www.resistenze.org - osservatorio - mondo - salute e ambiente - 21-12-20 - n. 773

Il rapporto delle Nazioni Unite sul clima individua nell'élite globale la causa della crisi

Tina Landis | mronline.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/12/2020

Il Rapporto delle Nazioni Unite sulle emissioni, pubblicato il 9 dicembre, mostra quanto siamo lontani dall'evitare una completa catastrofe climatica. Le attuali politiche di riduzione delle emissioni globali ci vedono sulla buona strada per un aumento del riscaldamento di 3,5 C entro il 2100, che sarebbe catastrofico per la vita sulla Terra. Un aumento medio di 1,5 C a livello globale è la linea invalicabile che non deve essere superata, con le attuali temperature ad una media di quasi 1 C di riscaldamento.

Il rapporto adotta sorprendentemente una prospettiva di classe, sottolineando che l'uno per cento delle persone più ricche del pianeta è responsabile di emissioni pari a quelle del 50 per cento della popolazione mondiale più povera. Questo gruppo dovrebbe ridurre il suo impatto di carbonio di 30 volte solo per rispettare gli impegni dell'accordo di Parigi.

L'anno più caldo in assoluto

Il 2020 sarà probabilmente l'anno più caldo a ruota del decennio da record del 2010. Con piogge monsoniche, incendi, uragani e cicloni tropicali senza precedenti, stiamo assistendo al dissoluzione della vita sulla Terra così come la conosciamo. E non dimentichiamo la pandemia, che è anche il risultato del cambiamento climatico e dell'invasione umana sulle terre selvagge, con le notizie ufficiali di quasi 70 milioni di persone che hanno contratto il virus a livello globale più di un milione di morti.

Lo scioglimento del ghiaccio artico ha accelerato così tanto che gli scienziati prevedono che si affermi un nuovo clima artico, passando da un clima caratterizzato da neve e ghiaccio a uno tipico di acque aperte e pioggia. Allo stesso modo, gli scienziati sono allarmati dal rapido deterioramento della calotta glaciale dell'Antartide. Lo scioglimento di ghiaccio innesca un ciclo di risposta positivo: poiché l'acqua e la terra assorbono più calore, a differenza del ghiaccio e della neve che riflettono i raggi del sole, la perdita di ghiaccio crea più riscaldamento, che accelera la perdita di ghiaccio, e così via.

Uno studio sulle emissioni di gas serra basato sui consumi del 2015 nella San Francisco Bay Area - sede della Silicon Valley con la più alta concentrazione di miliardari del pianeta - conferma l'affermazione delle Nazioni Unite e mostra che le aree dove vivono i super ricchi hanno di gran lunga la più alta quota di emissioni. Lo studio ha esaminato il ciclo di vita delle emissioni di gas serra di tutti i prodotti utilizzati e consumati all'interno della Bay Area: dalla produzione, alla spedizione, all'uso e allo smaltimento di tali prodotti. Questo è fondamentale per assegnare l'esatta responsabilità per le emissioni e, a sua volta, per la crisi che l'umanità sta affrontando. Invece di puntare il dito contro i paesi più poveri, dove le multinazionali statunitensi hanno esternalizzato la produzione, o contro le comunità povere all'interno delle nazioni più ricche, porre in relazione le emissioni con la fonte dei più alti tassi di consumo mostra un quadro più accurato di chi ha veramente la maggiore responsabilità del problema.

Il comportamento individuale non cambia la soluzione

I media pongono le soluzioni nel quadro di un cambiamento del comportamento individuale, sottraendo la colpa ai produttori e imputandola sulle scelte di stile di vita individuali: in sostanza una campagna di marketing di massa per promuovere prodotti "verdi" e veicoli elettrici. Questo dà l'illusione che se tutti noi voleremo di meno, ricicleremo di più e diventeremo vegani, la crisi sarà evitata. Se da un lato è bene adottare pratiche più rispettose dell'ambiente, dall'altro lato la maggior parte della popolazione che lotta per sopravvivere spesso non ha accesso alle opzioni "verdi". Questo capro espiatorio dell'individuo distoglie l'attenzione dal vero colpevole, il sistema capitalista in sé: appena 100 società sono responsabili del 71% delle emissioni dal 1988.

Ciò che ognuno può fare personalmente, non risolve l'insostenibilità del modello di produzione capitalista. Ad esempio, il rapporto dell'Onu prosegue sottolineando che il calo delle emissioni globali che abbiamo visto durante la pandemia non avrà un effetto positivo a lungo termine. La soluzione va ben oltre il guidare di meno per qualche mese. Abbiamo bisogno di uno sradicamento del modello di produzione capitalista che si basa sull'arbitrarietà del mercato piuttosto che su una pianificazione sostenibile.

