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«Come socialisti, il nostro compito è difendere la libertà»

David Harvey | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

30/10/2020

La propaganda della destra sostiene che il socialismo è nemico della libertà individuale. Ma è vero il contrario: noi lavoriamo per creare condizioni materiali nelle quali le persone possano essere realmente libere, senza i rigidi limiti che il capitalismo impone alle nostre vite.

Questo testo è tratto dal nuovo libro di David Harvey, The Anti-Capitalist Chroniclesedito da Pluto Press.

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Nel corso di alcune conferenze che ho tenuto in Perù è emerso il tema della libertà. Un gruppo di studenti ha mostrato molto interesse per questo interrogativo: «Il socialismo implica la rinuncia alla libertà individuale?».

La destra si sforzata di appropriarsi del concetto di libertà come se fosse di sua proprietà, allo scopo di servirsene come un'arma nella lotta di classe contro il socialismo. Sostiene che la subordinazione dell'individuo al controllo statale imposta dal socialismo o dal comunismo sia qualcosa di inevitabile.

La mia risposta è che non dovremmo abbandonare l'idea che la libertà individuale sia parte integrante di un progetto socialista di emancipazione. La conquista delle libertà individuali è, come ho sostenuto in quell'occasione, uno degli obiettivi centrali di questo tipo di progetti di emancipazione. Ma questa conquista richiede la costruzione collettiva di una società in cui tutte le persone abbiano l'opportunità e la possibilità di realizzare le loro potenzialità.

Marx e la libertà

Marx ha detto alcune cose interessanti su questo tema. Una è che «il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dal bisogno». La libertà non significa nulla per chi non può sfamarsi, non ha accesso a un sistema sanitario adeguato, all'alloggio, ai trasporti, all'istruzione eccetera. Il ruolo del socialismo è quello di soddisfare questi bisogni essenziali, affinché la gente sia libera di fare tutto ciò che desidera.

Il punto di arrivo di una transizione socialista è un mondo in cui le capacità e le potenzialità individuali sono interamente liberate dai limiti imposti dal bisogno e da altre limitazioni sociali e politiche. Invece di lasciare alla destra il monopolio del concetto di libertà individuale, dobbiamo rivendicare l'idea della libertà al nostro progetto socialista.

Marx, tuttavia, mise in luce anche che la libertà è un'arma a doppio taglio, dal momento che coloro che devono lavorare in una società capitalista sono liberi in un duplice senso. Possono vendere liberamente la loro forza-lavoro sul mercato, a chiunque. E possono offrirla alle condizioni di un contratto negoziato liberamente.

Al tempo stesso, però, sono «non liberi», nel senso che non si sono «liberati» da ogni controllo o accesso ai mezzi di produzione. Per questa ragione, per vivere sono costretti a consegnare la loro forza-lavoro al capitale.

Sono questi i due aspetti della loro libertà. Per Marx, questa è la contraddizione centrale della libertà sotto il capitalismo. Nel capitolo de Il capitale dedicato alla giornata lavorativa, Marx illustra il concetto nei seguenti termini. Il capitalista è libero di dire al lavoratore o alla lavoratrice: «Voglio assumerti pagandoti il salario più basso possibile per la maggior quantità di ore possibile, perché tu svolga esattamente il lavoro da me stabilito. È questo che esigo da te quando ti assumo». E in una società di mercato, il capitalista è libero di fare tutto ciò in quanto, come sappiamo, la società di mercato si basa sull'offerta e sulla competizione.

Ma dal canto suo, chi lavora è libero di dire: «Non hai il diritto di farmi lavorare 14 ore al giorno. Non hai il diritto di fare ciò che vuoi con la mia forza-lavoro, specie se questo mi accorcia la vita e mette a rischio la mia salute e il mio benessere. Sono disposto a lavorare soltanto con un orario giusto, in cambio di un giusto salario».

Data la natura della società di mercato, tanto il capitalista quanto il lavoratore hanno ragione nelle loro rivendicazioni. Marx afferma che hanno entrambi ragione in virtù della legge dello scambio che domina il mercato. Afferma inoltre che tra diritti uguali, a decidere è la forza. È la lotta di classe tra capitale e lavoro a risolvere la disputa. L'esito dipende dal rapporto di forza tra capitale e lavoro, che in alcuni casi può divenire coercitivo e violento.

