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La confederazione degli Stati del Sahel e la loro lotta contro il neocolonialismo

Alex Anfruns | peoplesdispatch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

09/11/2024



Dal colpo di Stato del colonnello Assimi Goita in Mali, il 18 agosto 2020, gli eventi nella regione dell'Africa occidentale hanno subito un'accelerazione. L'azione di un gruppo di soldati dell'esercito maliano ha permesso di mettere all'ordine del giorno una serie di richieste popolari espresse nelle strade da decenni. La nazione ha continuato a denunciare come la Francia, ex padrone coloniale, abbia mantenuto il controllo sul destino delle nuove nazioni attraverso vari meccanismi neocoloniali, impedendo il loro vero sviluppo.

Pertanto, qualificare il governo di transizione maliano semplicemente come una "giunta militare golpista" rivela un pregiudizio eurocentrico e/o un ruolo attivo nella propaganda di guerra. Entrambi hanno l'obiettivo di distruggere la sovranità e i progetti di sviluppo in questa regione del Sahel, la cui estensione geografica raggiunge i 3 milioni di chilometri quadrati e la cui popolazione è di 75,9 milioni di persone.

Un elemento chiave che smentisce la propaganda mediatica occidentale anti-golpe o anti-giunta militare è il sostegno ai processi in corso da parte dei popoli nigeriano, burkinabé e maliano. Tale sostegno popolare distrugge la narrazione dominante, smentendo la visione che pretende di spiegare perché la gente non si fida più dei sistemi presumibilmente democratici in Africa. Sottoposte alla tutela delle politiche neocoloniali in campo culturale ed economico, queste democrazie hanno consolidato il sistema di "aiuti allo sviluppo" delle istituzioni di Bretton Woods, impedendo l'industrializzazione e la soddisfazione dei bisogni della popolazione, attaccando i servizi pubblici dello Stato.

Si è così verificato un rovesciamento di valori tra le popolazioni: le democrazie in Africa sono viste come regimi neocoloniali, mentre i governi di transizione dopo un colpo di Stato sono percepiti come rappresentativi dell'aspirazione e della volontà popolare.

L'AES, un blocco di Paesi africani in resistenza

L'attuale rivoluzione panafricana introduce una novità rispetto al periodo della decolonizzazione francese e della generazione delle indipendenze: non solo identifica e denuncia le potenze che destabilizzano il Sahel e sono di fatto nemiche della sovranità africana, ma riesce a sconfiggere le loro strategie di militarizzazione, blocco, sanzioni e ricatto, imponendo una nuova correlazione di forze.

Di fronte alla minaccia di guerra da parte della Francia e dei suoi Paesi vassalli dell'ECOWAS nell'agosto 2023, il Mali e il Burkina Faso hanno annunciato che se la guerra viene dichiarata contro il Niger, è come se fosse dichiarata anche contro di loro. Il 16 settembre, la creazione dell'Alleanza degli Stati del Sahel (AES) ha consolidato questo patto di difesa comune. Con la sua iniziativa, l'AES ha tolto la maschera all'ECOWAS. I popoli della regione la vedono ormai solo come uno dei tanti strumenti della strategia neocoloniale in Africa occidentale. Abbandonando insieme e in modo irreversibile questa organizzazione, i governi di Mali, Burkina Faso e Niger sono riusciti a farle fare marcia indietro sulla politica di sanzioni illegali contro il Niger e a presentarsi come vittima.

D'altra parte, il nazionalismo degli Stati del Sahel riprende una rivendicazione chiave del panafricanismo rivoluzionario, formando una Confederazione che sarebbe l'embrione dell'unità africana. Propone anche una messa in comune delle risorse e dei progetti di sviluppo nella regione del Liptako-Gourma (triplice confine tra Mali, Burkina Faso e Niger), che potrà diventare realtà solo una volta consolidata la struttura di difesa comune.

L'economista egiziano Samir Amin ha riassunto così la necessità di creare un blocco di Paesi in Africa occidentale: "ogni tentativo di politica di sviluppo nell'ambito di spazi economici così ristretti come quelli che caratterizzano gli Stati della regione è destinato a fallire, perché la necessaria rottura con la politica di dare priorità assoluta allo sviluppo estroverso e guidato dall'esterno è impossibile".