La natura stessa del capitalismo che permette ai miliardari di esistere accumulando la ricchezza creata dalla classe operaia sfruttata, è la fonte del problema. Un sistema che richiede una crescita infinita e profitti sempre crescenti non potrà mai essere sostenibile.

L'"uno per cento" è la classe dirigente del mondo, quelli che hanno le leve del controllo delle imprese e, in larga misura, della politica di governo. Questi capitalisti sono sempre alla ricerca di modi per trarre profitto da qualsiasi situazione. Che un investimento sia un bene per l'umanità e per l'ambiente è irrilevante. L'unica preoccupazione è quella di ottenere il massimo profitto possibile. Per esempio, Wall Street ha recentemente iniziato a fare trading dei futures sull'acqua, trasformando un bisogno fondamentale per la sopravvivenza umana in un cinico gioco di scommesse. Questo è un perfetto esempio di "disaster capitalism" e rivela il completo disinteresse per la sopravvivenza della nostra specie e il completo disinteresse ad affrontare veramente la crisi climatica.

Non possiamo risolvere questa crisi nella traiettoria dell'imperialismo globale

Ci sono alcune azioni relativamente semplici che, se attuate su scala globale, potrebbero ridurre le temperature globali, aumentare le falde acquifere nelle zone colpite dalla siccità e aumentare la biodiversità e la resilienza dell'ecosistema ai cambiamenti in corso. Il ripristino delle foreste, delle zone umide e delle praterie, insieme al passaggio a un'agricoltura rigenerativa e la fine dell'uso dei combustibili fossili, potrebbe arginare il disfacimento del nostro clima in pochi decenni. L'umanità ha gli strumenti per salvarsi, ma l'"uno per cento" e il sistema di capitalismo che la polizia, l'esercito, i tribunali e le prigioni proteggono, ci sta letteralmente buttando giù dalla scogliera.

Un'omissione evidente che i rapporti e i vertici climatici dell'Onu non affrontano mai è la questione dell'imperialismo. Come possiamo ridurre le emissioni globali quando gli imperialisti - che sono i maggiori inquinatori procapite - bloccano costantemente qualsiasi impegno vincolante ai summit sul clima, nonostante le pressioni del Sud del mondo? Come possiamo lavorare insieme a livello globale per la nostra sopravvivenza quando gli Stati Uniti e i loro alleati europei minano e riducono costantemente in macerie qualsiasi nazione che non si pieghi alle loro richieste?

Per esempio, la Libia, prima della sua distruzione nel 2011 da parte di Stati Uniti e NATO, aveva il più alto standard di vita nel continente africano. La Libia aveva quasi completato il "Great Man-Made River", il più grande sistema di irrigazione del mondo che stava rendendo il deserto più verde, e stava creando un sistema bancario e una valuta panafricana per far uscire il continente dall'indebitamento con il FMI e la Banca Mondiale controllati dall'imperialismo. Questo avrebbe potuto significare una vera indipendenza per le nazioni africane e uno sviluppo basato sulla sostenibilità. Ma gli imperialisti hanno distrutto completamente la Libia, hanno applaudito al linciaggio del suo leader e hanno bombardato il sistema di irrigazione, creando uno Stato fallito che oggi ha aperto i mercati degli schiavi che commerciano i neri africani.

Non possiamo risolvere la crisi climatica globale all'interno dell'attuale traiettoria dell'imperialismo mondiale. Dobbiamo sradicare il sistema del capitalismo e passare a un sistema socialista costruito sulla cooperazione e sulla condivisione delle risorse. La ricchezza dell'"uno per cento" deve essere sequestrata per finanziare una rivoluzione ecologica e sociale e mettere il potere nelle mani della maggioranza per determinare ciò che è necessario per il vantaggio sia delle persone che del pianeta.

Dobbiamo organizzarci al di là delle frontiere, farci istruire sui problemi e costruire un movimento di massa di militanti per realizzare questo obiettivo. Il momento di agire è ora, di prendere il controllo della macchina produttiva, prima che i capitalisti ci spingano giù dalla scogliera. Abbiamo il potere di arginare la crisi climatica e di fare un salto evolutivo verso una società socialista che soddisfi tutte le nostre esigenze per un futuro equo e prospero.

Originariamente pubblicato: liberationnews.org


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.