www.resistenze.org
- osservatorio - mondo - politica e società - 09-02-10 - n. 305
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Berlino, museo dell’anticomunismo
di Enrique Ubieta Gómez
01/02/10
In altre occasioni ho già avuto modo di descrivere la mia casuale scoperta del bar di Stoccolma “KGB”, un luogo dove la memoria si disarticola in frammenti sconnessi, in modo che l’avventore possa consumare la nostalgia - tra un bicchiere e l’altro - senza razionalizzarla. Senza una logica espositiva, la sovraesposizione di oggetti e suoni (marce, canzoni e voci di vecchi programmi radiofonici sovietici che non finiscono mai di spiegare niente), agiscono sulla memoria affettiva e la paralizzano dolcemente.
Certe strade di Berlino, al contrario, hanno sviluppato una logica anticomunista: il disordine espositivo solo apparente. Vetrina del trionfo capitalista sul socialismo “reale”, Berlino è lo scenario di uno dei successi più d’effetto della fine dell’Est, ed è anche la capitale di una delle economie più forti del Primo Mondo. Qui, il mercato, suppostamene cieco, fa politica.
Forse il luogo più emblematico è il noto Checkpoint Charlie, il posto di frontiera.
Nel 2000 è stata ricostruita una delle sue casette. Ritratti giganteschi a colori di una guardia russa che guarda verso Est, e quello di un nordamericano che guarda versi Ovest, fiancheggiano il punto in entrambe le direzioni. I turisti si fotografano davanti alla casetta. Ma lungo la via - prima e dopo - più a contatto con il passante, i turisti vedono le foto della repressione nell’Est, dove comprano gli oggetti dei “vinti” (bandiere, francobolli, busti, insegne) e visitano i musei privati che spiegano la storia dalla prospettiva dei “vincitori”.
Alcuni oggetti sono esposti per la strada, alle intemperie, come trofei di guerra: la bandiera sovietica che avrebbe ondeggiato al Cremlino, già scolorita - non posso fare a meno di accostare questo dispregio pubblico al maggior simbolo di uno Stato e di una militanza con la nota immagine dei soldati sovietici che fanno sventolare la bandiera rossa con falce e martello sul Reichstag, vendetta storica?- e la placca di bronzo con l’immagine in rilievo di Leonid Ilich Brezhnev, che era sulla casa dove aveva vissuto fino alla morte. Due trofei che soddisfano i sogni dorati del nazismo.
A Berlino giacciono - ripetendo gli antichi rituali di guerra - la bandiera del nemico e al posto della testa del loro capo, la placca strappata dalla sua casa.
Ma c’è dell’altro: un enorme cartello copre la parete laterale di un edificio che fa angolo con la foto di una ragazza dell’Est che mostra irriverente il seno ad una telecamera nel muro. E’ una foto famosa, ma questa volta serve da pubblicità per una marca d’abbigliamento, Diesel, il cui slogan è quasi un programma: be stupid, “Essere stupido”. In questo caso è una rivendicazione ironica dell’irriverenza giovanile, che il mercato e la politica anticomunista intendono come frivolezza e individualismo. Su un altro edificio d’angolo, campeggia un cartello gigante che annuncia in quattro lingue (inglese, tedesco, francese e russo) che sei entrato in un settore che non ti offre nessun guadagno, anche se lo meriti.
Il segno dei vincitori è dappertutto: i tedeschi dell’Est temono che appaia qualche vincolo con la Stasi. Nessuno ricorda che i servizi segreti della Germania Occidentale sono stati creati nel 1956 e diretti dal generale nazista Reinhard Gehlen, riscattato e protetto dagli Stati Uniti per le sue conoscenze dell’Unione Sovietica (recuperato dai campi di prigionia) e gli archivi di quest’organizzazione sono ben protetti. I cittadini dei paesini della zona orientale sono emigrati verso la zona occidentale, perché le loro industrie non sono state modernizzate, ma vendute e chiuse, ed oggi sono delle città fantasma; molte persone genuinamente di sinistra preferiscono che non li si associ col comunismo per timore di rappresaglie o del disprezzo mediatico. Nella zona orientale di Berlino sono stati costruiti grandi e lussuosi negozi, quello che fino a poco tempo fa era il Palazzo del Popolo è stato abbattuto, invece si restaura con minuzia da orafi il vecchio Palazzo Imperiale distrutto durante i bombardamenti degli alleati.
La nuova cancelliera Angela Merkel, militante della Libera Gioventù Tedesca (Giovani Comunisti) della Repubblica Socialista, e allora insignita di alte decorazioni, oggi è presidente della destroide Unione Democratica Cristiana (CDU).
Ma Berlino, nonostante tutto, non è la vetrina del capitalismo. E’ piuttosto l’esibizione del potere del Nord - il Nord del Nord - che si erge sulla dipendenza e l’esclusione del Sud. Un potere imperiale, mai pienamente realizzato: nei suoi musei statali si possono vedere le più inusitate rovine greche, egizie, arabe. I pezzi rubati dagli esploratori del diciottesimo secolo sono stati ricostruiti e ricomposti, in modo che si possano visitare come nei luoghi d’origine.
A Berlino ho saputo del terremoto che ha devastato Haiti. Due mondi, come due pianeti diversi. La potente Germania centellina - e pubblicizza - ogni centesimo che offre agli haitiani, mentre la povera e assediata Cuba aumenta la presenza incondizionata dei suoi medici.
Non parlo, naturalmente, del popolo tedesco, che conserva la memoria di Marx ed Engels, di Bertold Bretch, di Rosa Luxembur e di Clara Zetkin, il popolo che ha generato tanti pensatori e leader rivoluzionari.
Visitare Berlino oggi è un apprendistato, una specie di lezione. Degli errori del socialismo, delle sue deviazioni sappiamo già, ma non è ancora stata detta l’ultima parola. Bisogna ancora parlare del vicolo cieco che è il capitalismo, e delle conseguenze della sua adozione nel Primo Mondo. Mancano pagine di storia ancora da scrivere.
Fonte - www.la-isla-desconocida.blogspot
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