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- osservatorio - mondo - salute e ambiente - 07-06-21 - n. 792
Allarme rosso: C'è soltanto una Terra
Istituto Tricontinentale di Ricerca Sociale | thetricontinental.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
02/06/2021
Un nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), Fare la pace con la natura (2021), evidenzia la "gravità delle tre emergenze ambientali della Terra: climatica, perdita di biodiversità e inquinamento". Queste tre "crisi planetarie autoinflitte", dice l'UNEP, fanno correre "alle generazioni attuali e future un rischio inaccettabile riguardo il loro benessere". Questo Allarme rosso, lanciato nella Giornata Mondiale dell'Ambiente (5 giugno), è concepito insieme alla Settimana Internazionale di Lotta Anti-Imperialista.
Qual è l'entità della distruzione?
Gli ecosistemi si sono degradati ad un ritmo allarmante. Il rapporto della Piattaforma intergovernativa di scienza e politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES) del 2019 fornisce esempi sbalorditivi della scala della distruzione:
- Un milione delle stimate otto milioni di specie di piante e animali sono minacciate di estinzione.
- Le azioni umane hanno portato almeno 680 specie di vertebrati all'estinzione dal 1500, con le popolazioni globali di specie di vertebrati che sono diminuite del 68% negli ultimi 50 anni.
- L'abbondanza di insetti in natura è diminuita del 50%.
- Più del 9% di tutte le varietà di mammiferi addomesticati usati per l'alimentazione e l'agricoltura si sono estinte nel 2016, con un altro migliaio di razze attualmente in via di estinzione.
Il degrado degli ecosistemi è accelerato dal capitalismo, che intensifica l'inquinamento e i rifiuti, la deforestazione, il cambiamento di destinazione e sfruttamento della terra e i sistemi energetici basati sul carbonio. Per esempio, il rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico Cambiamento climatico e terra (gennaio 2020), nota che resta solo il 15% delle zone umide conosciute, essendosi la maggior parte degradate oltre ogni possibilità di recupero. Nel 2020, l'UNEP ha documentato come, dal 2014 al 2017, le barriere coralline abbiano subito il più lungo e grave fenomeno di sbiancamento mai registrato. Si prevede che le barriere coralline diminuiranno drammaticamente con l'aumento delle temperature; se il riscaldamento globale salisse di 1,5°C, rimarrebbe solo il 10-30% delle barriere, se salisse di 2°C, ne rimarrebbe invece solo l'1%.
Allo stato attuale, c'è una buona probabilità che l'Oceano Artico possa ritrovarsi privo di ghiaccio entro il 2035, il che sconvolgerà sia l'ecosistema artico che la circolazione delle correnti oceaniche, trasformando probabilmente il clima e il tempo globale e regionale. Queste alterazioni nella copertura dei ghiacci artici hanno già innescato una corsa tra le maggiori potenze per il dominio militare nella regione e per il controllo delle preziose risorse energetiche e minerarie, aprendo le porte a una distruzione ecologica devastante. Nel gennaio 2021, in un documento intitolato Riconquistare il dominio dell'Artico, l'esercito statunitense ha definito l'Artico come "simultaneamente un'arena di competizione, una linea d'attacco nel conflitto, un'area vitale che contiene molte delle risorse naturali della nostra nazione e una piattaforma per la proiezione del potere globale".
Il riscaldamento dell'oceano si accompagna allo scarico annuo di 400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi e fanghi tossici (oltre gli altri rifiuti industriali), senza contare i rifiuti radioattivi. Questi sono i più pericolosi, ma rappresentano solo una piccola parte del totale dei rifiuti gettati nell'oceano, compresi milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Uno studio del 2016 calcola che, entro il 2050, è probabile che ci sia più plastica in peso nell'oceano che pesci. Nell'oceano, la plastica si accumula in vortici, uno dei quali è l'Isola di rifiuti plastici (Great Pacific Garbage Patch), una massa stimata di 79.000 tonnellate di plastica oceanica che galleggia in un'area concentrata di 1,6 milioni di kmq (più o meno la dimensione dell'Iran). La luce ultravioletta del sole degrada i detriti in "microplastiche", che non possono essere ripulite, e che interrompono le catene alimentari e rovinano gli habitat. Lo scarico di rifiuti industriali nelle acque, anche nei fiumi e in altri bacini d'acqua dolce, genera almeno 1,4 milioni di morti ogni anno per malattie prevenibili associate all'acqua potabile inquinata da agenti patogeni.