Un'arma a doppio taglio

Questo concetto della libertà come arma a doppio taglio è molto importante e merita di essere esaminato nel dettaglio. Una delle migliori elaborazioni di questo tema è offerta da un saggio di Karl Polanyi. Nel suo libro La grande trasformazione, Polanyi afferma che esistono forme buone e cattive di libertà.

Tra quelle cattive da lui elencate figurano la libertà di sfruttare il prossimo senza alcun limite; la libertà di percepire guadagni esorbitanti sproporzionati al servizio offerto alla comunità in cambio di essi; la libertà di trarre profitto dalle catastrofi umane o naturali, alcune delle quali vengono programmate in segreto a vantaggio di soggetti privati.

Tuttavia, continua Polanyi, l'economia di mercato nel cui ambito prosperano queste libertà ha generato anche libertà a cui attribuiamo grande valore: la libertà di coscienza, di espressione, di riunione, di associazione e la libertà di scegliere la propria occupazione.

Benché possiamo apprezzare queste libertà in quanto tali, nondimeno esse rimangono in gran parte un prodotto derivato dallo stesso sistema economico che è responsabile delle libertà cattive. La soluzione proposta da Polanyi a questa dicotomia appare ad alcuni alquanto bizzarra, data l'attuale egemonia del pensiero neoliberale e il modo in cui il potere politico esistente ci presenta la libertà.

Scrive Polanyi: «La fine dell'economia di mercato» - cioè la possibilità di andare oltre l'economia di mercato - «può divenire l'inizio di un'era di libertà senza precedenti». Si tratta di un'affermazione piuttosto sorprendente - la libertà autentica ha inizio quando si abbandona l'economia di mercato. Continua Polanyi: «Le libertà giuridiche ed effettive possono essere rese più ampie e più generali di quanto siano mai state; la regolamentazione e il controllo possono servire a garantire la libertà non solo a pochi, ma a tutti. La libertà non come elemento accessorio del privilegio, contaminato alla fonte, ma come un diritto prescrittivo che si estende ben oltre gli stretti limiti della sfera politica, all'organizzazione interna della società stessa. Così le antiche libertà e i diritti civili si aggiungerebbero alla riserva delle nuove libertà generate dal tempo libero e dalla sicurezza. Una simile società potrebbe permettersi di essere tanto giusta quanto libera».

Libertà senza giustizia

Ebbene, io ritengo che questa idea di società basata sulla giustizia e sulla libertà abbia costituito il programma politico del movimento studentesco negli anni Sessanta - il programma della cosiddetta «generazione del Sessantotto». Allora vi era una domanda molto ampia sia di libertà, sia di giustizia: libertà dalla coercizione dello Stato, libertà dalla coercizione imposta dal capitale corporativo, libertà dalle coercizioni del mercato - il tutto associato a una domanda di giustizia sociale.

La risposta politica capitalista a tutto ciò nel corso degli anni Settanta fu interessante. Queste istanze furono affrontate affermando: «Vi daremo le libertà (con alcune eccezioni), ma scordatevi la giustizia».

La portata di queste libertà si rivelò molto limitata. In buona parte si limitò alla libertà di scelta nell'ambito del mercato. Il libero mercato e l'eliminazione di qualunque regolamentazione statale costituirono la risposta alla questione della libertà. E si dovette dimenticare la giustizia. Ad amministrarla sarebbe stata la concorrenza del mercato, la cui efficienza, teoricamente, avrebbe garantito che ciascuno ricevesse ciò che meritava. Il risultato, tuttavia, fu lasciare campo libero a molte delle libertà cattive (per esempio la libertà di sfruttare gli altri) in nome delle libertà virtuose.

È evidente che Polanyi aveva previsto questo tipo di sviluppo. Osservò che la transizione verso il futuro da lui immaginata era bloccata da un ostacolo morale, e che tale ostacolo morale era ciò che definì «utopismo liberale». A mio avviso dobbiamo ancora oggi fronteggiare i problemi posti dall'utopismo liberale. Si tratta di un'ideologia che è divenuta dominante nei mezzi di comunicazione e nel discorso politico.

L'utopismo liberale del Partito Democratico, solo per fare un esempio, è uno degli ostacoli sul cammino verso la conquista della libertà autentica. «La pianificazione e il controllo», scriveva Polanyi, «vengono accusati di essere negazioni della libertà. Si afferma che la libera impresa e la proprietà privata sono essenziali alla libertà». Questi furono i postulati dei principali ideologi del neoliberalismo.