Contrariamente al nazionalismo dei Paesi storicamente industrializzati del Nord, che si è formato a partire dalla messa a tacere dei crimini coloniali e dal saccheggio delle ricchezze del Sud, il nazionalismo patriottico del Sahel si riferisce a un processo di sviluppo endogeno a partire dalle proprie risorse nazionali e da un'equa negoziazione delle materie prime stabilita senza pressioni e liberamente con nuovi partner come Russia, Turchia o Cina.

Il 26 luglio 2023, il colpo di Stato in Niger ha ribaltato completamente la situazione, provocando nervosismo e agitazione nei ministeri degli Esteri occidentali. Con una serie di passi decisivi, il governo del CNSP ha consolidato la dinamica introdotta dai colpi di Stato in Mali e Burkina Faso. L'espulsione delle truppe francesi di stanza in Mali (14 agosto 2022) e Burkina Faso (22 febbraio 2023) prima, delle truppe della missione MINUSMA delle Nazioni Unite in Mali (31 dicembre 2023) poi delle truppe francesi (31 dicembre 2023) e americane (15 settembre 2024) in Niger, infine, è la prova spettacolare che la difesa della sovranità nel Sahel non sono parole vuote. Ma, inoltre, l'attuale rivoluzione panafricana sta identificando i nemici dei diritti dei popoli africani, sia all'esterno che all'interno del Paese.

Nel dicembre 2023, il presidente Ibrahim Traoré ha avvertito della dimensione di classe della lotta che il Burkina Faso sta conducendo contemporaneamente su diversi fronti:

"Abbiamo incontrato molti strati che rappresentano gli uomini d'affari burkinabé, e soprattutto i banchieri. È stato nel mese di agosto, se non sbaglio, quando abbiamo auspicato una nuova dinamica con incontri permanenti per sostenere il settore privato. Vorremmo che il governo proponesse di sostenere il settore finanziario e di creare nuove imprese per rafforzare il settore privato in Burkina Faso. Ad oggi, non c'è stata alcuna risposta. Le dico, caro banchiere, che la sto ascoltando (...) Invito i datori di lavoro a includere nella loro agenda il Piano strategico e la nostra visione, che è lo sviluppo endogeno, il concetto di produzione. Perché importiamo molto e vorremmo che da gennaio gli importatori diventassero esportatori e contribuissero al settore produttivo. Chi importa riso deve essere pronto a investire nella produzione di riso. In Africa si importa troppo. Secondo le statistiche in Burkina Faso saremo a 100 miliardi nel 2025. È inaccettabile".

La volontà più volte espressa di abbandonare la zona valutaria del franco CFA è la prova della continuità tra le sfide di oggi e quelle della decolonizzazione che non è stato possibile portare a termine nel primo decennio degli anni Sessanta. In particolare, ci ricorda che il successo della Guinea nell'abbandonare il franco CFA in mezzo alle aggressioni e ai sabotaggi francesi non si è potuto ripetere nell'esperienza maliana di Modibo Keita, a causa di una battuta d'arresto storica:

"Gli accordi monetari del 1967 sono stati firmati in condizioni molto sfavorevoli. Erano innegabilmente un freno all'esperimento di costruzione socialista portato avanti dal governo del presidente Modibo Keita a partire dal 1960, per l'eccezionale potere di ingerenza che conferivano alla Francia, ma anche e soprattutto per le loro implicazioni sulla politica economica e finanziaria del Mali".

Solo pochi giorni prima di essere rovesciato dal colpo di Stato militare di Moussa Traoré, Keita aveva dichiarato che "gli Accordi del 1967 sono una trappola. Dobbiamo prepararci a romperli". A Keita non è rimasto tempo. Ma in un futuro molto prossimo, l'abbandono del franco CFA e la creazione di una moneta regionale è una delle misure previste dalla Confederazione degli Stati del Sahel. Contrariamente alla situazione che ha impedito la realizzazione della sovranità monetaria negli anni '60, l'esistenza di un blocco di tre Paesi con una politica comune su vari aspetti della difesa della loro sovranità è la garanzia del successo di questa nuova ondata di "seconde indipendenze".

