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America Latina, dalla finzione alla realtà

Miguel Urbano Rodrigues | odiario.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/07/2016

Miguel Urbano si concentra in questo testo sulla presente evoluzione dell'America Latina, dalla contestazione al neoliberalismo all'inizio del millennio con l'elezione schiacciante di due populisti con discorsi anti-neoliberali, Lula e Kirchner, alla presidenza del Brasile (2002) e Argentina (2003), fino alla presente fase di recupero di posizioni da parte dell'imperialismo nord-americano.

L'inizio di quella che sembra la fine del presente ciclo di governi progressisti e delle preoccupazioni per il futuro di Cuba e delle FARC-EP, sembra "favorire la restaurazione della controrivoluzione" in America Latina. Ma se il presente panorama richiede realismo nell'analisi della difficile situazione, è ugualmente importante constatare che l'acutizzarsi delle contraddizioni, accelerate dall'inarrestabile avanzamento della crisi strutturale del sistema del capitale, rende necessario che il movimento operaio e sindacale e i rivoluzionari chiariscano le loro posizioni e rompano con le influenze ideologiche estranee agli interessi di classe.

Miguel Urbano conclude: "Mi piacerebbe essere ottimista, ma la situazione attuale in America Latina mi impone il dovere di esser realista".



America Latina, o Amérique Latine, sono espressioni geografico-storiche relativamente recenti.

Queste parole furono utilizzate per la prima volta nel 1836 da un francese, Michel Chevalier e volgarizzate da Napoleone III quando invase e occupò il Messico nel 1861. L'obiettivo dell'imperatore fu quello di eliminare i popoli d'America che parlavano inglese.

Ma l'espressione è ingannevole. Con una superficie di 21.070.000 km2 e una popolazione di circa 620 milioni di persone, l'America Latina è un insieme eterogeneo di paesi.

Di comune questi hanno solamente il fatto che parlano idiomi latini - ufficiali solo in alcuni di essi - e quello di essere stati colonizzati e sfruttati da potenze europee e essere stati sottomessi, a partire dalla prima guerra mondiale, alla dominazione imperiale degli Stati Uniti.

Diversità

La composizione etnica di questi paesi è estremamente diversificata.

Ad Haiti (27.000 km2 e 9 milioni di abitanti), a Cuba (110.000 km2 e 11.300.000 abitanti), a Porto Rico (8.500 km2 e 4.000.000 di abitanti) e nella Repubblica Dominicana (48.000 km2 e 10.000.000 di abitanti) i popoli autoctoni furono totalmente sterminati. Haiti è oggi un paese di afro-haitiani. In Brasile (8.500.000 km2 e 202.000.000 di abitanti) gli amerindi sono residuali (meno dello 0.5%). La popolazione attuale discende da europei e africani e in percentuale minima, da asiatici. In Argentina (2.792.000 km2 e 43.000.000 di abitanti) e in Uruguay (176.000 km2 e 3.500.000 abitanti) la quasi totalità della popolazione è oggi di origine europea.

La diversità di criteri adottati nei censimenti della popolazione mette in dubbio la credibilità delle statistiche relativa alla composizione etnica.

Si presume che in Messico (1.964.000 km2) 12 dei 120.000.000 di abitanti siano indios, di cui un alta percentuale si esprime anche in idiomi precedenti alla conquista spagnola. In Perù (1.285.000 km2 e 31.000.000 di abitanti) e in Bolivia (1.090.000 km2 e 11.000.000 di abitanti), il quéchua e l'aimará, lingue di Incário, sono ufficiali, insieme allo spagnolo. In Ecuador (243.000 km2 e 16.000.000 di abitanti) la maggioranza degli indios mantiene come lingua materna il quéchua.

In Paraguay (406.000 km2 e quasi 7.000.000 di abitanti), il guaranì è parlato dalla maggioranza della popolazione, anche se questa discende oggi soprattutto da emigranti europei. Il massacro fu tale che durante la guerra genocida contro la Triplice Alleanza (Brasile, Argentina e Uruguay) fu autorizzata la poligamia perché quattro quinti degli uomini morirono durante il conflitto, incentivato dall'Inghilterra.

In Cile (756.000 km2 e 18.000.000 di abitanti), i mapuches, discendenti degli antichi araucani, sono approssimativamente 1.500.000.

