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- segnalazioni resistenti - lettere - 02-11-09 - n. 293
da posta@resistente.org
Cosa e’ questa federazione della sinistra? A cosa serve e soprattutto a chi?
……E’ per il Partito che dobbiamo lottare….
di Francesco Petrarca
L’altra sera ho assistito all’inverecondo spettacolo che la cosiddetta “sinistra radicale” ha nuovamente dato di sé in televisione e sui giornali, appena dopo l’elezione a segretario di Pierluigi Bersani. Gli interessati c’erano tutti e tutti litigavano per aver il privilegio di fare il primo passo di danza con il nuovo capo del PD. All’O.d.G. della allegra combriccola la necessità di una bella alleanza della sinistra contro il tiranno Berlusconi. Affermare oggi che Berlusconi non sia un grave problema per il nostro paese contribuirebbe a far pensare che chi lo afferma è scemo oppure vive in un paese diverso dal nostro. Tuttavia occorreva, a mio parere, prima di pestarsi i piedi per “salutare” Bersani, verificare che lo stesso fosse interessato alla cosa. E per sapere il punto di vista di Bersani bastava semplicemente chiederglielo in privato: questo avrebbe comportato l’eliminazione del rischio di lanciarsi, secondo lo stile degli ultimi anni, in pericolose avventure dalle quali poi è difficile rientrare. Avrebbero dovuto verificare se l’interessato non sia d’accordo ad una ipotetica alleanza solamente con lo scopo di farci fuori con l’astuzia e, più importante di tutto, avrebbero dovuto verificare che Bersani avesse almeno uno straccio di programma condivisibile.
Lasciando da parte l’ironia mi sembra davvero che ci sia, nella testa di molti, una grande confusione ed in quella di qualcun altro un calcolo preciso: far fuori definitivamente la prospettiva comunista in Italia.
Ora di questo non possiamo certo fare una colpa a Vendola: è uscito da Rifondazione proprio perché lui ed il suo capo castellano, Bertinotti, ritengono “ormai indicibile la parola Comunista”. Hanno fatto un Congresso e l’hanno perduto proprio su quella questione: il superamento del comunismo. E l’hanno perduto contro chi? Contro uno che non è di certo un castellano ma diacono sì: Paolo Ferrero, sé-dicente comunista, il quale non avendo i voti per vincere il congresso, va da Grassi a chiedere sostegno. Grassi glielo dà e da quel momento Ferrero, che non è un eroe, è sotto il suo continuo ricatto. Un po’ come mettere la volpe a guardia del pollaio. Grassi lo strattona due volte al giorno, lo tiene sulla corda, ma senza tirarla troppo, anche perché sa che con Ferrero non ce n’è bisogno: è già molle di suo.
Finché si arriva alle elezioni europee, dove RC, PDCI e residuati vari si presentano tutti sotto lo stesso simbolo. Ma non è che si mettono d’accordo sei mesi prima o lavorano affinché i militanti delle varie formazioni si amalgamino bene, come logica imporrebbe: no, troppo facile! L’accordo arriva pochi giorni prima delle elezioni. Con un simbolo del tutto simile a quello di Rifondazione, tanto per far capire chi comanda. Una bella fusione a freddo, un bell’accordo tra ceti politici, avulso dalla base, come direbbe Lenin (si può ancora nominare, Lenin?)
Il risultato delle elezioni lo conosciamo.
Non paghi del grandioso risultato ottenuto, i due partiti comunisti convocano una conferenza per il 18 luglio a Roma nel quale verrà, udite udite!, lanciata la Confederazione. La base dei due partiti lo apprende dalle televisioni e dai giornali, nella migliore delle tradizioni a cui ci hanno abituati in questi anni. Non se ne è discusso in nessun luogo, nemmeno negli organismi dirigenti, come se, in fin dei conti, si dovesse poi solo decidere a chi intestare la Sezione di Mompantero e non il futuro dei due partiti comunisti italiani.
Il 18 luglio Diliberto, alla conferenza, parla di Federazione come punto di partenza (e non di arrivo), Ferrero parla di tutto ma della parola Nuovo Partito Comunista non se ne sente nemmeno l’eco.
