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COP28: dove le industrie dei combustibili fossili vanno a divertirsi

Binoy Kampmark | mronline.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/12/2023

La serie di incontri della COP, in apparenza un forum delle Nazioni Unite per discutere misure radicali sul cambiamento climatico di fronte alle emissioni vertiginose, si è ora rivelata per quello che è: un bazar lussuoso e coccolato dalle stesse industrie che temono un calo dei loro profitti e la loro fine. Lo si può definire un vertice sulle droghe per i distributori di stupefacenti che promuovono una vita irreprensibile; una convention per i magnati dei casinò che promettono di aiutare i giocatori d'azzardo in difficoltà. L'elenco delle analogie maligne è infinito.

L'incontro è noto anche come Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Sul sito web delle Nazioni Unite, che spiega il ruolo della COP28, si legge che il forum è "il luogo in cui il mondo si riunisce per concordare i modi con cui affrontare la crisi climatica, come limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius, aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi agli effetti del cambiamento climatico e raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050".

Poi arriva la cifra sconcertante: 70.000 delegati si riuniranno e contratteranno, includendo le parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Tra i partecipanti figurano anche leader d'azienda, giovani, scienziati del clima, popolazioni indigene, giornalisti e vari altri esperti e parti interessate.

Vista dall'esterno la conferenza si passa dal giorno alla notte. Fernando Racimo, biologo evoluzionista e membro del gruppo di attivisti Scientist Rebellion, riassume i progressi di un vertice sempre più ingombrante in questo campo dal 1995: "Quasi 30 anni di promesse, di impegni", ha detto a Nature, eppure le emissioni di carbonio continuano a salire a livelli ancora più alti.

Come scienziati, stiamo riconoscendo questo fallimento.

A Dubai, dove si tiene la COP28, i rappresentanti delle industrie del carbone, del petrolio e del gas si sono presentati numerosi per parlare di cambiamenti climatici. Sono loro, a quanto pare, i leader commerciali e le parti interessate che contano. E tali rappresentanti hanno tutte le ragioni per essere incoraggiati dalla ricca presa in giro di tutto questo: gli Emirati Arabi Uniti sono un produttore di petrolio di prima grandezza e membri dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio.

Secondo un'analisi della associazione ambientalista Kick Big Polluters Out (KBPO), 2.456 rappresentanti dei combustibili fossili hanno avuto accesso al vertice.

In un anno in cui le temperature globali e le emissioni di gas serra hanno infranto i record, c'è stata un'esplosione di lobbisti dei combustibili fossili che si sono recati ai colloqui dell'ONU, con un numero quasi quattro volte superiore a quello concesso l'anno scorso.

La ripartizione delle cifre dei partecipanti è una lettura sconfortante. In primo luogo, i lobbisti dei combustibili fossili hanno superato il numero di delegati delle nazioni vulnerabili al clima: il loro numero è di appena 1.509 persone. In termini di delegazioni nazionali, il gruppo di partecipanti dei combustibili fossili è superato solo dal Brasile, con 3.081 persone.

Al contrario, il numero di scienziati presenti è minimo, al punto da risultare invisibile. Gli attivisti del cambiamento climatico, i giovani e i giornalisti ricoprono ruoli decorativi, di sacerdoti moralizzatori che impartiscono l'estrema unzione prima dell'esecuzione.

Il tema della conferenza era già stato fissato dal presidente della COP, Sultan al-Jaber, che riteneva, nella sua grande saggezza, di poter ospitare contemporaneamente la conferenza con alti principi e di poter svolgere le sue funzioni di amministratore di delegato della Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc).

Dopotutto, si trattava di un'ottima occasione per chiaccherare sugli obiettivi climatici in termini vaghi, mentre si concludevano veri e propri accordi sui combustibili fossili con i Paesi partecipanti. Lo dimostrano i documenti di briefing trapelati alla BBC e al Centre for Climate Reporting (CCR).

I documenti in questione riguardano oltre 150 pagine di briefing preparati dal team della COP28 per gli incontri con Jaber e varie parti interessate tenutisi tra luglio e ottobre di quest'anno. Essi indicano l'intenzione di sollevare questioni di interesse commerciale con ben 30 Paesi. Il CCR conferma "che in almeno un'occasione una nazione ha dato seguito a discussioni commerciali sollevate in un incontro con Al Jaber; una fonte a conoscenza dei dibattiti ha anche detto al CCR che gli interessi commerciali di Adnoc sarebbero stati sollevati durante un incontro con un altro Paese.

Il team della COP28 non ha negato di aver utilizzato gli incontri bilaterali legati al vertice per discutere di questioni commerciali. Un portavoce dell'équipe è stato impassibile nell'affermare che Jaber "ricopre una serie di incarichi oltre a quello di presidente designato della COP28. Questo è di dominio pubblico. Gli incontri privati sono privati e non li commentiamo".

Il Sultano si è dimostrato più diretto, dicendo in una conferenza stampa che tali "accuse sono false, non vere, non corrette, non sono accurate. Ed è un tentativo di minare il lavoro della presidenza della COP28". Jaber ha poi promesso di non aver mai visto "questi punti di discussione a cui fanno riferimento o che io abbia mai usato tali argomenti nelle mie discussioni". Non c'è bisogno di note, quindi, quando si promuovono gli interessi dei combustibili fossili del Paese e dell'industria.

Le parti interessate stanno cercando di trovare vari modi per protestare contro un vertice che ha tutte le caratteristiche di un grave fallimento. Scienziati e ambientalisti scelgono di esprimere il loro dissenso nei rispettivi Paesi, evitando così di aggiungere qualcosa alla sempre più vasta impronta di carbonio lasciata dalla COP28. Come è giusto che sia: Dubai sta ospitando un evento che potrebbe essere meglio descritto come un pezzo da museo dei fallimenti umani.

Attualmente, i delegati stanno esaminando una bozza dell'accordo finale che propone "un'ordinata e giusta eliminazione dei combustibili fossili". Che cosa sia giusto in questo caso è una domanda intrigante, data l'attività di lobby dei sostenitori dei combustibili fossili che hanno una nozione piuttosto stravagnte di equità. Come ha dichiarato Jean Paul Prates, amministratore delegato della compagnia petrolifera statale brasiliana Petrobras, "La transizione energetica sarà valida solo se sarà una transizione equa". Si prospetta un fallimento ancora più grandioso, gestito in modo scenografico, aiutato dal petrolio e dal gas.

Con le figure della scienza essenzialmente escluse da questi raduni di aria fritta a favore delle industrie che le considerano come fastidiose seccature da ignorare, la prospettiva di una riforma locale e nazionale attraverso un attivismo informato diventa l'unico approccio sensato. Ci sono persino studi incoraggianti che suggeriscono che la protesta per il clima può riscaldare la gelida opinione pubblica, l'unica misura che interessa davvero ai politici che raccolgono voti. Purtroppo questa sembra l'ultima spiaggia per gran parte dell'umanità e dell'ecosistema terrestre.

Binoy Kampmark è stato borsista del Commonwealth al Selwyn College di Cambridge. È docente alla RMIT University di Melbourne.

Pubblicato originariamente: Dissident Voice 5 dicembre 2023



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