In Colombia (1.140.000 km2 e 48.000.000 di abitanti) e in Venezuela (915.000 km2 e 30.000.000 di abitanti) gli amerindi sono poco numerosi, ma la mescolanza di razze è stata intensa. Nel primo di questi paesi esiste una importante minoranza di afro-colombiani (quasi 5 milioni).

In Guatemala (109.000 km2 e 16.000.000 di abitanti) la maggioranza della popolazione è amerinda, discendente degli antichi maia. In Honduras (110.000 km2 e 8.700.000 di abitanti); in Nicaragua (148.000 km2 e 5.000.000 di abitanti); in El Salvador (21.500 km2 e 8.700.000 abitanti); e in Panama (78.000 km2 e 3.000.000 di abitanti), la maggioranza è meticcia, ma la percentuale di amerindi è piccola. In Costa Rica (51.000 km2 e 5.000.000 di abitanti) la maggioranza ha un aspetto europeo, ma questo è il risultato del fatto che il gene iberico ha prevalso su quello autoctono perché la mescolanza di razze è stata intensa.

La quasi totalità della popolazione delle Antille Francesi (2.835 km2 e 850.000 abitanti) e della Guaiana Francese (83.000 km2 e 250.000 abitanti) è di origine africana.

La mescolanza di razze e le interazioni culturali

Due francesi, Carmen Bernand e Serge Gruzinski, scrivevano l'opera più importante che conosco su questi processi di mescolanza di razze in America *.

Questi storici analizzano esaustivamente i processi di mescolanza di razze nell'emisfero, che differiscono ampiamente tra le regioni.

Richiamiamo l'attenzione particolarmente per una realtà poco studiata. In Messico e in Perù, i conquistadores spagnoli massacrarono sistematicamente le élite che detenevano il potere e il sapere. Ma i capitani peninsulari risparmiavano le donne delle classi alte di Tenochtitlan e di Incário e in molti casi si sposarono con esse.

I figli di queste unioni furono educati come spagnoli e molti di essi divennero pionieri di una nuova cultura che fuse i valori degli aztechi, degli inca e degli europei.

E' noto il caso di Garcilaso de la Vega, autore di una opera classica di storiografia spagnola. Sua madre era una principessa inca e suo padre un capitano spagnolo.

Martin, il figlio di Hernan Cortês e di Dona Marina, una azteca di origine nobile, si distinse anch'esso per il suo intervento nella Storia.

Il Messico ha generato un notevole storico meticcio, Fernando Alva Ixtlixochitl, discendente dei re di Tenochtitlan e Texcoco.

A partire dalla metà del XVI secolo il nauhatl - la lingua più parlata nell'altopiano centrale messicano - passò ad essere scritta in alfabeto latino. Le élite indigene ebbero accesso alla cultura del Rinascimento nel secolo d'oro spagnolo.

In Messico sorse una generazione di scrittori, musicisti e pittori meticci le cui opere, per la creatività e l'immaginazione, esprimevano una nuova cultura, sintesi e fusione degli autoctoni e di quella introdotta dai conquistadores. E questo avvenne anche in Perù, luogo di nascita di un'altra delle grandi civiltà del Nuovo Mondo, gli Inca.

Gli storici dedicarono scarsa attenzione alle conseguenze sociali, economiche e politiche della tragedia che dal Canada alla Patagonia fu il risultato delle malattie portate dall'Europa.

In Messico, un secolo dopo la conquista, la popolazione del paese era approssimativamente di un milione di abitanti, un decimo di quella esistente quando Cortés entrò a Tenochtitlan. In Perù, in Bolivia e in Ecuador, lo spopolamento fu similare perché gli indios non avevano alcuna difesa contro le epidemie come quella del vaiolo e dell'influenza.

E' trascorso quasi un quarto di secolo dalla pubblicazione dell'importante libro di Carmen Bernard e Serge Gruzinski. Studi genetici recenti affrontano la problematica della mescolanza di razze in un periodo breve e sotto una prospettiva più culturale che etnica.

Luci e ombre

All'inizio del XIX secolo le lotte per l'indipendenza furono soprattutto guidate da creoli di grandi famiglie. Miranda, Bolivar, San Martin, Sucre, Santander, O'Higgins, José Artigas discendono da europei.

Ma in Messico le insurrezioni armate furono dirette da dei sacerdoti, Miguel Hidalgo e José Maria Morelos, un meticcio.