I rifiuti nelle acque sono solo una frazione dei rifiuti prodotti dagli esseri umani, che si stima siano 2,01 miliardi di tonnellate all'anno. Solo il 13,5% di questi rifiuti viene riciclato, mentre solo il 5,5% viene compostato; il restante 81% viene gettato nelle discariche, incenerito (rilasciando gas serra e altri gas tossici) o finisce nell'oceano. All'attuale ritmo di produzione di rifiuti, si stima che questa cifra aumenterà del 70% fino a 3,4 miliardi di tonnellate entro il 2050.
Nessuno studio mostra una diminuzione dell'inquinamento, compresa la produzione di rifiuti, o un rallentamento dell'aumento della temperatura. Per esempio, il Rapporto sul divario tra bisogni e prospettive in materia di riduzione delle emissioni (Emissions Gap Report) dell'UNEP (dicembre 2020) mostra che il mondo al ritmo attuale di emissioni è sulla buona strada per un riscaldamento di almeno 3,2°C sopra i livelli pre-industriali entro il 2100, cioè molto al di sopra dei limiti fissati dall'Accordo di Parigi di 1,5°-2,0°C. Il riscaldamento del pianeta e il degrado ambientale si alimentano a vicenda: tra il 2010 e il 2019, il degrado e la trasformazione della terra - compresa la deforestazione e la perdita di carbonio da parte del suolo nelle terre coltivate - hanno contribuito a un quarto delle emissioni di gas serra, con il cambiamento climatico che peggiora ulteriormente la desertificazione e l'interruzione dei cicli di nutrizione del suolo.
Cosa sono le responsabilità comuni e differenziate?
Nella dichiarazione della Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite del 1992, il settimo principio delle "responsabilità comuni ma differenziate" - concordato dalla comunità internazionale - stabilisce che tutte le nazioni devono assumersi alcune responsabilità "comuni" per ridurre le emissioni, ma che i paesi sviluppati hanno la maggiore responsabilità "differenziata" a causa del fatto storico del loro maggiore contributo alle emissioni globali cumulative che causano il cambiamento climatico. Uno sguardo ai dati del Progetto globale sul carbonio del Centro di analisi delle informazioni sull'anidride carbonica (CDIAC) mostra che gli Stati Uniti d'America - da soli - sono stati la maggiore fonte di emissioni di anidride carbonica dal 1750. I principali emettitori storici di carbonio erano tutte le potenze industriali e coloniali, principalmente gli stati europei e gli Stati Uniti d'America. Dal 18° secolo, questi paesi non solo hanno emesso la maggior parte del carbonio in atmosfera, ma continuano anche a superare la loro giusta quota del Global Carbon Budget (Bilancio globale di CO2) in proporzione alla popolazione. I paesi che hanno meno responsabilità nella creazione della catastrofe climatica - come i piccoli stati insulari - sono quelli più duramente colpiti dalle sue disastrose conseguenze.
L'energia a buon mercato basata sul carbone e gli idrocarburi, insieme al saccheggio delle risorse naturali da parte delle potenze coloniali, ha permesso ai paesi europei e nordamericani di aumentare il benessere delle loro popolazioni a spese del mondo colonizzato. Oggi, l'estrema disuguaglianza tra il livello di vita dell'europeo medio (747 milioni di persone) e dell'indiano medio (1,38 miliardi di persone) è altrettanto netta che un secolo fa. La dipendenza della Cina, dell'India e di altri paesi in via di sviluppo dal carbonio - in particolare dal carbone - è effettivamente alta, ma anche questo uso recente di carbonio da parte di Cina e India è ben al di sotto di quello degli Stati Uniti. Le cifre del 2019 per le emissioni di carbonio pro capite di Australia (16,3 tonnellate) e Stati Uniti (16 tonnellate) sono più del doppio di quelle di Cina (7,1 tonnellate) e India (1,9 tonnellate).
