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L'Africa nello specchio cinese

Higinio Polo | elviejotopo
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

03/05/2018

Prima Parte

Seconda Parte

L'Africa oggi, in diversi suoi paesi, soffre una serie di pericolosi conflitti che coesistono ancora, in altri suoi paesi, con le speranze di cambiamento. Nel dicembre 2012 è iniziata la guerra nella Repubblica Centrafricana e l'anno successivo, nel dicembre 2013, la guerra nel Sud Sudan, che attualmente è in atto. L'embargo sulle armi da parte degli Stati Uniti ha fatto si che Juba richiamasse il proprio ambasciatore a Washington e presentasse una protesta formale per l'intervento di Nikki Halley al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per aver criticato il governo di Salva Kiir. Gli Stati Uniti premono sul Sudan, intervengono nella guerra civile del Sud Sudan, vogliono controllare il Kenya, che subisce forti offensive terroristiche dallo jihadismo musulmano, aspirano a un'Eritrea isolata, a Gibuti, dove la Cina ha aperto la sua base logistica, e alla Somalia, che è diventato uno stato fallito, dove i droni e gli aerei americani spesso bombardano. Dall'altro lato del Corno d'Africa la guerra nello Yemen continua, con Washington che usa come braccio armato l'esercito di Arabia per far fronte all'Iran. Del resto in questa grande regione africana e asiatica, a cavallo del Mar Rosso, coincidono tre delle quattro più gravi crisi umanitarie, secondo le Nazioni Unite, che affronta il pianeta: Yemen, Sud Sudan, Somalia e Nigeria. Il nord dell'Africa sta vivendo anni convulsi. Il rovesciamento di Gheddafi nel 2011 dopo il cruento intervento della NATO, con Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia come protagonisti, ha portato il caos nel paese che, ancora 7 anni dopo, non è terminato. Obama ha accolto giubilante la notizia dell'assassinio di Gheddafi, ma gli Stati Uniti hanno scoperto i costi dell'interventismo: nel settembre 2012 la sua ambasciata a Bengasi è stata attaccata e sono stati uccisi quattro diplomatici. Hillary Clinton ha avuto seri problemi con il Congresso per questo. Nell'agosto 2013, gli Stati Uniti hanno evacuato 19 ambasciate e uffici di rappresentanza nel Nord Africa e nel Medio Oriente: il Pentagono temeva un'ondata di attacchi terroristici al punto che, nel maggio del 2014, Washington ha inviato navi da guerra sulle coste libiche.

Il caos successivo alla caduta di Gheddafi ha portato instabilità in buona parte del Sahel: Mali, Mauritania e Niger, gruppi combattenti armati che hanno combattuto in Libia si sono riconvertiti e operano nella zona. Inoltre, i Tuareg, che ignorano le frontiere e i paesi, hanno conquistato più armi e sono una forza che non può essere ignorata e che opera principalmente in Mauritania, Mali settentrionale, sud dell'Algeria e Niger. Di fatto il caos ha provocato la caduta del presidente del Mali, Amadou Toumani Toure, col colpo di stato del marzo 2012 condotto da Amadou Haya Sanogo, un militare formato e addestrato negli Stati Uniti i cui servizi segreti, tuttavia, non sono riusciti ad anticipare l'azione, sperperando denaro del programma nordamericano, come il New York Times ha pubblicato nel gennaio 2013. Gli Stati Uniti stavano addestrando soldati che sono poi diventati i loro stessi nemici. Tale situazione ha portato i tuareg, che avevano mantenuto buoni rapporti con Gheddafi, a proclamare lo Stato islamico di Azawad in un'area di quasi un milione di chilometri quadrati. Il Movimento nazionale per la liberazione di Azawad (MNLA) dei tuareg è l'organizzazione che ha promosso questo sviluppo. Gli Stati Uniti si vedono obbligati a cedere il passo alla Francia, nonostante la rivalità tra i due paesi per far valere la propria influenza nella regione del Sahel. Hollande ha inviato truppe in Mali nel gennaio 2013. La crisi è culminata nel settembre dello stesso anno con l'elezione di Ibrahim Boubacar Keïta, un politico esperto che ha portato il suo partito a partecipare come osservatore all'Internazionale socialista. L'azione dei gruppi jihadisti in tutto il Sahel, collegati a Daesh o che agiscono autonomamente, ha sommato complessità e pericolo al continente africano. Nella regione operano organizzazioni dedite al trasporto di droga, contrabbando di armi e di esseri umani, arrivando fino al punto di creare mercati di schiavi in Libia: secondo l'Agenzia nazionale per la proibizione della tratta di persone (Naptip), più di 25.000 nigeriani sono stati detenuti in campi di schiavitù in Libia.