La storia dei giorni seguenti è un prosperare di cazzate che meriterebbero poca attenzione se non fossero coinvolte la vita ed i drammi di troppa gente. Vita e drammi reali, come fingono di dimenticare i protagonisti di questa commedia. E così assistiamo alle uscite del segretario di Rifondazione che non va in ferie ma sarebbe stato meglio fosse andato, perché ovunque vada parla di tutto tranne che di Federazione (figurarsi di riunificazione comunista), al saltimbanco Grassi che invia una graziosa letterina a Vendola, invitandolo ad aderire alla Confederazione (a parte la stupidaggine in sé: con chi l’ha concordato e parla a nome di chi?), insomma un impazzimento generale. In mezzo a tutto questo bailamme qualcuno con la testa sul collo, Fosco Giannini, spazientito dalla vorticosa girandola, fa la Domanda doverosa a Ferrero: ma perché non vuoi fare la riunificazione delle forze comuniste in Italia?
Sembrerebbe una domanda ridicola: chiedere ad un comunista se vuole o no unirsi ad altri comunisti ma non è ridicola per nulla. Perché Ferrero non è comunista (dice di essere persino più valdese che comunista…) e perciò a lui della riunificazione non importa nulla: censura le lettere inviate a Liberazione che trattano dell’argomento, fa rispondere a Giannini da un rifondarolo qualunque che in sostanza nega la necessità e l’urgenza, nonché l’opportunità, della riunificazione.
E siamo finalmente al punto:
Cosa diavolo è questa maledetta Federazione anticapitalista? A cosa serve e soprattutto a chi?
Facciamo un passo indietro però e diamoci prima un’occhiata attorno, che non fa mai male. Una volta avremmo detto che era urgente fare un’analisi della fase, ma non esageriamo, ché tra l’altro non ne avremmo neanche il tempo.
Perché la situazione in Italia si sta facendo sempre più drammatica ed insostenibile e di analisi ne abbiamo già sentite sin troppe. Naturalmente la situazione si sta facendo drammatica per le classi subalterne, perché banche e padroni da questa crisi ci hanno guadagnato e non poco.
La disoccupazione ha toccato livelli mai raggiunti in questi ultimi decenni, la precarizzazione del lavoro avanza a ritmi forsennati, l’indigenza degli strati popolari più bassi è ormai evidente anche ad un osservatore distratto. Una situazione eccellente per il padronato: massima liquidità sociale, massima ricattabilità dei lavoratori, nessuna lotta degna di tale nome all’orizzonte. Ognuno con la testa china, ripiegato su se stesso, in lotta col vicino più prossimo per l’ultimo pezzo di pane.
Esagerazioni? Andiamolo a chiedere a chi vive con 600-700 euro al mese, a chi ha perso definitivamente il lavoro, a chi ha fatto del lavoro saltuario una regola e non un’eccezione!
Ma non è una casualità. Ci sono i responsabili ed hanno tutti un nome ed un cognome.
Siamo di fronte ad un vero e proprio regime autoritario di massa, costruito scientificamente dal comitato d’affari della borghesia che governa l’Italia, con il fondamentale apporto e contributo di gran parte della sinistra. Siamo di fronte ad un blocco sociale solido e ben installato, formato dall’alta borghesia, che sta al suo vertice superiore, e da vastissimi strati popolari che ne formano la base. La sua anima perversa è la Lega Nord (quelli che vogliono ammazzare i bambini rom, quelli che vogliono sparare sui gommoni, quelli che vogliono il fucile e l’elmetto per liberare la Padania), il capo è Berlusconi e quelli (più o meno occulti) per cui lavora . Questo regime quindi ha un indiscutibile consenso di massa: se non partiamo da questa certezza non saremo nemmeno in grado di trovare la strada per uscirne. Ma se avessimo studiato un po’ la storia sapremmo però che un blocco sociale così strutturato non si scioglie da solo.
