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- osservatorio - mondo - politica e società - 10-05-18 - n. 672
L'Africa nello specchio cinese
Higinio Polo | elviejotopo
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
03/05/2018
Prima Parte
Secondo l'ONU, dei 48 paesi più poveri del mondo, 36 sono africani. Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Mali, Burundi, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan del Sud e Libia sono i paesi con guerre e conflitti aperti, ma ci sono anche situazioni molto critiche in Sudan, Eritrea e Mozambico.
Africa: un continente di 1.200 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali sotto i trent'anni (in 40 paesi, il 40% della popolazione ha meno di venti anni), con quasi la metà che vive in condizioni di povertà, con varie guerre in corso e un dissanguamento di giovani che, rischiando la vita, attraversano il Sahel e il deserto cercano di raggiungere l'Europa.
Nonostante ciò l'Africa si muove: il 21 marzo 2018, 44 dei 55 paesi che compongono l'Unione Africana si sono riuniti a Kigali, in Ruanda, per firmare il Trattato di Libero Commercio Africano (AfCFTA in inglese). La Nigeria, la maggior economia dell'Africa, prima di aderirvi vuole considerare attentamente le conseguenze dell'accordo, così come il Sud Africa e l'Uganda. Questo Trattato è una delle iniziative dell'Agenda 2063 dell'Unione Africana.
Gli Stati Uniti, con lo sguardo rivolto al decollo asiatico e al rafforzamento cinese, non vogliono perdere terreno nei confronti di Pechino in Africa. Nel mese di agosto del 2014, Obama promosse un vertice USA-Africa a Washington cui hanno partecipato i presidenti dei 47 paesi africani: era un chiaro messaggio che gli Stati Uniti non si sarebbero sottomessi ai cambiamenti provenienti da est e che stavavano andando a giocarsi con la Cina la presenza nel continente nero. Obama ha anche promosso il piano Power Africa per portare l'elettricità in alcune aree del Sahel e ha visitato il Kenya e l'Etiopia per contrapporsi all'attività crescente della Cina: dal 2010 la Cina è diventata il principale partner commerciale dell'Africa, superando gli Stati Uniti, al punto che alcuni studi ritengono che il commercio della Cina con l'Africa sia già il doppio di quello statunitense-africano. La preoccupazione nordamericana ha portato il Comitato Intelligence della Camera dei Reppresentanti ad approvare nel marzo 2018 un'indagine sui piani che la Cina avrebbe per "rafforzare la sua potenza militare ed economica in Africa." Nel 2018, il governo di Xi Jinping ha previsto di realizzare a Pechino il Forum on China-Africa Cooperation, il più grande incontro sulla cooperazione economica, che riunirà tutti i paesi del continente. Il precedente Forum si è tenuto a Johannesburg, in Sud Africa nel 2015 e ha creato un ulteriore impulso alla collaborazione tra Cina e Africa.
Tutto ciò quando l'Unione Africana, che riunisce tutti i paesi africani, ha definito l'Agenda 2063, un ambizioso programma di sviluppo cinquantennale, basato su progetti precedentemente avviati come Piano d'azione di Lagos, e il Programma de Integrazione Mínima, il Programma di Sviluppo di Infrastrutture in África (PIDA), il Trattato di Abuja o il Programma di Sviluppo Agrícolo Integrale dell'África (CAADP). Le sfide sono ingenti. L'Africa affronta il problema dello sviluppo e della corruzione, oltre a quello delle guerre e delle carestie: il 30°vertice dell'Unione Africana ad Addis Abeba, svoltosi nel gennaio 2018, ha posto l'accento sulla lotta alla corruzione e sulla promozione dello sviluppo e sull'associazione con la Cina che è la scommessa del futuro di molti paesi, in quanto basata sul concetto di "reciproco vantaggio" con cui Pechino incoraggia la sua collaborazione strategica. La Cina sta costruendo infrastrutture in tutto il continente ed è in grado di offrire tecnologia, attrezzature sofisticate, logistica efficace, finanziamenti ed esperti in tutte le attività economiche senza richiedere, a differenza degli Stati Uniti o della Francia, contropartite politiche, diplomatiche e militari. A breve termine, le priorità per l'Africa sono la sicurezza alimentare, l'eliminazione della fame e il controllo delle malattie, nonché la pacificazione del continente e l'intensificazione dello sviluppo economico. Per tutti questi obiettivi, l'Africa ha messo gli occhi sulla Cina.
