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- osservatorio - mondo - politica e società - 20-06-22 - n. 834
La letalità della Dottrina globale Monroe di Washington: ventiquattresima lettera di Vijay Prashad (2022)
Vijay Prashad * | mronline.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
17/06/2022
Cari amici,
La settimana scorsa, nell'ambito della sua politica di dominio dell'emisfero americano, il governo degli Stati Uniti ha organizzato a Los Angeles il IX Vertice delle Americhe. Il presidente statunitense Joe Biden ha chiarito subito che tre Paesi dell'emisfero (Cuba, Nicaragua e Venezuela) non sarebbero stati invitati all'evento, sostenendo che non sono democrazie. Allo stesso tempo, Biden avrebbe pianificato una prossima visita in Arabia Saudita, una autodefinita teocrazia. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha messo in dubbio la legittimità della posizione di esclusione di Biden, e così Messico, Bolivia e Honduras hanno rifiutato di partecipare all'evento. Il vertice si è rivelato un fiasco.
Qualche giorno dopo, oltre un centinaio di organizzazioni hanno ospitato un Vertice dei Popoli per la Democrazia, dove migliaia di persone provenienti da tutto l'emisfero si sono riunite per celebrare l'effettivo spirito democratico che emerge dalle lotte dei contadini e degli operai, degli studenti e delle femministe, e di tutte le persone che sono escluse dallo sguardo dei potenti. In occasione di questo incontro, i presidenti di Cuba e Venezuela si sono uniti online per celebrare questa festa della democrazia e per condannare l'attacco agli ideali democratici da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.
Il prossimo anno, il 2023, sarà il bicentenario della Dottrina Monroe, allorquando gli Stati Uniti affermarono la loro egemonia sull'emisfero americano. Lo spirito maligno della Dottrina Monroe non solo continua, ma è stato ora esteso dal governo statunitense in una sorta di Dottrina globale Monroe. Per affermare questa assurda pretesa sull'intero pianeta, gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di "indebolimento" di quelli che considerano "rivali alla pari", ossia Cina e Russia.
A luglio, Tricontinental - Institute for Social Research - insieme a Monthly Review e No Cold War - produrrà un opuscolo sulla sconsiderata escalation militare del governo statunitense contro quelli che considera i suoi avversari, soprattutto Cina e Russia. L'opuscolo comprenderà saggi di John Bellamy Foster, editore di Monthly Review, Deborah Veneziale, giornalista italiana, e John Ross, membro del collettivo No Cold War. Sulla scia di questo opuscolo, che sarà annunciato in questa newsletter, No Cold War ha prodotto anche il briefing n. 3 (Gli Stati Uniti si preparano alla guerra con la Russia e la Cina?), sull'affondo di Washington e sulla sua allarmante marcia verso la supremazia nucleare.
La guerra in Ucraina dimostra un'escalation qualitativa della volontà degli Stati Uniti di usare la forza militare. Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno lanciato guerre contro Paesi in via di sviluppo come Afghanistan, Iraq, Libia e Serbia. In queste campagne, gli Stati Uniti sapevano di godere di una superiorità militare schiacciante e di non correre il rischio di una rappresaglia nucleare. Tuttavia, minacciando di far entrare l'Ucraina nell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), gli Stati Uniti erano pronti a rischiare di oltrepassare quelle che sapevano essere le "linee rosse" della Russia, Stato dotato di armi nucleari. Ciò solleva due domande: perché gli Stati Uniti hanno intrapreso questa escalation e fino a che punto sono disposti a spingersi nell'uso della forza militare non solo contro il Sud del mondo, ma anche contro grandi potenze come la Cina o la Russia?
Usare la forza militare per compensare il declino economico
La risposta al "perché" è chiara: gli Stati Uniti hanno perso nella competizione economica pacifica con i Paesi in via di sviluppo in generale e con la Cina in particolare. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel 2016 la Cina ha superato gli Stati Uniti come maggiore economia mondiale. Nel 2021, la Cina rappresenterà il 19% dell'economia globale, rispetto al 16% degli Stati Uniti. Questo divario non fa che aumentare e, entro il 2027, il FMI prevede che l'economia cinese supererà quella statunitense di quasi il 30%. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno mantenuto una supremazia militare globale senza eguali: la loro spesa militare è superiore a quella dei nove Paesi con la spesa più alta messi insieme. Nel tentativo di mantenere il dominio globale unipolare, gli Stati Uniti stanno sempre più sostituendo la competizione economica pacifica con la forza militare.
