www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 26-06-09 - n. 280

da Rebelion - www.rebelion.org/noticia.php?id=87522
Traduzione dallo spagnolo per www.resitenze.org a cura di FR 
 
“Cinquecento anni di guerra indigena… e non è ancora finita”
 
Intervista al senatore aymara Lino Villca
 
di Franz Chávez - IPS
 
24/06/2009
 
I popoli indigeni d’America stanno vivendo una guerra che dura da ben 517 anni, una guerra alla ricerca del potere politico per governarsi da soli e cacciare le forze coloniali, lo dice il senatore boliviano Lino Villca a proposito delle violenze scoppiate nella foresta amazzonica peruviana.
 
In un’intervista concessa a IPS, Villca sostiene che la lotta organizzata degli indigeni ha ripreso vigore nel 1992, e quanto è successo a Bagua, la resistenza dei nativi al saccheggio delle risorse naturali della regione orientale peruviana, lo dimostra, testimoniando la continuità col pensiero del presidente indigeno aymara, Evo Morales.
 
Il senatore Villca è un agricoltore della regione semitropicale di Yungas, al nord di La Paz, ed è stato uno dei fondatori del Movimento per il Socialismo (MAS), oggi al governo, proprio in funzione dell’identità culturale e delle antiche forme comunitarie precoloniali. Anche lui, come E. Morales, è di etnia aymara.
 
“Rifiuto e condanno la versione dello stato peruviano che vuole incolpare d’ingerenza il fratello Morales della morte di 50 indigeni nella foresta” ha dichiarato Villca a proposito di Bagua. Le autorità hanno sostenuto che le vittime sono state 24 poliziotti e 10 indigeni, ma i capi delle comunità indios hanno garantito che i manifestanti assassinati sono stati decine.
 
Da cosa nasce la lotta indigena in America?
 
A partire dal Venezuela, passando da Colombia, Ecuador, Bolivia, Perù, Argentina, parte del Paraguay e Cile, storicamente siamo un unico popolo rappresentato dall’impero Tahuantinsuyo.
 
Nel 1533 avevamo un leader politico che si chiamava Atahuallpa e non abbiamo avuto frontiere fino all’arrivo degli spagnoli, che spezzettò il territorio americano in vicereami. Ciononostante continuavamo ad essere un unico popolo.
 
Nel 1781, la grande ribellione alla corona spagnola nel territorio oggi corrispondente alla Bolivia fu capeggiata da Tupak Katari e Bartolina Sisa, mentre i fratelli Nicolás e Tomás Katari la guidavano fino a Tucumán, oggi in Argentina. La zona andina che ora appartiene al Perù è stata lo scenario delle lotte Tupac Amaru, che si diffusero fino alle regioni dell’odierno Ecuador.
 
Quello fu il grande urlo libertario d’America. In seguito, all’inizio del XIX secolo, è venuta la frammentazione del nostro territorio nelle Repubbliche.
 
Da dove nasce questo desiderio di unire le lotte dei popoli indigeni americani?
 
Oggi gli aymara e i quequa continuano a essere un solo popolo all’interno di vari stati coloniali, divisi da frontiere, ma con una storia millenaria che va oltre i 517 anni dall’invasione spagnola.
 
Oggi lavoriamo a livello internazionale per il rispetto dei popoli aborigeni, per fa sì che siano consultati circa l’uso delle risorse naturali. Cerchiamo di rendere concreta la dichiarazione dell’ONU sui diritti dei popoli indigeni, che riconosce la libera autodeterminazione su risorse, economia, organizzazione. Dal 1992, i popoli aztechi, maya, del vecchio Tahuantinsuyo e Kollasuyo, hanno avuto dei grandi incontri per chiedere agli stati coloniali il diritto ad autogovernarsi. Ci chiediamo: Chi siamo? Dove andiamo? Chi ci governa? Pensiamo che hanno tagliato le nostre radici, ma che i tagli non sono riusciti a reciderle del tutto. Perché un popolo senza identità non ha più futuro.
 
Com’è stato tradotto questo, pensiero dalle organizzazioni sociali in Bolivia?
 
Sulla base di queste rivendicazioni in Bolivia abbiamo costruito uno strumento politico attraverso un percorso di formazione con l’identità dei popoli indigeni. Da questo lavoro sono nati dei capi illuminati come Felipe "Mallku" Quispe, Alejo Veliz e lo stesso Evo Morales, il primo presidente indigeno del continente, mentre stanno cadendo quelli neoliberisti.
 
I popoli indigeni riconoscono Morales come il loro presidente, a margine dei presidenti del loro stato. I popoli indigeni di Ecuador, Perù, Colombia e Bolivia riconoscono l’autorità di Morales e ci aspettiamo che in questi stati nascano dei capi indigeni per governarci.
 
Abbiamo avuto dei presidenti coloniali come Gonzalo Sánchez de Lozada (1992-1997 e 2002-2003 in Bolivia) che sguazzava nel sangue indios ma che alla fine fu cacciato via, e un prefetto (governatore) del dipartimento di Pando, Leopoldo Fernández, che ha ammazzato 15 indigeni nel settembre 2008. Noi siamo un unico popolo in lotta per i nostri diritti, e cerchiamo di autogovernarci per farla finita con gli stati coloniali.
 
Un messaggio di Morales indirizzato all’incontro dei capi aymara d’America, la cosiddetta Abya Ayala, ha provocato una reazione del governo di Lima.
 
Si tratta di un incontro che si svolge ogni anno dal 1992, è un incontro intercontinentale, in seguito è nato il Consiglio Andino dei cocaleros di Bolivia, Perù e Colombia. Il nostro presidente Morales ha sempre partecipato a questi eventi.
 
Da cosa nasce l’autorità di Morales sui popoli indigeni?
 
Dal fatto che si tratta di un leader che esprime l’identità, la nazionalità, a fronte di uno Stato, e di conseguenza che implicitamente si estende a tutti gli indios, ma non si tratta di una vera ingerenza politica. E’ una sorta di richiamo del sangue che non richiede necessariamente il contatto verbale con il capo. In Perù nascerà un dirigente così perché c’è un risveglio della coscienza dei popoli indigeni.
 
Dopo tanti secoli di sacrificio e di sangue versato quando finirà questa guerra?
 
E’ una guerra che dura da 517 anni. E’ una lotta di una nazione con milioni di morti, che passa attraverso lo sterminio indigeno nelle miniere, la sollevazione del 1871 da Quito fino a Tucumán, e continua nelle lotte per l’indipendenza, al posto dei creoli e dei meticci.
 
E’ una guerra permanente, fino al consolidamento del potere. In Bolivia siamo in quest’ultima fase.
 
La presa del potere in Bolivia sottintende la fine della lotta?
 
In Bolivia non abbiamo ancora consolidato il nostro potere, abbiamo appena stabilito le regole democratiche e dobbiamo ancora avanzare molto. Il riconoscimento delle 36 nazionalità nella nuova Costituzione deve riaffermare il nuovo ordinamento giuridico. La destra resiste e non ha ancora mollato il suo dominio, in Perù lo scontro che ha fatto almeno 50 morti ha svelato la natura di questo conflitto e la faccia dello stato coloniale che reprimeva le proteste.
 
Domani saranno gli aymara di Puno (un’altra regione del Perù), poi sarà la volta di Cusco (l’antica capitale dell’impero inca) e poi si uniranno le nazionalità peruviane, sulla strada della ribellione degli indigeni amazzonici.