Ogni paese del mondo deve fare progressi per passare dalla dipendenza dall'energia basata sul carbonio e per prevenire il degrado dell'ambiente su larga scala, ma i paesi sviluppati devono essere ritenuti responsabili di due urgenti azioni chiave:
- Ridurre le emissioni nocive. I paesi sviluppati devono urgentemente giungere ad una drastica riduzione delle emissioni di almeno il 70-80% dei livelli del 1990 entro il 2030 e impegnarsi in un percorso per approfondire ulteriormente questi tagli entro il 2050.
- Garantire la mitigazione e l'adattamento. I paesi sviluppati devono assistere i paesi in via di sviluppo trasferendo la tecnologia per le fonti di energia rinnovabile e fornendo finanziamenti per mitigare e adattarsi agli impatti del cambiamento climatico. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 ha riconosciuto l'importanza della divisione geografica del capitalismo industriale tra il Nord e il Sud del mondo e il suo impatto sulle rispettive quote inique del bilancio globale del carbonio.
Questo è il motivo per cui tutti i paesi alle numerose conferenze sul clima hanno concordato di creare un Fondo verde per il clima alla conferenza di Cancun nel 2016. L'obiettivo attuale è di 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020. Gli Stati Uniti sotto la nuova amministrazione Biden si sono impegnati a raddoppiare i loro contributi finanziari internazionali entro il 2024 e a triplicare i contributi per l'adattamento, ma, dato il punto di partenza molto basso, questo è altamente inadeguato. L'Agenzia Internazionale dell'Energia suggerisce ogni anno nella Prospettiva energetica mondiale (World Energy Outlook) che la cifra reale dei finanziamenti internazionali per il clima dovrebbe essere nell'ordine dei trilioni. Nessuna delle potenze occidentali ha lasciato intendere qualcosa di simile a un impegno di questa portata per il Fondo.
Cosa si può fare?
- Passare a zero emissioni di carbonio. Le nazioni del mondo nel loro insieme, guidate dal G20 (che rappresenta il 78% di tutte le emissioni globali di carbonio), devono attuare piani realistici per passare a zero emissioni nette di carbonio. In pratica, questo significa zero emissioni di carbonio entro il 2050.
- Ridurre l'impronta militare degli Stati Uniti. Attualmente, l'esercito statunitense è il singolo maggiore emettitore istituzionale di gas serra. La riduzione dell'impronta militare statunitense ridurrebbe considerevolmente i problemi politici e ambientali.
- Fornire una compensazione climatica ai paesi in via di sviluppo. Assicurarsi che i paesi sviluppati forniscano una compensazione climatica per le perdite e i danni causati dalle loro emissioni climatiche. Esigere che i paesi che hanno inquinato le acque, il suolo e l'aria con rifiuti tossici e pericolosi - incluse le scorie nucleari - sostengano i costi di risanamento; esigere la cessazione della produzione e dell'uso di rifiuti tossici.
- Fornire finanziamenti e tecnologia ai paesi in via di sviluppo per la mitigazione e l'adattamento. Inoltre, i paesi sviluppati devono fornire 100 miliardi di dollari all'anno per affrontare i bisogni dei paesi in via di sviluppo, incluso l'adattamento e la resilienza al reale e disastroso impatto del cambiamento climatico. Questi impatti sono già sostenuti dai paesi in via di sviluppo (in particolare i paesi nelle aree basse e i piccoli stati insulari). La tecnologia deve anche essere trasferita ai paesi in via di sviluppo per la mitigazione e l'adattamento.
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