Il sogno di Bolivar – un'America Latina unita, democratica, progressista e veramente indipendente – fu rapidamente smentito dal corso della Storia. Le oligarchie che assunsero il potere governarono dispoticamente in beneficio della classe dominante, discendente degli europei. In Brasile, il principe D. Pedro, figlio di D. João VI, si proclamò imperatore e la monarchia durò fino al 1889.

La dittatura fu, con poche eccezioni, la forma di governo più comune nelle repubbliche latino-americane.

Il ricorso permanente a prestiti, risultato di cattivi governi e della stagnazione economica, fu determinante per l'indebitamento galoppante di questi paesi. L'Inghilterra fu la potenza dominante nella Regione fino alla fine della I Guerra Mondiale. In Argentina e in Cile la sua influenza economica e politica fu egemonica. A partire dal 1920, l'imperialismo nord-americano dominò il Continente e moltiplicò gli interventi militari nei paesi che non si sottomettevano alle sue esigenze (Messico, Nicaragua, Haiti, Repubblica Dominicana, Panama, Granada, tra gli altri).

Dalla rivoluzione cubana alla crisi del progressismo

La vittoria della Rivoluzione Cubana nel 1958 ha generato una grande esperienza in America Latina. Gli anni '60 furono segnati dalla convinzione che era possibile prendere il potere con la lotta armata e implementare il socialismo in paesi
dipendenti dal capitalismo, semi colonizzati dagli USA. In Venezuela, in Perù, in Argentina, in Guatemala, in Nicaragua, in El Salvador organizzazioni rivoluzionarie presunte marxiste, ispirate dall'esperienza di Cuba, ricorsero alla guerriglia rurale come strategia di lotta contro l'imperialismo. La tragica morte del Che in Bolivia ha sepolto duramente questa illusione romantica. Le guerriglie furono sconfitte militarmente nella maggioranza di questi paesi. In El Salvador un compromesso patrocinato dagli USA pose fine al conflitto armato. In Nicaragua il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale prese il potere nel 1979, rovesciando la dittatura di Somoza, ma lo perse nel 1990 per via elettorale.

La grande e insperata eccezione ha avuto la Colombia come scenario. La sopravvivenza per più di mezzo secolo delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo ha dimostrato che in condizioni storiche, politiche ed economiche eccezionali era possibile avviare e mantenere la lotta armata contro l'Esercito più numeroso e ben armato dell'America Latina. Le FARC-EP sono inoltre una guerriglia-partito che si assume come marxista-leninista.

Con la sconfitta nord-americana in Vietnam e della Francia in Algeria si accentuò il disprezzo dell'imperialismo su scala mondiale. La solidarietà dell'URSS ai movimenti di Liberazione in Africa e in Asia colpì duramente la strategia di dominazione nord-americana.

L'elezione di Salvador Allende in Cile, l'avvento in Perù e in Bolivia dei governi progressisti dei generali Velasco Alvarado e Juan José Torres e la resistenza vittoriosa della Rivoluzione Cubana rinnovarono l'esperienza nei paesi a sud di Rio Bravo.

Ma l'imperialismo nord-americano, che otterrà una grande vittoria in Brasile con il golpe militare del 1964 e che sconfisse il presidente João Goulart, riprese l'iniziativa in America Latina. Washington contribuì decisamente per la preparazione e il successo della controrivoluzione cilena; Kissinger lo confermò nelle sue memorie.

Nel resto dell'Emisfero la sconfitta delle guerriglie rurali e urbane permise la consolidazione di una serie di dittature, in Brasile, in Argentina, in Uruguay, in Paraguay, in Bolivia, in Honduras, in Haiti, in Guatemala, in Nicaragua.

Gli USA sostennero questi regimi che si sottomisero docilmente alle esigenze della Banca Mondiale e del FMI, adottando politiche neoliberiste ortodosse, ispirate al modello cileno imposto da Pinochet.

Il risultato fu disastroso. Per le economie latino-americane gli anni '80 furono "il decennio perso".

Non c'era alcun paese della Regione con condizioni soggettive per uno scontro frontale dei popoli con l'imperialismo statunitense.

Ma l'aumento torrenziale della contestazione sociale al neoliberalismo dal Messico all'Argentina, allarmò Washington. Gradualmente ritirò il suo appoggio alle dittature, cosciente che questi regimi non favorivano più i suoi interessi. Modificò la tattica.

In Brasile e in Cile furono eletti presidenti che condannarono i regimi militari. In Argentina, il popolo insorse contro la politica di Menem, il paese entrò in bancarotta e dopo una prolungata crisi, Nestor Kirchner assunse la presidenza e iniziò una politica populista con un discorso anti-neoliberale.

