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Presentazione del libro: Il Gobbo del Quarticciolo

Venerdì 29 maggio 2015 – ore 20.45

Presso
Sezione ANPI "Baroni-Franchetti-Ballario-Rolando" - V Circoscrizione Torino

Via Sospello 139/3, Torino

Locandina PDF

Presentazione del libro di Massimo Recchioni e Giovanni Parrella:

Il GOBBO del Quarticciolo
E la sua banda nella Resistenza

Edizioni Milieu, 2015, pp. 208

La storia di un ragazzo, con una lieve protuberanza sulla spalla destra poi ingigantita dalla sua fama e dalla leggenda popolare, che si trovò giovanissimo tra i protagonisti della lotta delle borgate romane contro il fascismo.
In un gioco troppo difficile e scorretto per essere compreso ...il Gobbo, nemico pubblico numero uno a Roma, aveva solo 18 anni...

Introduce:
- sezione ANPI "Baroni-Franchetti-Ballario-Rolando"
Intervengono:
- sezione ANPI "Nizza-Lingotto"
- Centro di cultura e documentazione popolare

Con la partecipazione dell'autore Massimo Recchioni


Scheda del libro Recensioni


Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza

Recensione di David Broder

maggio 2015

Ogni anno, nella giornata del 25 aprile, le commemorazioni ufficiali della Resistenza tendono ad esaltare l'"unità nazionale" raggiunta dal Comitato di Liberazione Nazionale. Questa idea della Resistenza si presta in maniera particolarmente opportuna a fare dell'antifascismo il mito fondativo onnicomprensivo dello Stato italiano. Una tale rappresentazione della lotta antifascista non solo trascura i contrasti sociali che segnarono il dopoguerra, ma esprime anche esprime un'appropriazione della memoria antifascista da parte delle istituzioni.

Questa strumentalizzazione si è manifestata anche sul primo anniversario della strage nazifascista delle Fosse Ardeatine. Il 24 marzo del '45 fu organizzata una cerimonia religiosa alla presenza del Luogotenente Umberto, del Presidente del Consiglio e di vari rappresentanti delle autorità alleate, ma dalla quale furono esclusi i partigiani e le vedove delle vittime! Fortunatamente non tutti accettarono una tale appropriazione della memoria resistenziale da parte dei nuovi governanti. Un gruppo di circa sessanta donne, capeggiato da Vittoria Tarantini, si introdusse nella basilica, elevando grida di protesta per la presenza del luogotenente alla cerimonia. Urlarono: "Fuori di qui, non lo vogliamo; o fuori lui o fuori noi". Un'altra donna affrontò il commissario capo di Pubblica Sicurezza, gridando: "Con che coraggio lei sta qui?"

La Tarantini era la vedova di Umberto Scattoni, un militante dei GAP che collaborava anche con il movimento rivoluzionario di Bandiera Rossa. Con quasi tremila militanti durante l'occupazione, esso fu l'elemento più consistente della Resistenza romana, godendo di un radicamento molto importante nelle borgate della capitale, da Villa Gordiani a Tor Marancia. Nel dopoguerra la sua storia venne quasi completamente cancellata dagli storici professionali dei partiti dell'arco costituzionale. Anche adesso sono pochi gli storici che esaminano seriamente i partigiani non facenti parte del CLN, o le forme di Resistenza che non trovarono espressione nell'establishment politico del dopoguerra.

È per questo motivo che sono così importanti le ricerche di Recchioni e Parrella; per ripristinare la storia trascurata di un aspetto molto importante della Resistenza e della storia di Roma: l'attività resistenziale non solo di vecchi uomini politici antifascisti o di giovani studenti idealistici entrati nei partiti ufficiali, ma anche la ribellione degli strati sociali più emarginati e subalterni. Gli autori ci presentano un quadro più complesso della Resistenza – non solo una crociata morale o l'espressione dell'idealismo dei più puri democratici, ma una ribellione di classe che comprendeva fenomeni di banditismo e di criminalità. Contrastando un'agiografia mitologizzata di eroi purissimi e innocenti, sempre e dovunque impegnati alla lotta, parlano anche di personaggi più scomodi – cioè di vere persone, complicate e anche con aspetti negativi.