Gli Stati Uniti hanno una base militare a Ougadogou, Burkina Faso, i cui aerei sorvolano gran parte del Sahara, Mali e Mauritania. Mantiene inoltre gruppi operativi speciali nella Repubblica del Congo, nel Ciad, nella Repubblica Centrafricana e in Kenya (Camp Simba). E inoltre possiede una base di droni a Niamey, la capitale del Niger e un'altra base a Entebbe, in Uganda, con diverse centinaia di militari di stanza. A Gibuti, Washington ha Camp Lemonnier, la grande base di USAFRICOM, con più di 4.000 soldati e aerei da guerra da cui esercita il controllo in sei basi di droni di sorveglianza in Africa. E ha distaccamenti in Mali, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Etiopia e Somalia.

La Nigeria (che era il principale produttore di petrolio in Africa e si è visto superare dall'Angola) rimane uno dei paesi più poveri del mondo e vive in un costante stato di crisi, con la popolazione piegata dalla miseria. La Nigeria ha cercato la collaborazione di Stati Uniti e Russia nella sua lotta contro Boko Haram, ma la pressione terroristica dello jihadismo africano continua. Le frasi offensive di Trump su alcuni paesi americani e africani, definendoli "paesi di merda", hanno portato Abuja a protestare formalmente. Nel sud della Nigeria, la Cina mantiene ottimi rapporti con il Gabon e con l'Angola, paesi che sostengono Pechino nella sua posizione sul Mar Cinese Meridionale. L'Angola ha nella Cina il suo più grande partner commerciale, la principale destinazione del suo petrolio e il più importante finanziatore della sua economia, oltre ad essere un alleato strategico.

Il cuore africano si dissangua nell'interminabile crisi nella Repubblica Democratica del Congo, dove, nel 1996, gli Stati Uniti hanno sostenuto l'invasione del paese da parte delle forze di Rwanda ed Uganda e ora si contendono le proteste contro Kabila per il ritardo delle elezioni in scontri con gruppi armati e deportazione forzata di milioni di persone, oltre alle violenze in Tanganica. Nel vicino Sudan, la guerra civile si trascina dagli anni 80, in mezzo a un mare di povertà e corruzione, un conflitto che ha causato più di due milioni di morti e dove nel 1996 gli Stati Uniti costrinsero Eritrea ed Etiopia (che si erano separate tre anni prima) ad intervenire nella guerra sudanese, usufruendo degli aerei da guerra nordamericani.

Gli Stati Uniti hanno appoggiato il governo islamista di Khartoum e i ribelli del sud hanno pressato le parti per pacificare il territorio in modo che Chevron potesse sfruttare i nuovi giacimenti scoperti e dopo gli accordi di pace del 2005, l'indipendenza del Sud Sudan nel 2011, gli Stati Uniti hanno deposto le loro uova in tutti i panieri, fornendo armi sia a Khartoum, che a Juba. Due anni dopo l'indipendenza del Sud Sudan il presidente Salva Kiir Mayardit destituì il vicepresidente Riek Machar, accusandolo di organizzare un colpo di stato, scontro che ha dato luogo a una nuova guerra dove appaiono scontri etnici e soprattutto si lotta per il potere e le risorse petrolifere del paese, problema che riguarda Washington. Non a caso il Sudan è stato uno dei principali esportatori di petrolio verso la Cina e gli Stati Uniti ora cercano di limitare l'accesso cinese a quella fonte di approvvigionamento. L'Etiopia media la guerra civile tra bande guidate da Kiir e Bachar: uno dei problemi che si sono aggiunti è il reclutamento di migliaia di bambini nei gruppi armati, oltre agli stupri costanti di donne e ragazze.

