www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 23-03-17 - n. 626

L'Africa deve aprirsi agli africani

Carlos Silenou e Olivier A. Ndenkop | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Editoriale del Journal de l'Afrique n°30

12/03/2017

Nel corso della 18a sessione ordinaria dell'Unione africana nel gennaio 2012, i dirigenti del continente avevano annunciato una serie di misure da prendere per "ridurre la povertà, creare posti di lavoro, integrare il continente nell'economia mondiale..." Si erano spinti anche più lontano annunciando la realizzazione del libero scambio tra paesi del continente, con orizzonte il 2017. Siamo nel 2017, ma il libero scambio promesso si rivela ancora un mito. Nel frattempo, si affrettano a firmare e applicare gli accordi di partenariato economico con l'Unione europea (APE)

Nella sua favola intitolata I figli discordi del contadino, Esopo ha scritto: "Tanto l'unione fa la forza, quanto la discordia espone ad una rapida sconfitta". Vecchia da più di due millenni, questa opinione del favolista, certamente ispirata dal suo vissuto nella Grecia antica, corrisponde alla storia contemporanea dell'Africa. La disunione del continente ha avuto per conseguenza la sua marginalizzazione all'esterno e la sua compartimentazione all'interno…

Fuori delle sue frontiere, l'Africa è considerata come un grande bambino. Non un posto permanente al Consiglio di sicurezza dell'ONU, nonostante il suo miliardo e 300 milioni di abitanti. Immergendosi senza identità nella cultura dell'Altro, utilizzando in alcuni casi una valuta emessa e controllata da un colono partito per meglio restare, il continente fa la figura di una comparsa nelle relazioni internazionali.

All'interno del continente è stato messo del filo spinato invisibile. Oggi ancora, per andare da una capitale africana a un'altra, occorre passare per l'Europa o l'America, mancando i voli diretti tra paesi della stessa regione! Secondo le cifre dell'Unione africana, il commercio intra-africano raggiunge appena il 15% contro il 40% in America settentrionale e il 60% coi paesi europei. In altri termini, gli Africani si scambiano meno del 15% di beni e servizi che producono. Producono ciò che non consumano e consumano ciò che non producono.

Se questa situazione si spiega con l'offensiva delle multinazionali straniere, non c'è ombra di alcun dubbio che oltre ai discorsi volontaristici, una volontà di apertura dell'Africa agli Africani fa difetto ai dirigenti del continente. La natura ha orrore del vuoto e i beni e servizi che arrivano si insediano confortevolmente nei saloni, nei piatti, ma anche nei cervelli degli Africani.

E tuttavia, l'integrazione del continente, basata su riforme adeguate, permetterebbe agli Africani di incontrarsi, conoscersi e soprattutto adottarsi. Aprendosi, l'Africa svilupperà la sua industria turistica, potenzierà il consumo intra-africano, che è il solo mezzo efficace per lottare contro la disoccupazione e la povertà. Aprendosi a sè stessa, l'Africa si collegherà, perché i cittadini dei vari paesi si accetteranno, realizzeranno progetti comuni e potranno facilmente collaborare per difendersi e difendere il continente. E così collegata, l'Africa, forte dei suoi due miliardi di abitanti attesi nel 2050, diventa intoccabile ed inevitabile nelle relazioni internazionali.

Aprendo le sue frontiere ai cittadini dei 30 paesi del continente, il Benin lancia un appello agli Africani/e


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