La loro ricostruzione delle vicende umane della vita del Gobbo ci offre anche una risposta a un certo modo di parlare della Resistenza nelle borgate, qualificandola come un antifascismo solamente impulsivo o spontaneo. Quest'analisi tradizionale, a mio giudizio, è sbagliata non solo nel senso che cancella gli interessi e le scelte coscienti che portano le persone a partecipare alla lotta. Ma anche perché enfatizzare l'aspetto "spontaneo" della Resistenza nelle borgate rischia di trascurare la sua valenza politica più larga. Sebbene giovani ragazzi come il Gobbo non fossero teorici con grandi piani politici, nondimeno hanno espresso un tipo di diffidenza verso le autorità costituite e uno spirito di classe che contrastava con la continuità dello Stato e l'autodifesa delle élite tradizionali.

Questo spirito fu un fattore molto importante nella Resistenza nel Lazio, proprio perché essa non fu solo opera dei partiti ufficiali. Nonostante Roma non fosse una città di grandi fabbriche come Milano o Torino, questo non significa che non ci fosse una Resistenza di classe nella capitale. Anzi, nelle borgate, una serie di lotte sociali è proseguita anche nel dopoguerra, con le lotte per la casa e contro la disoccupazione e il carovita.

La tragedia del Gobbo, senz'altro, fu dovuta dall'essere coinvolto nel doppio gioco di altre persone con scopi più oscuri. Lui, molto giovane, non poteva maneggiare tutti i problemi dell'organizzazione armata (ad esempio l'infiltrazione di spie nelle bande). Questo fu un problema anche per un'altra formazione partigiana con la quale il Gobbo manteneva contatti assai stretti, cioè Bandiera Rossa. Ma quei partigiani soffrirono anche un problema più vasto, un fattore determinante per la Resistenza, cioè il modo con il quale gli alleati hanno frenato le possibilità delle forze antifasciste di cambiare la società italiana.

Già nell'ottobre del 1943, all'inizio della Resistenza, il giornale clandestino di Bandiera Rossa metteva in guardia sull'eventualità che, dopo la Liberazione, "la Borghesia, a spese e col sacrificio del Proletariato, salvata l'Italia, ne avrebbe ripreso il dominio, aiutata dalla plutocrazia anglo-americana".

Senz'altro, l'arrivo degli alleati a Roma ai primi di giugno del 1944 fu una liberazione per coloro che avevano dovuto sopportare a lungo la violenza nazista, le deportazioni e la fame. Ma è anche vero che, dopo la Liberazione, le élite tradizionali avevano conservato gran parte del proprio potere. Inoltre, per gli strati più emarginati, le durissime condizioni di vita non mogliorarono immediatamente.

Le lotte sociali proseguirono anche dopo la Liberazione; già nell'autunno del '44, le nuove autorità prestarono molta attenzione all'opera di contenimento e controllo delle turbolente formazioni partigiane nelle borgate. I nuovi governanti cominciarono a criminalizzare in maniera particolarmente vistosa buona parte della passata attività dei resistenti, facendo processare i combattenti, anche coloro che si erano resi protagonisti di espropri o occupazioni di edifici pubblici nel periodo dell'occupazione.

In quell'opera, le nuove autorità fruirono dell'aiuto degli Stati Maggiori alleati. L'agente del servizio segreto britannico Antony Ellis ebbe a descrivere Bandiera Rossa come un'organizzazione che "reclutava i propri membri per lo più fra gli strati criminali della società". Un rapporto, scritto da un suo collega, sul Gobbo, deprecava anche il fatto che esso fosse riuscito a indurre con l'inganno le truppe canadesi a trafficare in armi e carburante. In questo senso le accuse di criminalità hanno anche facilitato la ripresa in mano della situazione politica da parte degli alleati, imponendo il disarmo dei partigiani e proibendo le attività politiche di varie formazioni antifasciste dissidenti.