Nigeria, Etiopia ed Egitto sono i tre giganti demografici africani; per loro economia sono uguali, con l'Etiopia che lascia il posto al Sudafrica. Storicamente, il continente africano è stato una fonte di risorse naturali per i paesi capitalisti, che non hanno esitato a istigare guerre e scontri per raggiungere i loro scopi. La competizione tra Cina e Stati Uniti è accompagnata da accuse e propaganda: Washington (come se la sua traiettoria nel secolo scorso, in tutto il mondo, fosse stata presieduta dalla solidarietà e dalla collaborazione e non dal più brutale imperialismo) accusa oggi la Cina di attuare una politica "estrattiva" in Africa, mentre la stampa conservatrice e gli intellettuali al suo servizio, accusano la Cina di "imperialismo".
È il riflesso della paura: l'allarme dei cambiamenti nel continente africano ha portato Thomas Waldhauser (generale dei marines e feroce veterano di Afghanistan e Iraq, nominato capo dell'USAFRICOM a Stoccarda nel 2016) a mettere in guardia Ismail Omar Guelleh, presidente di Gibuti, sulle "cose che la Cina non dovrebbe fare nel suo paese". Non è stata la prima accusa nordamericana, tutt'altro: da anni la sua diplomazia semina sospetti e diffonde false accuse per danneggiare l'attività cinese e lo stesso Tillerson, nel suo recente tour in America Latina, ha indicato Pechino come l'autore di "ingiuste pratiche commerciali " e ha messo in guardia i paesi dell'America Latina dal pericolo di "eccessiva dipendenza" dalle loro relazioni con la Cina.
Come se l'America Latina non avesse già subito il vecchio imperialismo di Washington e le sue imposizioni sanguinarie, il segretario di Stato, indicando la Cina, ha detto: "si estende in America l'ombra incombente di Cina e Russia" e "L'America Latina non ha bisogno di nuovi poteri imperiali che guardano solo al loro interesse. Gli Stati Uniti sono diversi: non cerchiamo accordi a breve termine per i più disparati benefici, cerchiamo partner". In Africa, gli Stati Uniti mantengono le stesse accuse: per bocca del suo Segretario di Stato, è diventato un paese sorprendente, preoccupato e solidale che vigila per l'equità e la giustizia nel mondo. Peccato che nella storia di Tillerson la traiettoria nordamericana non lo aiuti proprio a rendere credibili le sue preoccupazioni: la manifesta ingerenza degli Stati Uniti con invasioni, guerre, colpi di stato, pressioni e imposizioni a molti paesi (dall'Afghanistan al Venezuela, dall'Iraq all'Honduras, dalla Siria al Brasile, dalla Corea alla Libia) non solo in America Latina e in Africa, ma in tutto il mondo, ha messo in dubbio le sue parole generose e la sua preoccupazione per il Paesi latinoamericani e africani. Forse senza accorgersene, quelle accuse nordamericane alla Cina erano l'atto che sanciva la retrocessione occidentale in Africa e l'aumento del prestigio cinese.
La diplomazia nordamericana e i suoi strumenti di propaganda hanno anche giocato con l'equivoco, suggerendo che il centro logistico cinese in costruzione a Gibuti, punto di appoggio per le navi che combattono la pirateria nel Corno d'Africa sia una base militare, cosa completamente falsa; senza dimenticare che gli Stati Uniti e alcuni dei suoi alleati, come la Francia e il Giappone, hanno basi militari a Gibuti. L'enclave ha un'enorme importanza strategica. Attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb passa la strada che collega l'Europa con il nord e ad est con il golfo di Aden, la più importante rotta marittima che collega l'Africa con l'Asia: Pechino vuole mantenere le sue vie di trasporto sicure e anche garantire la produzione di petrolio che il Sudan e il Sud Sudan esportano in Cina, che partono dal Mar Rosso e dallo stretto di Bab-el-Mandeb. Da Gibuti passa anche una delle rotte di contrabbandieri e migranti, soprattutto etiopi e somali, che vogliono andare in Arabia attraverso lo Yemen, nonostante la guerra.
