, e il colonialismo non è ammesso dal diritto internazionale. È chiaramente illegale. Gli insediamenti non solo costituiscono una forma di colonialismo, ma violano pure la Convenzione di Ginevra. Questo rappresenta pertanto una patente illegalità da parte di Israele.
 
L'altro elemento introdotto è l'apartheid. Ed è importante sottolineare che l'apartheid è illegale non solo in Sud Africa, ma che è stato dichiarato tale anche nel diritto internazionale. Nel 1973 c'è stato un accordo sull'apartheid, adottato dall'ONU. In breve, sancisce che l'infliggere ad appartenenti ad un gruppo etnico gravi danni fisici o psichici, trattamenti disumani o degradanti, il creare deliberatamente condizioni che impediscano il pieno sviluppo del gruppo stesso e così via, negando i diritti umani e le libertà fondamentali, quando tali atti sono commessi allo scopo di istituire e mantenere il dominio di un gruppo etnico su un altro e di opprimerlo in modo sistematico, [costituiscono un crimine, quello di apartheid]. Abbiamo quindi una definizione, una definizione generale dell'apartheid; è stata ora inserita nello Statuto di Roma della Corte Criminale Internazionale, e il crimine di apartheid è considerato far parte dei crimini contro l'umanità. È abbastanza chiaro, quindi, che, in base alla legge internazionale, è illegale. Naturalmente Israele sostiene che la propria politica non costituisce apartheid, e dichiara che non vi è traccia di discriminazione razziale nella sua prassi o nella sue politiche; sostiene che lo scopo dell'occupazione è semplicemente quello di mantenere la legge e l'ordine in attesa di un accordo di pace, non quello di mantenere il dominio di un gruppo su un altro.
 
Penso che sia importante sottolineare che sussistono importanti differenze tra il modo di applicare l'apartheid in Sud Africa e le politiche e la prassi nei territori occupati. È chiaro che i sistemi non sono identici. Vi sono però molti aspetti simili. Vorrei solo parlare di quelle che considero le tre caratteristiche dominanti dell'apartheid in Sud Africa, analizzando fino a che punto si applicano al territorio palestinese. Prima di tutto c'era quello denominato “apartheid strutturale”; era la separazione territoriale. Poi c'era descritto, in modo scorretto, come “apartheid minore”; era la discriminazione razziale. E, al terzo punto, vi erano le leggi sulla sicurezza.
 
Bene, come si caratterizza Israele per quanto riguarda lo “apartheid strutturale”? Vi sono bantustan in Cisgiordania? Penso che la risposta sia 'sì'. Vediamo davvero una frammentazione territoriale del tipo promosso dal governo del Sud Africa, nei termini della politica di bantustanizzazione. Prima di tutto osserviamo che si costituisce una separazione molto netta tra la Cisgiordania e Gaza. Ma nella stessa Cisgiordania troviamo fondamentalmente una separazione fra tre o più territori ed alcune enclave aggiuntive, con un centro, un nord e un sud. Ed è abbastanza chiaro che il governo israeliano avrebbe piacere di considerare l'Autorità Palestinese come una specie di regime fantoccio, in un bantustan. Così, vi sono somiglianze di quel tipo.
 
Poi si arriva a quello denominato “apartheid minore”: la discriminazione. Vi sono molte prove di tali discriminazioni. Vi sono, naturalmente, strade separate per coloni e per palestinesi. E lasciatemi aggiungere, rapidamente, che in Sud Africa non abbiamo mai avuto strade separate per neri e bianchi. C'è la discriminazione nella Zona di Giunzione, che è l'area tra la Linea Verde e il Muro. I cittadini israeliani vi hanno libero accesso, mentre ai palestinesi occorrono permessi, che sono raramente assegnati.Vi è poi tutta la questione dei diritti di costruire. Come sapete, in base alla legge israeliana, i palestinesi non possono costruire case a Gerusalemme Est o nell'Area C - che comprende la maggior parte della Cisgiordania – senza permessi. E le licenze, nella maggioranza, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono accordate; il risultato è che, per ragioni cosiddette amministrative, vi è una tremenda demolizione di case. Vediamo che avviene adesso a Gerusalemme. Così, questa è una prassi di demolire abitazioni, pure simile a quanto avveniva in Sud Africa.
 