La rivoluzione non è un pranzo di gala, e non lo fu la resistenza antifascista. Non c'è nessuna lotta sociale priva di contraddizioni e di elementi più dubbi e oscuri.

Sì, il libro di Recchioni e Parrella ci spiega la storia trascurata della ribellione sociale nelle borgate. Ma presenta anche una ricostruzione franca degli aspetti più difficili e oscuri di quella lotta disperata, non solo durante il fascismo ma anche nel dopoguerra, sottolineando la sua giustezza fondamentale. In questo senso è anche spunto per discutere la cosiddetta criminalità di altre lotte sociali, anche nei nostri tempi.

* David Broder, London school of Economics and political Science - Ricercatore sul Movimento Comunista d'Italia – Bandiera Rossa



Sherwood a Roma Sud. Il Gobbo, tra Resistenza e banditismo

Luca Cangianti |  carmillaonline.com

18/03/2015

Massimo Recchioni-Giovanni Parrella, Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza, Milieu, 2015, pp. 208, € 14,90.

"Il fronte comincia dagli archi di Porta Furba", scrisse un soldato tedesco durante l'occupazione nazista di Roma. Nella Capitale gli invasori non furono cacciati con un'insurrezione come a Napoli, ma la Resistenza fu ugualmente agguerrita, specialmente nei quartieri meridionali: il sabotaggio di tralicci telefonici, il lancio di chiodi a quattro punte per fermare gli automezzi nazifascisti, le incursioni nei forti militari per reperire viveri e armi, gli assalti ai forni e alle colonne militari occupanti erano azioni all'ordine del giorno.
Porta Furba è un arco antico all'incrocio tra via Tuscolana e l'acquedotto Felice. Venendo dal centro, alla sua sinistra si trova il Quadraro. È questo il quartiere che a causa della forte presenza partigiana fu definito "nido di vespe" dal console tedesco a Roma durante l'occupazione. Nello spazio urbano tra le vie consolari della Casilina e della Prenestina, ci sono poi il Pigneto, Torpignattara, Centocelle e il Quarticciolo. Queste zone erano delle borgate popolate principalmente da immigrati meridionali e dagli sfollati della politica urbanistica fascista; erano la cintura operaia di una città in larga parte impiegatizia e ministeriale. In base a una legge fascista abolita solo nel 1961, gli immigrati a Roma non avevano diritto all'iscrizione all'anagrafe, alle liste di collocamento ed elettorali, all'assistenza sanitaria e previdenziale. Le loro condizioni non erano insomma diverse da quelle di molti stranieri in Italia ai nostri giorni.

Camminando per le strade secondarie di questi quartieri ancora oggi è possibile immaginare l'atmosfera semirurale che avevano ai tempi della guerriglia partigiana. Del resto questo sforzo d'immaginazione è sostenuto da molti murales ispirati a quegli eventi e dal moltiplicarsi di iniziative quali visite organizzate ai luoghi simbolo della Resistenza e raccolte di testimonianze dei protagonisti di quelle vicende. I promotori (giovani ricercatori, centri sociali, associazioni e comitati di quartiere) sembrano credere fermamente che i processi di soggettivazione politica siano agevolati dalla memoria storica incarnata nei luoghi di vita quotidiana – quasi che sapere di vivere nei quartieri più ribelli della Roma partigiana, possa ancora oggi ispirare un nuovo percorso di liberazione.

Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza ha una funzione simile. Attraverso testimonianze dirette e articoli di giornale, ci restituisce infatti un'immagine articolata della Resistenza romana, nella quale erano presenti i gappisti, i comunisti eretici di Bandiera Rossa, le Brigate Matteotti, ma anche molti gruppi non inquadrati animati da un forte astio di classe. La banda del Gobbo, il cui vero nome era Giuseppe Albano, fu una di queste.
A distanza di settanta anni il Gobbo del Quarticciolo è ancora fortemente presente nell'imaginario romano, forse proprio per la duplicità del suo profilo, prima e dopo la Liberazione.
Prima fu un intrepido combattente immigrato dalla Calabria, un Robin Hood proletario che derubava e castigava i nazifascisti per sfamare e proteggere la popolazione della Sherwood romana. Era un bandito sociale perfettamente integrato nella sua comunità di classe: aggressivo e spavaldo come possono essere i borgatari, si spostava invisibile al nemico dentro gli acquedotti e colpiva senza pietà. Un quotidiano antifascista nel 1944 descrive una sua azione così: "Ed ecco da una porta uscire un gobbo armato di moschetto e di un tascapane di bombe. Si piazza in mezzo a un quadrivio e lancia una bomba. Poi tranquillo, tira un primo colpo di moschetto. I tedeschi rispondono. Il Gobbo tira un'altra bomba e un altro colpo. I tedeschi gli sparano con la mitragliatrice. Ma il Gobbo è fatato: nessun colpo lo raggiunge". Catturato dalle SS, è torturato, ma non parla e scampa alla fucilazione grazie all'arrivo degli Alleati il 4 giugno del 1944.
Dopo la liberazione, Albano si mise a dare la caccia ai torturatori di via Tasso e ad altri criminali fascisti, ma presto notò che i nuovi governanti avevano avviato una vasta operazione di recupero e riciclaggio dei fascisti, mentre la miseria delle borgate rimaneva la stessa di sempre. È così, secondo Parrella e Recchioni, "Albano arrivò alla conclusione che nessuna forza politica era interessata a risolvere i problemi delle borgate, e quindi l'unica cosa che rimaneva da fare era pensare alle piccole conquiste giornaliere personali… cercando di trarre benefici per la gente che lo circondava e soprattutto per sé". Il Gobbo iniziò a vestirsi con pellicce e cappelli costosissimi; rifluì quindi nella pura criminalità, probabilmente manipolato proprio da chi aveva precedentemente combattuto: le forze reazionarie che temevano la rottura radicale con il passato.

Le testimonianze si soffermano raramente sulla deformità fisica di Giuseppe Albano, mentre sottolineano spesso la bellezza del suo volto – il volto di un ragazzo che il 16 gennaio 1945, il giorno della sua morte, non aveva ancora compiuto diciannove anni. Sulle circostanze del suo assassinio è stata messa in dubbio la versione ufficiale del conflitto a fuoco con i Carabinieri e sono state avanzate ipotesi alternative in cui il Gobbo sarebbe stato vittima di sicari al soldo di un'organizzazione di pseudo-sinistra (l'Unione Proletaria) – ricettacolo di ex fascisti e di nuove trame eversive (Cfr. S. Corvisieri, Il Re, Togliatti e il Gobbo, Odradek, 1998). Recchioni e Parrella, tuttavia, anche sulla base di nuove testimonianze avanzano un'ulteriore ipotesi.
Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza è un libro che non teme di mostrare fino in fondo la contraddittorietà di una biografia proletaria inserita nel contesto drammatico dell'occupazione nazista di Roma. Gli eventi rivoluzionari, e la Resistenza è sicuramente da inserire tra questi, possono provocare profonde fratture esistenziali. L'arrivo della rivoluzione è capace di dare senso e speranza a chi non ne ha, facendo scorgere la possibilità di un orizzonte di riscatto collettivo. Il precoce interrompersi del processo può di contro favorire il ripiego su strategie individualistiche. Se la speranza nella redistribuzione collettiva della ricchezza viene meno, rimane solo la sconfitta o la continuazione dell'esproprio a fini personali.

I proletari, i borgatari e gli immigrati agli occhi dei benpensanti sembrano sempre "brutti, sporchi e cattivi". In certi casi possono anche esserlo, ma intanto furono la principale spina nel fianco dell'occupante nazifascista. E se ci sarà una nuova Liberazione, probabilmente sarà ancora grazie a loro.


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