La lotta anticoloniale dopo le indipendenze

Per avere un'idea della posta in gioco oggi con l'annunciata Federazione degli Stati del Sahel (Mali, Burkina Faso e Niger) e per comprendere le sfide che si pongono ai processi di difesa della sovranità, è necessario guardare ai punti ciechi delle Indipendenze africane del 1960. Una delle idee che hanno preso piede tra i giovani africani è la consapevolezza che quelle indipendenze erano solo nominali. Gli attuali cambi di governo nella regione attualizzano e portano avanti i processi di lotta per l'autentica Indipendenza africana. È il passaggio dalla lotta contro il sistema coloniale francese nella sua forma classica, alla lotta decisa contro gli attori del neocolonialismo. Non sorprende che i media egemonici presentino il neocolonialismo come un elemento retorico del linguaggio o un concetto demagogico utilizzato dai "leader populisti" africani. I padri fondatori delle indipendenze africane avevano già messo in guardia dai suoi reali pericoli fin dai primi anni Sessanta.

"Quando il riconoscimento dell'indipendenza nazionale diventa inevitabile, gli imperialisti riescono a svuotare questa indipendenza del suo autentico contenuto di liberazione, sia imponendo onerose convenzioni economiche, militari e tecniche, sia insediando governi a piacimento, dopo elezioni prefabbricate, o ancora inventando formule, presumibilmente costituzionali, di coesistenza multinazionale, per camuffare la discriminazione razziale a favore dei colonizzatori (...)".

Il ruolo svolto da Goita, Traoré e Tiani nell'organizzazione delle lotte popolari e l'impatto della loro visione strategica - resa possibile dal loro accumulo di esperienze - introducono un salto di qualità nella successione degli eventi contemporanei. Nel contesto della "nuova guerra fredda" del blocco atlantico (NATO) contro la Russia e la Cina, si aprono possibilità di ricerca della sovranità come è accaduto negli anni Sessanta. A quel tempo, i Paesi del Sud del mondo erano in una dinamica di lotta con un'agenda comune nel quadro del Movimento dei Non Allineati (NAM) e l'uso delle istituzioni delle Nazioni Unite come l'UNACTD come portavoce della lotta per la sovranità dei Paesi sottosviluppati e di quelli del blocco socialista. Ernesto "Che" Guevara ha riassunto alcune linee guida di questo incipiente fronte di Paesi:

"È inconcepibile che i Paesi sottosviluppati, che subiscono le enormi perdite dovute al deterioramento delle ragioni di scambio, che attraverso il drenaggio permanente delle rimesse di profitto hanno più che ripagato il valore degli investimenti delle potenze imperialiste, debbano affrontare il peso crescente dell'indebitamento e del suo ammortamento, mentre le loro richieste più giuste vengono ignorate".

Nel settembre 1973, durante il IV Vertice dell'MPNA ad Algeri, fu promulgata una Dichiarazione economica che cristallizzava l'ascesa delle richieste dei Paesi recentemente decolonizzati. Questa dinamica si tradusse nella Carta del Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO), firmata nel 1974 per "colmare il divario tra gli Stati industrializzati e il Terzo Mondo: stabilizzazione del prezzo delle materie prime e miglioramento delle condizioni commerciali, rafforzamento della cooperazione allo sviluppo, aumento della quota del Terzo Mondo nella produzione mondiale e nel commercio internazionale...". Dopo gli effetti dell'aumento del prezzo del petrolio imposto nel 1973 dal gruppo di Paesi riuniti nell'OPEC, i Paesi in cerca di sovranità avrebbero ricevuto una nuova aggressione da parte delle istituzioni finanziarie del capitalismo.