L'interventismo nordamericano viene da lontano, spesso è associato a una grave ignoranza del Pentagono (il che contrasta con la ricerca rigorosa sviluppata nelle sue università) e unito ad un'arroganza militare che ha causato gravi danni alla regione, avvelenando conflitti e creandone di altri nel suo affanno per il dominio globale. Gli Stati Uniti hanno cercato di riempire i vuoti lasciati da Mosca in Etiopia e in Sudan, che avevano mantenuto buoni rapporti con l'Unione Sovietica; mantengono la loro rivalità con la Francia e la loro maggiore preoccupazione è diventata la Cina. Gli Stati Uniti hanno allestito basi di addestramento militare in Etiopia per i gruppi armati che operano in Somalia, hanno stipulato l'accordo col governo etiope per aprire basi operative per i propri aerei da guerra che attaccavano in Yemen e in Somalia e ha costruito una base di droni a Arba Minch, vicino al lago Chamo e al lago Abaya, nel sud del paese. I servizi segreti nordamericani operano anche dall'Etiopia, uno dei giganti dell'Africa, dove le dimissioni del Presidente Hailemariam Desalegn (Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiope, EPRDF, salito al potere nel 2012 dando l'avvio al ventennio di Meles Zenawi, dopo aver rovesciato Mengistu) illustra le difficoltà e le controversie all'interno della coalizione di governo, in un quadro di crescita economica (il "miracolo etiope"), ma anche di inquietudine, dove il EPRDF, di origini marxiste, benché abbia il pieno controllo del parlamento, ha dovuto affrontare le proteste che, nel 2016, hanno causato numerosi morti. A livello internazionale, Hailemariam mantiene un'alleanza con gli Stati Uniti nelle guerre in Somalia e Sud Sudan e nel dispositivo militare nordamericano contro il terrorismo e in pratica la diplomazia nordamericana protegge il governo etiope in quanto strumento per il controllo del corno d'Africa, sebbene la presenza cinese si faccia notare: la Cina è il principale destinatario delle esportazioni etiopi. Il suo esercito è una delle forze più potenti in Africa e dal 2006 le truppe etiopi sono in Somalia, inviate lì dalla pressione nordamericana. Gli Stati Uniti sono intervenuti in Somalia dagli anni novanta e tanto Bush, quanto Clinton hanno inviato decine di migliaia di soldati e finanziato gruppi armati somali per far fronte alla coalizione islamista (che riceveva appoggio dall'Arabia) che si impossessò di Mogadiscio nel 2006. Il paese è in una situazione catastrofica: l'ONU ha contato migliaia di civili uccisi negli ultimi due anni, centinaia di sequestri e migliaia detenuti in modo arbitrario dalle forze governative e dai gruppi armati, mentre gli Stati Uniti intervengono bombardando regolarmente distaccamenti del gruppo jihadista di Al Shabab (collegato con al Qaeda) supporta l'attuale governo somalo e sostiene gruppi di operazioni speciali nel paese per allenare truppe di governo e intervenire con missioni segrete, tanto in Somalia come in tutto il corno dell'Africa.

Il grande bacino del Nilo è inoltre scenario di pericolose tensioni per la prevista costruzione di una diga sul gran fiume (in Etiopia, vicino alla frontiera sudanese, che sarebbe la più grande dell'Africa). Il Cairo teme per la portata d'acqua che arriva nel suo territorio. Quella "Diga del rinascimento etiope" si costruisce con finanziamento cinese e della Banca africana di sviluppo (AfDB) al quale fanno parte 53 paesi africani. Il dimissionario presidente etiope, Hailemariam Dessalegn, durante la sua visita al Il Cairo nel gennaio 2018, affermò che la Diga e la centrale idroelettrica che il suo paese costruisce sul Nilo, non avrebbero avuto ripercussioni negative per l'Egitto. Ma impera la sfiducia. L'opera è già al 60% della sua costruzione che terminerà nel 2019: a dispetto delle tranquillizzanti parole di Dessalegn, le differenze tra Etiopia, Sudan ed Egitto non sono finite e potrebbero suscitare un conflitto militare per la ripartizione della portata d'acqua del Nilo. Paesi come Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi, Uganda, Sudan del Sud e Gibuti che sperano di ricevere energia elettrica più economica, appoggiano l'Etiopia a fronte dell'Egitto. Con quella diga l'Etiopia sarà l'altro gigante africano della produzione di energia elettrica, oltre al Sudafrica.