C’è bisogno di qualcosa di più, c’è bisogno di una formazione politica organizzata, determinata, strutturata territorialmente, che conosca dettagliatamente il problema e sappia porre le basi per affrontarlo e risolverlo. Una formazione che non fa del linguaggio politichese una scelta di campo, una formazione in grado di parlare lo stesso linguaggio del lavoro, dei deboli, degli oppressi.
Credo che in questi anni si sia fatto di tutto tranne che procedere in questa direzione. Anzi qualcuno ha lavorato coscientemente in senso contrario ed è arrivato vicino all’obbiettivo che gli è stato assegnato: eliminare, come ho detto sopra, le forze comuniste organizzate in Italia.
Con un’operazione, almeno per me, evidentissima, che è passata attraverso la progressiva subalternità, in questi anni, dei due partiti comunisti, lo svuotamento delle loro strutture organizzate, l’incapacità assoluta di mantenere ferme quelle poche proposte politiche coraggiose, il cambio sostanziale (almeno dentro RC) degli obbiettivi e delle prospettive, l’indebolimento del sostegno ideologico, il crollo preordinato dell’organizzazione capillare del partito. Di fronte ad un’operazione del genere è davvero difficile resistere. Eppure dobbiamo almeno provarci, forse non tutto è perduto.
Cominciamo innanzitutto a sgomberare il campo da un’affermazione che fin troppo spesso circola tra di noi: bisogna evitare il rischio dell’arroccamento, bisogna aprirsi per non crollare.
Ma non è quello che in questi anni ha teorizzato il bertinottismo? Non è forse la progressiva apertura ai movimenti che ha distrutto la fisionomia di RC? Non è forse il tentativo evidente di mettere un cappello dirigistico ai movimenti che ha indebolito Rifondazione e disarmato anche i movimenti?
Posso comprendere, anche se non lo condivido, che quel partito abbia voluto mettere da parte le esperienze dei paesi comunisti del secolo scorso; posso altresì capire, anche se non lo condivido, che abbia voluto rompere con la tradizione dell’internazionalismo comunista, ma perché mettere da parte Marx, Lenin, Gramsci, il comunismo?
Se io estrometto dal mio bagaglio Marx e Gramsci, con quali strumenti di analisi sarò in grado di affrontare la realtà? Se liquido Lenin con quali armi sarò in grado di combattere?
La parola comunismo è stata lentamente e sottilmente sostituita con altre parole, che al massimo possono fare da contorno ma non da piatto principale: anticapitalismo, ecologismo, femminismo, globalizzazione,alternativa… Parole che sono da sempre patrimonio dei comunisti italiani, ma che se assunte singolarmente, o come architrave della propria azione politica, hanno le gambe corte.
A questo proposito ho letto su “Liberazione” l’intervista del compagno Licandro, il nostro responsabile nazionale dell’organizzazione: dice che la Federazione della sinistra (della sinistra, quindi ha già deciso lui per tutti che non sarà la federazione Comunista) va fatta subito e deve partire dal basso e dall’alto.
Sembrano le indicazioni diramate da un imbianchino al “bocia” lasciato solo nell’alloggio a terminare il lavoro. Ma di cosa sta parlando il compagno Licandro? Ma si rende conto che in questi anni sono accadute “alcune” cose per permettersi di pensare che indicazioni prive completamente di contenuti possano davvero essere prese in considerazione? Probabilmente lo può pensare per coloro che, disciplinati soldatini e in odore di posticini futuri, si metteranno in fila fuori dalla porta del suo ufficio per comunicargli (con l’intento di curare i loro interessi) la giustezza della sua posizione. Quante corti di questo tipo abbiamo visto in questi anni, per poi scoprire che il tutto era fondato sull’argilla?
Apprezzo Diliberto al contrario di Licandro per due motivi: la coerenza dimostrata nella decisione di non fare parte degli organismi dirigenti della “Federazione della sinistra” e la sua caparbietà, dimostrata ad europee concluse con la famosa conferenza stampa dove dichiarò alle compagne e ai compagni che i Comunisti non erano scomparsi ma ben consci della necessità di ricominciare a lottare. Come dire… coerenza contro subalternità!