Un buon punto di partenza per comprendere questo cambiamento strategico nella politica statunitense è il discorso tenuto dal Segretario di Stato americano Antony Blinken il 26 maggio 2022. Nell'occasione Blinken ha ammesso apertamente che gli Stati Uniti non cercano la parità militare con gli altri Stati, ma la supremazia militare, in particolare nei confronti della Cina: "Il presidente Biden ha incaricato il Dipartimento della Difesa di tenere la Cina come sfida da affrontare, per garantire che le nostre forze armate rimangano in vantaggio". Tuttavia, con Stati dotati di armi nucleari come la Cina o la Russia, la supremazia militare richiede il raggiungimento della supremazia nucleare, un'escalation che va oltre l'attuale guerra in Ucraina.
La ricerca del primato nucleare
Dall'inizio del XXI secolo, gli Stati Uniti si sono sistematicamente ritirati da trattati chiave che limitano la minaccia di utilizzo di armi nucleari: nel 2002 sono usciti unilateralmente dal Trattato sui missili anti-balistici, nel 2019 hanno abbandonato il Trattato sulle forze nucleari intermedie e nel 2020 si sono ritirati dal Trattato sui cieli aperti. L'abbandono di questi trattati ha rafforzato la capacità degli Stati Uniti di perseguire la supremazia nucleare.
L'obiettivo finale di questa politica statunitense è quello di acquisire la capacità di "first strike" contro la Russia e la Cina, ossia la capacità di infliggere danni con un primo colpo di armi nucleari contro la Russia o la Cina in misura tale da impedire efficacemente le ritorsioni. Come ha osservato John Bellamy Foster in uno studio esaustivo sull'accumulo di armi nucleari da parte degli Stati Uniti, anche a Mosca - che possiede l'arsenale nucleare non statunitense più avanzato al mondo - "è negata una valida opzione di secondo attacco, eliminando di fatto del tutto il suo deterrente nucleare, attraverso la 'decapitazione'". In realtà, le ricadute e la minaccia dell'inverno nucleare di un simile attacco minaccerebbero il mondo intero.
Questa politica di supremazia nucleare è stata a lungo perseguita da alcuni ambienti di Washington. Nel 2006, la principale rivista statunitense di politica estera Foreign Affairs ha sostenuto che"probabilmente gli Stati Uniti saranno presto in grado di distruggere gli arsenali nucleari a lungo raggio della Russia o della Cina con un primo attacco". Contrariamente a queste speranze, gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a raggiungere una capacità di primo attacco, ma ciò è dovuto allo sviluppo di missili ipersonici e di altre armi da parte di Russia e Cina, non a un cambiamento nella politica statunitense.
Dagli attacchi ai Paesi del Sud del mondo alla crescente volontà di entrare in guerra con una grande potenza come la Russia, fino al tentativo di ottenere una capacità nucleare di primo impatto, la logica dietro l'escalation del militarismo statunitense è chiara: gli Stati Uniti stanno impiegando sempre più la forza militare per compensare il loro declino economico. In questo periodo estremamente pericoloso, è fondamentale per l'umanità che tutte le forze progressiste si uniscano per far fronte a questa grande minaccia.
Nel 1991, quando l'Unione Sovietica è crollata e il Sud globale è rimasto attanagliato da una crisi del debito senza fine, gli Stati Uniti hanno bombardato l'Iraq, nonostante gli appelli del governo iracheno per un accordo negoziato. Durante quel bombardamento, lo scrittore libico Ahmad Ibrahim al-Faqih scrisse una poesia, "Nafaq Tudiuhu Imra Wahida" ("Un tunnel illuminato da una donna"), in cui cantava: "Un tempo è passato, e un altro tempo non è venuto e non verrà mai". La tristezza definiva il momento.
Oggi ci troviamo in tempi molto pericolosi. Eppure, lo sconforto di al-Faqih non definisce la nostra sensibilità. Lo stato d'animo è cambiato. C'è la fiducia in un mondo al di là dell'imperialismo, uno stato d'animo che non è evidente solo in Paesi come Cuba e Cina, ma anche in India e Giappone, così come tra le persone che lavorano duramente e che vorrebbero che la nostra attenzione collettiva si concentrasse sui dilemmi reali dell'umanità e non sulle brutture della guerra e del dominio.
Cordialmente
Vijay
*) Vijay Prashad è uno storico, editore e giornalista indiano. È collaboratore e corrispondente capo di Globetrotter, un progetto dell'Independent Media Institute. È redattore capo di LeftWord Books e direttore di Tricontinental: Institute for Social Research. Ha scritto più di venti libri, tra cui The Darker Nations: A People's History of the Third World (The New Press, 2007), The Poorer Nations: A Possible History of the Global South (Verso, 2013), The Death of the Nation and the Future of the Arab Revolution (University of California Press, 2016) e Red Star Over the Third World (LeftWord, 2017). Scrive regolarmente per Frontline, The Hindu, Newsclick, AlterNet e BirGün.
Originariamente pubblicato in Tricontinental: Institute for Social Research il 16/06/2022
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