A questa situazione si aggiunge la tensione tra Sudan ed Egitto. Il Cairo ha distaccate unità militari in Eritrea, sulla frontiera con il Sudan. La politica estera sudanese è stata caratterizzata da discontinuità con cambiamento di alleati. La Turchia mantiene buone relazioni con il Sudan e la visita di Erdogan a Khartum a gennaio 2018 è stata vista con scetticismo dal Cairo. Khartum ha ritirato il suo ambasciatore in Egitto e come se mancassero le incertezze nella regione, dal 2016 le dispute nel Golfo hanno diviso in due campi i paesi musulmani della zona: uno composto da Arabia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che accusano il Qatar e l'altra formata da Iran e Turchia che si allineano con Doha. Anche l'Egitto non vede di buon occhio l'affitto dato alla Turchia per 99 anni dell'isola sudanese di Suakin, nel litorale a sud di Porto Sudan e a nord della costa dell'Eritrea. Ankara e Khartum annunciarono lo sviluppo turistico sul mare Rosso, dove Il Cairo sospetta che la Turchia abbia previsto di costruire una base militare come punto di appoggio per controllare il transito nel Mare Rosso. Anche la presenza di navi turche è vista con sfiducia dall'Egitto e dall'Arabia. Inoltre Egitto e Sudan si disputano la sovranità del triangolo di Halayeb sulla costa, ricco in petrolio. Nel maggio 2017 il presidente sudanese Omar Bashir, accusò l'Egitto di intervenire nel conflitto in Darfur (che si trascina da anni e che è stato utilizzato dagli Stati Uniti per far pressione sulla Cina). Il generale Sisi, il presidente golpista egiziano, negò che il suo paese sarebbe intervenuto, benché il suo governo accusasse il Sudan di complicità coi Fratelli Musulmani del deposto presidente Mursi e anche chiunque appoggiasse la Turchia.

In questo complesso scenario, la Cina costruisce infrastrutture. La realizzazione della ferrovia Addis-Abeba-Gibuti, inaugurata nell'ottobre 2016 e la più recente costruzione della linea Mombassa-Nairobi, il maggiore progetto della storia del Kenya eseguito dalla Cina, ha allarmato ancora più gli Stati Uniti che temono l'aumento dell'influenza di Pechino. Inoltre, la Cina è disposta a prolungare quella via di comunicazione, investendo altri 4 miliardi di euro per portare la ferrovia alla regione dei grandi laghi e all'interno del continente, fino al Sudan del Sud, Uganda, Ruanda e Burundi, paesi che, in quel modo, potrebbero avere uno sbocco sul mare attraverso il grande porto keniota di Mombassa.

Nel sud dell'Africa, dopo la destituzione di Mugabe in Zimbabwe, i cambiamenti coinvolgono anche l'Angola, dove João Lourenço ha sostituito José Eduardo dos Santos (che era al potere dal 1992) e il Sudafrica, dove Cyril Ramaphosa è succeduto al corrotto Jacob Zuma, in una transizione piena di pericoli per l'African National Congress. I tre paesi sono governati dai movimenti di liberazione che ottennero l'indipendenza dei loro paesi o la fine dell'apartheid e Pechino mantiene buone relazioni con tutti questi. Cina che ha stabilito relazioni diplomatiche col Sudafrica solo vent'anni fa e che sottoscrive con Pretoria, nel 2010, la Dichiarazione di Pechino ed entrambi i paesi firmano l'Associazione strategica integrale (AEI) che ha trasformato la Cina nel principale partner commerciale del Sudafrica. Nel vicino Bostwana, Pechino ha costruito la centrale elettrica di Morupule che produce il 90% dell'elettricità del paese.

La Cina prosegue la sua scommessa strategica per la collaborazione con paesi di tutto il pianeta, assicurando il mutuo beneficio, rifiutando gli scontri, lavorando per la distensione, perché ha bisogno di un ambiente pacifico su cui appoggiare il suo sviluppo economico e consolidare il socialismo cinese, cosciente del fatto che gli Stati Uniti non vogliono rinunciare alle proprie prerogative imperiali e proseguono col negare un trattamento tra pari. Mentre la Cina vuole evitare l'estensione dell'incendio del Medio Oriente, gli Stati Uniti continuano ad utilizzare la guerra come strumento per imporre i loro diktat. Le vecchie potenze coloniali europee sono retrocesse nel continente africano ed oggi la giovane Africa, immersa in un mare di povertà, ma anche di progetti rivolti al futuro, vuole smettere di essere il vicino sfortunato, condannato dalle potenze capitaliste del pianeta a contemplare, stremate, la spoliazione delle proprie ricchezze. Basti vedere come la Francia rifiuti di abbandonare il suo ruolo di dominio nel territorio e come gli Stati Uniti estendano i tentacoli del Pentagono e delle loro compagnie multinazionali, creando nuove basi militari, portando la paura e la guerra, mentre la Cina si trasforma in una speranza per lo sviluppo. L'Africa si guarda in uno specchio cinese.


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