Togliamo di mezzo anche un altro (presunto) equivoco che spesso, in questo periodo (vedi il compagno Stefano Azzarà del PRC cacciato dal Partito sul tema alleanza con il PD), i comunisti devono affrontare: le alleanze.
Un comunista, per principio, non ne ha paura, anzi le costruisce e le sostiene. E’ il cardine della nostra politica, specie di quella dei comunisti italiani.
Ma le alleanze si fanno tra soggetti forti e dai forti connotati. Come si intuisce, v’è una grossa differenza tra un’alleanza di liberi soggetti ed una sua federazione.
Per federazione intendiamo un accordo tra soggetti che hanno in comune obbiettivi condivisi e che si uniscono per superarli. Ciascuno dei soggetti deroga e rinuncia ad una parte della propria sovranità ed autonomia in favore dell’entità nuova che si è creata. Ovvero, in parole povere (e crudamente): discutiamo fin quando vogliamo all’interno del nostro partito ma le decisioni saranno demandate all’istanza superiore (la federazione) che avrà l’ultima parola .
E qui entra in gioco un altro concetto di cui ci siamo facilmente dimenticati: l’egemonia. Che presuppone la ricerca dell’alleanza tra liberi soggetti, la costruzione di una forte organizzazione tra di loro e l’assunzione della sua guida da parte dei comunisti, che sono l’unica forma di organizzazione storicamente data, ancor oggi, capace di indicare le lotte, prenderne la testa e condurle alla vittoria. Ma questa forza non può che essere organizzata in Partito. I movimenti contengono, nel loro stesso termine, la debolezza e l’incapacità di guidare un qualsivoglia progetto destinato a risultare vincente.
Quindi è per il Partito che dobbiamo lottare e per nulla di meno.
L’idea di federazione nasce gracile e dalla vista corta. In questi mesi non ha prodotto né partecipazione né entusiasmo e finirà inevitabilmente per allontanare dalla politica e dalla lotta gli ultimi compagni che ancora resistono. La lotta politica, di cui c’è così bisogno in questo momento, presuppone passione ed abnegazione, fiducia ed impegno. L’idea della federazione, scaturita dalla fantasia di dirigenti troppo spesso lontani dalla base dei loro militanti, non ha scatenato nulla di tutto ciò.
Sinceramente non mi affascina per nulla l’idea di finire tra la categoria dei cani sciolti. Voglio, vogliamo, lottare per qualcosa in cui valga la pena credere. Abbiamo bisogno di ritrovarci in qualcosa che ci unisca tutti a partire dalle nostre idee e dall’analisi che facciamo di questa società.
Un luogo che sappia ritrovare la strada che porta al Partito Comunista, alla sua ricostruzione. Che sappia ricacciare la federazione nella cantina da cui è uscita, che tenga lontani, con alti reticolati, tutti coloro che in questi mesi ed anni (a partire da Grassi e Ferrero) hanno scientificamente lavorato per l’estinzione dei comunisti. Che sappia ridare fiducia e soprattutto SPERANZA ai milioni di lavoratori, di disoccupati, di emarginati che stanno morendo sotto il tallone di ferro della modernizzazione capitalista.
Non possiamo restare alla finestra. C’è bisogno già da subito, ora ed in questo Partito, di lasciare da parte le fumisterie e le alchimie federative, c’è bisogno di uno scatto organizzativo e di orgoglio. Non possiamo attendere il sol dell’avvenire: siamo noi che dobbiamo costruire l’avvenire.
Basterebbe mettere in cantiere poche ma significative iniziative per ridare un po’ di fiato e di consapevolezza ai simpatizzanti ed ai militanti.
Mi piacerebbe, ad esempio, che il Partito si interessasse, concretamente e non solo a chiacchiere ed a convegni, della drammatica situazione del lavoro. Non voglio ritornare su cose che sono note anche ai sassi ma la questione lavoro sta franandoci addosso e ci trascinerà tutti nella catastrofe.