L'influenza occidentale in Africa è indubbia: la Francia mantiene una considerabile presenza nei paesi che formavano la vecchia Africa occidentale francese e Africa equatoriale francese e l'Unione Europea ha incrementato gli aiuti militari ai paesi del Sahel (Ciad, Niger, Mali, Niger, Burkina Faso e Mauritania), con oltre un centinaio di milioni di euro ed è riuscita a ottenere che l'Arabia contribuisse con altri cento milioni. Dal 2014, con la "migrazione illegale" e la "sicurezza" al centro delle sue preoccupazioni, l'Unione Europea porterà in sei anni 4 miliardi di euro. La Francia, vecchia metropoli, ha unità militari di stanza in Ciad, Burkina Faso, Niger e Costa d'Avorio tra gli altri paesi della regione, come negli anni della Françafrique e Hollande, intervenuto militarmente in Mali nel 2013 con la scusa di fare fronte al terrorismo e di "difendere i cittadini francesi", anche se dietro c'erano gli interessi della multinazionale francese di energia nucleare Areva, ora chiamata Orano. Dal 2018, Parigi ha 4.000 soldati di stanza in Mali.
Da parte loro, gli Stati Uniti contano su solide basi in tutto il continente, sia per il dispiegamento militare e l'influenza diplomatica, sia per i traffici delle sue multinazionali e i suoi servizi di intelligence sono molto attivi, anche se ciò non impedisce loro di avere fallimenti clamorosi come in Mali. Washington ha priorità in Africa a mantenere aperte e controllate le rotte di navigazione nel Mar Rosso e nello stretto di Suez e nel Corno d'Africa (dove condivide con la Cina la sua lotta alla pirateria), l'alleanza con il Marocco e l'Egitto e il controllo del Maghreb, oltre allo sfruttamento delle risorse del continente, mentre cerca di ostacolare la collaborazione economica della Cina con i paesi africani; in secondo piano, prova a controllare l'evoluzione del sud dell'Africa (Mozambico, Sudafrica, Zimbabwe), combatte i gruppi jihadisti e cerca la stabilizzazione politica del Sahel e del cuore dell'Africa per facilitare le azioni e gli interessi dei gruppi economici nordamericani.
Da parte sua, la Cina, che ha stabilito relazioni con l'Africa dagli anni '60, fino alla fine del XX secolo non ha avuto la forza necessaria per essere presente in tutto il continente. Da allora, applicando la sua cauta politica di rafforzamento della sua economia, stabilendo accordi di collaborazione strategica e sviluppando una politica estera per promuovere la pace, offre progetti per infrastrutture ferroviarie, costruzioni stradali, porti, aeroporti e città, rafforzando i rapporti diplomatici e gli acquisti di materie prime per le sue industrie. Sebbene la Cina promuova principalmente la cooperazione economica, non trascura le relazioni politiche: nel novembre 2017, 60 leader di partiti politici africani, provenienti da oltre venti paesi, si sono incontrati a Pechino con i leader del Partito Comunista Cinese, per approntare principi di governo, meccanismi di applicazione di uno sviluppo economico sostenibile e iniziative per la difesa della pace nel mondo. La Cina vuole pace e stabilità: sa che sono essenziali per il proprio sviluppo.
A sua volta, la Russia, che ha perso l'influenza degli anni sovietici, ha avviato una discreta collaborazione economica con compagnie minerarie in Nigeria, Angola, Namibia e Sudafrica, oltre a progetti agricoli in Namibia. Anche il nuovo presidente dello Zimbabwe (Emmerson Mnangagwa, che ha sostituito Robert Mugabe alla fine del 2017 costretto a dimettersi dall'esercito), si è mostrato vicino a Mosca, con la quale desidera mantenere la collaborazione in materia di sicurezza e difesa. In Egitto, la Russia ha anche firmato la costruzione di una centrale nucleare ad Al Dabaa, il più grande contratto della recente storia russa, che sarà la più moderna e con la maggiore capacità dell'Africa. Inoltre, nel 2017 è stato in grado di avviare una cooperazione con il Sudan sull'energia atomica per uso civile e Khartoum e Mosca hanno firmato un accordo alla fine dell'anno per costruire una centrale nucleare; ma il ruolo svolto dalla Russia in Africa è secondario.
(Continua)
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