Ma fu in Venezuela che, insperatamente, un militare, il colonello Hugo Chávez, vinse con ampia maggioranza le elezioni nel 1999. Sconfitto un golpe di stato nel 2002 (appoggiato e finanziato dagli USA) e un lock-out controrivoluzionario, vinse successive elezioni e morì come presidente nel 2013.

Ispirato a Bolivar, sviluppò una politica che gradualmente si scontrò con gli USA, soprattutto a partire dal momento in cui dichiarò l'opzione socialista della Rivoluzione Bolivariana.

Ma nonostante la nazionalizzazione reale del petrolio – fonte principale del PIL – e la riforma agraria, il Venezuela continua a esser un paese capitalista con il settore privato a controllare aree chiavi dell'economia e dei servizi.

L'ideologia del regime, il cosiddetto Socialismo del XXI secolo, fu più uno slogan che una realtà, anche perché il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) è una organizzazione eterogenea, lontana dal marxismo.

Nicolas Maduro, attuale presidente, manca del carisma di Chavez. L'opposizione ha vinto le elezioni legislative, conta su un'ampia maggioranza in Parlamento e la situazione economica si degrada ogni settimana. Il futuro della Rivoluzione Bolivariana è molto preoccupante.

Difficilmente il regime progressista della Bolivia – che si caratterizza per contraddizioni complesse – potrà sopravvivere a un ritorno della destra a Caracas.

Gli Stati Uniti si trovano in un momento di offensiva in tutta l'America Latina. James Petras ha chiamato insistentemente all'attenzione per questa realtà, criticando l'ottimismo irresponsabile di molti intellettuali progressisti.

Il Brasile attraversa una crisi molto profonda di epilogo imprevedibile. In Argentina, Macri, il successore di Cristina Kirchner, impone una politica di destra di sottomissione totale agli USA.

Washington ha rinunciato ai golpe tradizionali, promossi da militari. La tattica adesso è altra. Obama – il presidente degli USA più pericoloso per l'umanità degli ultimi decenni – incentiva e finanzia golpe istituzionali attraverso dei parlamentari per disfarsi di presidenti scomodi.

Questo è avvenuto in Honduras e in Paraguay.

Le stesse FARC-EP impegnate da 60 anni in una lotta epica contro l'oligarchia colombiana, tutelata dall'imperialismo americano, affrontano oggi problemi che suscitano legittime interrogazioni circa l'esito dei Dialoghi di Pace con il governo di Juan Manuel Santos. L'Accordo di Cessate il Fuoco è stato firmato da entrambe le parti. Ma sarà praticabile la cosiddetta "riconciliazione" nei termini in cui è stata discussa, con l'avallo dello Stato-Maggiore Centrale dell'organizzazione rivoluzionaria? Ma qualunque sia l'esito del processo di pace, la lotta epica delle FARC-EP sarà ricordata come esempio meraviglioso dell'eterna lotta di uomini per la libertà.

Cuba è oggi l'ultimo baluardo rivoluzionario che detiene il potere in America Latina. Ma il ristabilirsi delle relazioni diplomatiche con gli USA a livello di ambasciatori giustifica apprensioni. Il blocco persiste, così come la Legge di Aggiustamento Cubano e l'ingresso di capitali americani nel paese e di centinaia di migliaia di turisti è visto con timore comprensibile da molti dirigenti del Partito, come le misure mercantili approvate dall'ultimo congresso del PC di Cuba.

Non esagera il Partito Comunista del Messico in un documento del suo Comitato Centrale datato febbraio di quest'anno, quando afferma (http://www.odiario.info/america-crise-do-capitalismo-crise-do/) che in America Latina "abbiamo un panorama nel quale la crisi del progressismo favorisce la restaurazione della controrivoluzione e inoltre in cui il progressismo, aiutato da partiti comunisti di prestigio, condanna la critica rivoluzionaria".

Gli Accordi dell'Avana, firmati dal comandante capo delle FARC e dal presidente della Colombia sono preoccupanti. In modo significativo sono stati festeggiati dalla destra in Europa e in America Latina.

Mi piacerebbe esser ottimista, ma la situazione esistente in America Latina, mi impone il dovere di esser realista.

Vila Nova de Gaia, Luglio 2016

* Carmen Barnard e Serge Guzinski, Histoire du Nouveau Monde-Métissages, Ed.Fayard,Paris, 1993


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