Non è l’invenzione di una fantasia malata il fatto che sono moltissimi i lavoratori iscritti alla CGIL che votano la Lega Nord: li abbiamo abbandonati! Non è un’invenzione la massa crescente di lavoratori senza alcuna garanzia, senza contratto, senza sicurezza. Non è un’invenzione l’imponente massa di disoccupati che sopravvivono solamente in virtù di lavori svolti in nero.
Lo sappiamo tutti di chi è la principale responsabilità: delle leggi che in questi anni hanno liberalizzato il mondo del lavoro, della legge 30. Quelle leggi non le ha fatte il governo Berlusconi, le hanno studiate e votate le maggioranze di centro-sinistra che si sono succedute, negli anni scorsi, alla guida di questo sventurato paese e di cui anche noi facevamo parte.
Vorrei che tentassimo, ora, di abbattere quelle leggi. Di modificarle. Sarebbe non solo una battaglia per i diritti, per la democrazia ma soprattutto per la sopravvivenza. E non solo per i lavoratori, per i precari e per i disoccupati: anche per noi!
Vorrei che il Partito indicesse un Referendum abrogativo della legge 30 e delle leggi che le fanno da corollario. Una battaglia persa? Io non ne sarei poi tanto sicuro. Sicuramente una battaglia vinta per la nostra sopravvivenza, perché rimetterebbe in campo tanti compagni stanchi e sfiduciati, ridarebbe forza alla nostra organizzazione, non consentirebbe più a nessuno di dichiararsi fuori.
Anche per quanto concerne la situazione sindacale,è tempo di scelte,precise,coraggiose. Tralasciando Cisl e Uil, che sono diventati oggettivamente un sindacato giallo in mano ai padroni, la salute della stessa CGIL non è delle migliori. Al prossimo congresso ci sarà la definitiva resa dei conti. E già si può intravvedere che la corrente che vincerà non sarà certamente quella vicina al sindacalismo di classe. La Fiom è asserragliata nel fortino e non bisogna essere maghi per capire che verrà tentata la sostituzione del suo attuale gruppo dirigente con uomini e donne fedeli ad un altro progetto. Quale progetto? Quello della sua definitiva sottomissione al revisionismo ed all’opportunismo.
La Fiom è un’anomalia che deve essere cancellata, la Fiom non rientra nei disegni del capitale.
Il capitale ha bisogno di sindacati (come appunto Cisl e Uil) subalterni e sottomessi. Ha bisogno di sindacati che siano la cinghia di trasmissione del nuovo ordine economico e politico. Che rompano con la tradizione di lotta e di conflitto che ha caratterizzato un quarantennio della vita sociale e politica italiana. Il compito loro assegnato dal capitale, alla fine degli anni ’80, era di distruggere, sul versante delle lotte e del conflitto, l’anomalia italiana; di riportare il nostro paese nell’orbita della subordinazione capitalistica e padronale. Il loro contributo a questo disegno è stato determinante. La CGIL si è incamminata anch’essa da tempo sulla medesima strada, compatibilità e concertazione sono state le sue armi principali. La CGIL è ormai quasi completamente asservita al Partito Democratico. Un partito che ha gettato la maschera ed appare oggi finalmente per quel che è: l’altra faccia della medaglia del potere padronale. La faccia “presentabile” e “democratica”, ma pur sempre della stessa medaglia, non scordiamocelo.
Come non vedere quindi nelle RDB e nel sindacalismo autonomo e di base l’unica vera alternativa a questa deriva neocentrista e subalterna?
Vorrei che il mio Partito aprisse gli occhi, vorrei che lo facessero tutti i comunisti. Vorrei che iniziassimo a sostenere con convinzione il sindacalismo di base, dando un taglio definitivo a questa indecisione che per troppo tempo ha paralizzato la nostra iniziativa politica rispetto al sindacato. Questo percorso non è solo auspicabile ma obbligatorio, se vogliamo recuperare, anche su quel versante, tra i lavoratori, la fiducia e l’autorevolezza che i comunisti hanno sempre avuto.
Questo è quello che chiedo al mio Partito, per il quale ci siamo sacrificati in tanti e ci rifiutiamo di vederlo scomparire nell’ignominia, nell’immobilismo e nella vergogna.