Quarto, c'è la libertà di circolazione. In Sud Africa, avevamo in passato un sistema di leggi che richiedeva a tutti i neri di avere con sé i documenti e giustificare la loro presenza ovunque si trovassero. Ed era vietato loro l'ingresso nelle aree urbane senza uno permesso speciale. Così era severamente ristretta la libertà di circolazione. Ma ritengo sia vero che ai palestinesi siano imposte restrizioni peggiori. Ci sono più di 600 posti di blocco in Cisgiordania. È alquanto strano che Israele sostenga di aver costruito una cosiddetta barriera di sicurezza per tenere fuori dal proprio territorio gli attaccanti suicidi, ma che poi, in aggiunta, abbia eretto questi posti di blocco. E propendo a ritenere che l'unico loro obiettivo sia quello di discriminare, umiliando.
 
Quinto, il problema della riunificazione famigliare. Di nuovo, questa è una pratica manifestamente discriminatoria. Come sapete, i palestinesi che vivono in Israele non possono portare lì il coniuge se questi proviene dai Territori palestinesi Occupati; intanto, ai palestinesi dei Territori Occupati non si permette di portare lì il coniuge, se questi proviene da un Paese estero. Così, abbiamo davvero un sistema discriminatorio.
 
La terza caratteristica dell'apartheid era l'apparato di sicurezza. Per mantenere il controllo dei bianchi, le autorità sudafricane avevano introdotto misure draconiane di sicurezza, che si concretizzavano nel detenere e processare un gran numero di attivisti politici. Ma, naturalmente, lo stesso avviene in Israele. Adesso nelle prigioni israeliane ci sono circa 11mila detenuti palestinesi; e vi sono accuse molto serie di torture a detenuti e prigionieri.
 
Dunque, qual è la differenza principale? La differenza principale che riscontro tra il sistema di apartheid sudafricano e quello che prevale nei Territori palestinesi Occupati è che in Sud Africa il regime era più onesto. Avevamo un sistema legale rigido, che prescriveva con grande esattezza come dovesse avvenire la discriminazione, e come implementarla. C'era un'ossessione per i dettagli e la legalità, in un modo molto simile a come avveniva nella Germania nazista. Nel caso di Israele, lo si nasconde. C'è una bellissima storia narrata da Shulamit Aloni, ex ministra dell'Istruzione in Israele, di un confronto con un soldato dell'IDF (letteralmente: Forze Israeliane di Difesa) mentre arrestava un palestinese e gli confiscava la carta [di identità], perché aveva guidato su una strada riservata ai coloni. Lei aveva obiettato: “Ma come può sapere che questa è una strada ad uso esclusivo dei coloni? Non vi è indicato in alcun modo”. E lui: “Certo che i palestinesi lo sanno, o che dovrebbero saperlo”. Aveva aggiunto: “Cosa vuole che facciamo? Vuole che mettiamo cartelli ad indicare 'solo palestinesi', 'solo coloni'? In modo che tutti dicano che siamo uno stato di apartheid come il Sud Africa?” Così, c'è questo nascondere la discriminazione; esistono quindi differenze. Immagino che mi chiederete qual è il regime peggiore. Come bianco sudafricano, trovo difficile rispondere: pur avendo vissuto in Sud Africa per tutto il periodo dell'apartheid, non ero ovviamente soggetto alle leggi discriminatorie, rivolte e dirette contro i neri. Ma quel che è interessante è che ogni nero sudafricano che aveva visto i territori palestinesi e a cui ho parlato era inorridito; hanno tutti sostenuto senza esitare che il sistema adottato in Palestina è peggiore. E questo per un certo numero di motivi. Prima di tutto credo che si possa dire che vi sono caratteristiche del regime israeliano nei territori occupati che ai sudafricani erano sconosciute. Non abbiamo mai avuto un muro a separare i neri dai bianchi. So che viene chiamato il Muro dell'apartheid, ma è davvero un termine improprio: in Sud Africa non c'era alcun muro di quel genere. E, come ho detto, non vi erano strade separate. Queste sono caratteristiche nuove, proprie del regime di apartheid israeliano. In secondo luogo, le imposizioni sono molto più rigide. In Cisgiordania, per non parlare di Gaza, ci sono ripetute incursioni militari. Gaza tende ad attirare una maggiore attenzione, ma vi sono in Cisgiordania continui raid condotti dalle forze dell'IDF; si compiono arresti, si spara ai palestinesi e li si uccidono. Quello che è interessante è che in Sud Africa gli attivisti politici erano processati dai tribunali penali regolari del territorio, con dibattimenti pubblici. In Israele, invece, i palestinesi sono processati da tribunali militari, basati su norme e regolamenti di emergenza ereditati dai britannici, che non sono tribunali in senso proprio.
 