La temporanea sconfitta della lotta per la sovranità africana

La storia scritta dalle classi dominanti contribuisce all'oblio di quelle lotte per il diritto allo sviluppo, enfatizzando i loro fallimenti e relativizzando l'impatto del neocolonialismo e la brutalità del loro sostegno alle forze reazionarie locali, che all'epoca assunse la forma di colpi di Stato, sabotaggi, assassinii e repressione delle prime resistenze africane. Tuttavia, la consapevolezza di questa nuova fase della lotta di liberazione nazionale africana contro il neocolonialismo ha un doppio vantaggio rispetto a quella dei primi anni dell'Indipendenza. Da un lato, le masse dei popoli africani hanno acquisito conoscenze approfondite nel corso di decenni di esperienza. Oggi il nazionalismo africano è meno alimentato dalle illusioni borghesi del "ritorno alle origini" del socialismo africano, visto come modello idealizzato prima della colonizzazione occidentale. L'intellettuale senegalese Pathé Diagne ha sfatato questo mito in questi termini:

"La posizione profondamente diseguale che è ovunque evidente nelle società di ordini e caste è una delle caratteristiche più evidenti delle società del Sudan nigerino (...) lo stesso desiderio di gerarchizzazione sociale avanzata può essere osservato ovunque (...) Sono questi status che testimoniano le disuguaglianze istituzionalizzate nella legislazione che delimita, per ogni individuo, i suoi diritti e i suoi doveri".

Nei Paesi in cui erano state avviate esperienze socialiste, come il Mali di Modibo Keita, l'imperialismo si accanì contro il cattivo esempio di quel leader africano, rovesciandolo il 19 novembre 1968 e imprigionandolo fino alla sua morte, avvenuta il 16 maggio 1977. Poco prima del colpo di Stato contro Keita, era stato creato un Comitato per la difesa della rivoluzione ed era stato tracciato un bilancio critico della politica agraria dei primi anni.

Per quanto riguarda i tentativi di creare un "socialismo africano" che recuperasse il modello sociale ed economico prevalente prima del colonialismo, i meccanismi neocoloniali da un lato e le incoerenze o le complicità dall'altro, erano sufficienti a limitarne le possibilità di successo. Per ragioni diverse, alcuni padri fondatori delle indipendenze sottovalutarono il ruolo delle classi sociali nella nuova realtà nazionale africana. Considerando la nozione di lotta di classe come un concetto non applicabile alle società africane in quel contesto, è possibile che sia stato sottovalutato il ruolo di complicità con gli interessi del sistema neocoloniale svolto precocemente da alcuni attori africani. D'altra parte, i movimenti più radicali e rappresentativi della lotta anticoloniale, come l'UPC in Camerun, l'FLN in Algeria o il SAWABA in Niger, nonché leader rivoluzionari come Modibo Keita in Mali o Amilcar Cabral in Guinea-Capo Verde, lo tennero in grande considerazione. Furono proprio questi leader a essere repressi con la massima violenza, arrestati, rovesciati o assassinati. Questa strategia segreta fu concepita precocemente dal colonialismo francese e riassunta in questo modo da Daniel Doustin, amministratore coloniale di Yaounde (Camerun): "La Francia concederà l'indipendenza a coloro che la rivendicano meno, dopo aver eliminato politicamente e militarmente coloro che la rivendicano con maggiore intransigenza". Si trattava di una dichiarazione d'intenti destinata a rimanere segreta e, dopo le indipendenze, l'ex potenza coloniale approfondì la sua ingerenza e il suo sostegno alla repressione del "nemico interno" attraverso gli accordi di cooperazione e difesa del 1960-61.

La cancellazione da parte dell'ESA degli accordi militari con l'ex potenza coloniale e la recente firma di accordi strategici di cooperazione e difesa con la Federazione Russa permettono ai popoli del Sahel di affrontare le loro sfide in nuove condizioni e di immaginare un futuro di dignità per i loro figli, lontano dalla prospettiva dell'esodo e del reclutamento in gruppi terroristici armati. O come ha sintetizzato il Presidente del Niger Abdourahamane Tiani: si tratta di trasformare la regione del Sahel da "zona di insicurezza" a "zona di prosperità".


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