Oltre il mercato

Io credo che questo sia uno dei temi principali del nostro tempo. Supereremo le libertà limitate del mercato e della regolamentazione delle nostre vite a opera delle leggi della domanda e dell'offerta? Oppure accetteremo che, come affermò Margaret Thatcher, «non c'è alternativa»? Siamo liberi da ogni controllo statale, ma siamo legati al mercato da un rapporto di schiavitù. Non vi è alternativa al mercato, e non vi è libertà al di fuori di esso. Questo è ciò che afferma la destra, e che molta gente ha finito per credere.

È il paradosso della nostra situazione attuale - in nome della libertà abbiamo adottato l'ideologia dell'utopismo liberale, che in realtà è un ostacolo alla conquista della vera libertà. Non credo si possa dire che viviamo in un mondo di libertà quando chi desidera ricevere una buona istruzione deve sborsare una quantità immensa di denaro e farsi carico di un enorme debito per il resto della sua esistenza.

In Gran Bretagna, negli anni Sessanta, una quota rilevante della fornitura di alloggi era a carico del settore pubblico; si trattava di alloggi sociali. Quando ero giovane, questi alloggi sociali soddisfavano un bisogno essenziale a un costo ragionevole. Poi arrivò Margaret Thatcher e privatizzò tutto quanto, affermando sostanzialmente che «saremo liberi quando saremo padroni della nostra proprietà e diventeremo parte di una democrazia di proprietari».

Da una situazione in cui il 60% della fornitura di alloggi era a carico del settore pubblico si passò improvvisamente a una situazione in cui esso ne forniva soltanto il 20% o anche meno. L'alloggio diviene una merce, e la merce diviene oggetto di attività speculative, fino a trasformarsi in uno strumento di speculazione. Quando il prezzo delle proprietà aumenta, il costo degli alloggi aumenta a sua volta, senza che aumentino proporzionalmente le risorse per accedervi.

Stiamo costruendo città e alloggi secondo modalità che garantiscono un'enorme libertà alle classi elevate, mentre il resto della popolazione diventa sempre meno libera. Credo che Marx si riferisse a questo con il suo celebre commento, secondo cui per raggiungere il regno della libertà occorre superare il regno del bisogno.

Il regno della libertà

È in questo modo che le libertà del mercato limitano le opportunità - e da questo punto di vista, ritengo che una prospettiva socialista debba implicare una risposta del tipo di quella di Polanyi: in altre parole, è necessario socializzare l'accesso alla libertà socializzando, per esempio, l'accesso agli alloggi. Facciamo in modo che cessi di essere semplicemente parte del mercato, e si trasformi in qualcosa che rientra nel controllo pubblico. Il nostro motto è: alloggi pubblici. È una delle idee di base del socialismo nel contesto contemporaneo - porre le cose sotto il controllo pubblico.

Spesso si afferma che per raggiungere il socialismo dobbiamo rinunciare alla nostra individualità, compiendo un sacrificio. Ebbene, questo può essere vero in qualche misura; ma come affermava Polanyi, c'è una libertà enorme da conquistare se si va oltre le crudeli realtà che ci vengono imposte dalle libertà individualistiche del mercato.

Credo che ciò che Marx intendeva dire fosse che si deve massimizzare il regno della libertà, ma che questo può accadere soltanto se si dà risposta ai problemi originati dal regno del bisogno. Il compito di una società socialista non è affatto regolare tutto ciò che avviene nella società. Il compito di una società socialista è garantire che tutti i bisogni essenziali vengano soddisfatti - gratuitamente - affinché le persone possano fare tutto ciò che vogliono quando vogliono.

Se oggi si chiede a qualcuno: «Quanto tempo libero hai a disposizione?», la risposta tipica è: «Non ho tempo quasi per niente. Tutto il mio tempo è occupato dalla necessità di farmi carico di questo o di quest'altro». La libertà autentica implica un mondo in cui abbiamo tempo libero per fare tutto ciò che desideriamo, e questa è una delle missioni principali per un progetto di emancipazione socialista. Si tratta perciò di qualcosa per cui dobbiamo lavorare.

Fonte: https://jacobinlat.com/2020/10/23/david-harvey-como-socialistas-nuestra-tarea-es-defender-la-libertad


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