Forse la differenza più importante è che l'apartheid israeliano non ha caratteristiche positive. Il regime di apartheid sudafricano aveva davvero provato a pacificare la maggioranza nera offrendo benefici materiali. Così, erano state costruite scuole e università; il regime aveva costruito anche ospedali e ambulatori. Nelle aree nere erano state costruite fabbriche speciali, per incoraggiare gli operai a lavorare nelle zone africane. Così vi era un aspetto molto positivo dell'ordinamento dell'apartheid, anche se solo materialistico. Invece, nei Territori Occupati, Israele praticamente non contribuisce affatto ad assistere la popolazione palestinese: lascia tutto alla comunità deidonatori. Naturalmente questo solleva il problema, dibattuto molto vigorosamente in Palestina, se sia saggio che i Paesi donatori tolgano ad Israele le castagne dal fuoco; se non sia meglio ritirarsi, lasciando che tutto il mondo veda la cattiveria degli israeliani in Palestina. Ma è una questione separata. Vorrei concludere commentando sulla reazione della comunità internazionale, perché qui c'è un'altra grande differenza. Vi ricorderete che il regime di apartheid era vituperato internazionalmente, negli Stati Uniti, nell'Occidente e in tutto il mondo. Gli Stati avevano applicato sanzioni al regime d'apartheid. Le Nazioni Unite erano attive, pure imponendo alcune sanzioni al Sud Africa. La comunità internazionale considerava l'apartheid un regime illegale, ritenendo che si dovesse fare di tutto per sbarazzarsene. Invece, nel caso di Israele, sebbene vi siano serie e palesi violazioni del diritto internazionale, sappiamo che i Paesi occidentali o la comunità internazionale non prendono alcuna iniziativa. Sappiamo tutti qual è il motivo. Posso supporre che diciate che, in ultima analisi, negli Stati Uniti è la forza dell'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e la lobby evangelica; penso però che in Occidente, in genere, sia il senso di colpa per lo sterminio degli ebrei, come se ne fossero responsabili i palestinesi anziché l'Europa. E così vediamo applicare nei confronti di Israele la politica 'due pesi, due misure'. Secondo me, questo ha gravi implicazioni per il futuro. Si possono comprendere le affermazioni del Presidente [sudanese], [Omar] al-Bashir: “Va bene sottopormi a un mandato d'arresto, ma che dire di Gaza?” Ed è l'appello che si ode ripetutamente, nel mondo in via di sviluppo. Ci si chiede di agire contro il Sudan, lo Zimbabwe e Burma, per le violazioni dei diritti umani, ed io ritengo che lo si debba fare. Ma i Paesi in via di sviluppo hanno replicato: “Perché dobbiamo intraprendere delle azioni contro questi Stati, quando voi stessi siete impegnati a difendere Israele?”
 
In tale situazione, è molto difficile immaginare cosa accadrà. Le Nazioni Unite mi hanno deluso parecchio. L'Assemblea Generale e il Consiglio dei Diritti Umani hanno pochissimi poteri. Il Segretario generale dell'ONU è, diciamo, timido. Il Consiglio di Sicurezza è ostacolato dal veto, e il Quartetto, che ha un'origine molto sospetta, è chiaramente sotto il controllo degli Stati Uniti. Nel 2004, la Corte internazionale di Giustizia ha emesso un parere consultivo, affermando l'illegalità del Muro. Il che è stato semplicemente ignorato dal Consiglio di Sicurezza, dal Segretario Generale e dal Quartetto. Si richiede che esprima un altro parere consultivo sulle conseguenze di una prolungata occupazione unita ad apartheid e colonialismo. Ma, di nuovo, è probabile che un tale parere, anche se espresso, sia ignorato.
 
Ma ritengo che vi siano alcuni segnali di speranza, per quanto riguarda i movimenti nella società civile. Nelle chiese, nei campus universitari e nei sindacati si pone il problema di agire contro Israele, a proposito della Palestina. Propendo a pensare, ad avere l'impressione che l'opinione pubblica stia cambiando, anche se la politica dei governi rimane all'incirca la stessa.
 
Il professor John Dugard è stato relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi Occupati, e visiting professor onorario di diritto alla Duke University.
 
Questa trascrizione si può utilizzare senza chiedere autorizzazioni, purché sia attribuita correttamente a The Palestine Center. Le opinioni del relatore non necessariamente riflettono quelle de The Jerusalem Fund.
 
Traduzione di Paola Canarutto e Carlo Tagliacozzo